/245/

26.
Antinori gravemente ferito. «Il risorto».
L’Alaca Saheli e il progetto di Rasa.

ritorno alla società geografica Terminata la storia della Società Arnus e compagnia, prima di ritornare alla storia della missione, e del ministero apostolico nostro, penso [di] fare ritorno alla Spedizione geografica italiana, per riferire [p. 666] i fatti più rimarchevoli avvenuti alla medesima in Scioha sotto il governo del Re Menilik, sino [19.5.1878] alla partenza della medesima verso il Sud alla volta di Kafa, porzione di storia, che sarà riferita più tardi, e che ci somministrerà anche molta materia da dire. Il Re Menilik, come già si disse, aveva provisoriamente fissato alla Spedizione geografica in Liccèe tutto l’alloggio lasciato dal Signor Arnus nello stesso compartimento interno del Re, alloggio antico tenuto sempre dalla stessa Madre del Re, epperciò sufficientissimo, coll’aggiunta di un luogo nelle stesse scuderie reali per i loro muli di cavalcatura, e per alcuni loro cavalli di lusso che il Re aveva loro regalato; con un dorgò o pensione quotidiana, quasi il doppio di quella che io riceveva da principio, e maggiore ancora di quella di Arnus. il re raccoman[da] a tutti la spedizione
[5.12.1876]
Il Re non contento di questo, dal momento che incomminciò a conoscere lo scopo pacifico e puramente scientifico della Spedizione, lasciò intendere a tutti i capi delle Provincie lontane, che i signori della Spedizione, non solo erano liberi di girare il regno per le loro osservazioni e lavori scientifici, ma che [li] intendeva particolarmente raccomandati alla generosità degli impiegati, ed alla cortesia dei medesimi per ogni bisogno che ad essi fosse occorso.

il re onora la nostra patria Questa specie di passaporto generale, e di particolare raccomandazione, non era una cosa tanto ordinaria, perché io sapeva [di] certo [non] essere stata mai accordata per l’avanti ai viaggiatori europei, ne all’epoca di Sela Salassie nonno del Re Menilik, quando [29.5.1839-12.3.1842] la Spedizione inglese [vi] rimase molto tempo, e quando andò in Scioha [p. 667] [1838-1840] la Spedizione francese del Signor Rocher d’Ericour, ne ai tempi di Hajlù Malacot padre di Menilik al [1848] P. Cesare mio missionario, ne possiamo dire nell’epoca nostra medesima, dallo stesso Menilik ai nostri missionarii. /246/ Prima soleva accordarsi in particolare a qualcheduno per qualche luogo, sempre accompagnato da qualche fido del Re, e con qualche controllo; alla sola Società geografica italiana fu accordata una tale facoltà illimitata. Antinori uomo maturo e vecchio fuori di tutti gli accessi delle passioni giovanili di diverso genere, conobbe subito il vasto campo che si apriva per lavorare nella sua parte prediletta della zoologia, e bisogna confessare che non ebbe più riposo, ne giorno, ne notte, sempre in cerca di ucelli, di animali, e di insetti, oppure [intento] a preparare le sue collezioni; fino al giorno della famosa catastrofe che lo privò della mano diritta, e lo tenne in letto alcuni mesi.

catastrofe del marchese Antinori
[a Usciatut: 7.1.1877: ore 7]
Io mi trovava a Fekerie Ghemb, occupato nel mio ministero, ed aveva passata la giornata inoculando il vaïvuolo e facendo conferenze religiose ai clienti venuti da lontano in carovana per la vaccina[zione]. Separatomi dalle turbe la sera verso le cinque, detto un poco di officio, e gustato un poco di cibo, mentre sentiva alcune questioni di famiglia a notte già avvanzata viene il capo medesimo della fortezza a portarmi una lettera di gran premura. lettera di Pottier Era il Signor Pottier Francese, l’unico europeo che si trovava in quel momento nella città di Liccèe, perché [13.12.1876] il Signor Chiarini aveva seguito il Re a Warra Ilù. Quel signore mi scriveva queste sole poche parole: = oggi Antinori ha perduto la sua mano diritta, e si trova [p. 668] [in uno stato] che fa compassione; per l’amore dell’anima sua, e della sua salute corporale, esso la scongiura di venire al più presto possibile. parto di notte Il caso era gravissimo, e non pativa dilazione; benché [di] notte e senza luna bisognò partire. Il Signor Pottier era un bravo uomo, pieno di pazienza cristiana; era un Sergente maggiore delle truppe francesi in Algeria, ed aveva lasciato l’armata per darsi al commercio, e prendere moglie, ma poi per uno sbilancio di famiglia venne in Abissinia. In quel momento il Re l’aveva fatto istruttore militare, ed aveva qualche soldato al suo servizio, aveva eccellenti qualità morali, ma [non] era ne medico, ne chirurgo; solamente aveva letto qualche cosa del sistema Raspaille, epperciò non era in caso di fare qualche operazione urgente. Se fosse stato possibile avrei voluto volare per trovarmi là, pensando al povero paziente, nelle mani di pochi indigeni, e mi sono posto subito in viaggio, accompagnato da alcuni fidi. Chi conosce la strada tra Fekerie Ghemb e Liccèe può solo formarsi un’idea del brutto viaggio da me fatto quella notte per sortire di mezzo ai precipizii, che stavano di mezzo tra me ed il povero Antinori.

mio arrivo a Liccè
[9.1.1877]
Coll’ajuto di Dio, ed assistito da persone affezionate che il missionario non manca di avere, al primo canto del gallo io mi trovava già sul piano di Liccèe, fuori di tutti i pericoli delle montagne, e prima del /247/ giorno io arrivava già alla porta della città [p. 669] [p. Gonzaga:11.1.1877; p. Taurino: 30.1.1877]
un poco di fiato davanti [al]la Madonna
reale, dove mi aspettavano alcuni servi di Antinori, i quali corsero subito ad annunziargli il mio arrivo. Io sono entrato un momento nella mia casa per prendere un poco di respiro, dove venne il Signor Pottier ad incontrarmi, e dove ho sentito tutto il tragico della storia dolorosa, e dove mi raccontò tutte le operazioni da lui fatte. Appena mi lavarono i piedi tutti insanguinati, col Signor Pottier medesimo siamo andati a vedere il povero paziente, il quale soffriva dolori attroci, ed era travagliato da una febbre violenta. sospiri di Antinori Egli conosceva la strada che io aveva divorato di notte, e voleva farmi dei complimenti; caro Antinori, dissi, lasciamo i complimenti, perché è arrivato il momento in cui il soldato deve vestirsi di coraggio e di valore: lasciamo il linguaggio delle donne e parliamo quello del soldato cristiano. Dal conto che mi faceva il Signor Pottier passavano già le 18. ore dalla catastrofe. La mano non solo, ma tutto l’avambracio, presentava una gonfiagione dura e resistente; e dolori acuti e continui indicavano a mio giudizio un lavorio d’infiammazione non indifferente, la quale avrebbe potuto degenerare in cancrena, caso estremo in quei paesi, dove mancano i periti, gli istromenti, e le medicine occorrenti per un’operazione.

si descrive il colpo avuto Nel momento dell’esplosione la mano di Antinori era sopra l’orifizio della canna del suo fucile, come nella, discesa [ci] si appoggia sopra l’estremità di un grosso bastone, il colpo perciò prese la palma della mano nel mezzo della prima, articolazione delle dita. La carica del fucile era a piccoli pallini per gli ucelli, o altri piccoli animali, ma nel caso narrato [p. 670] era chiaro come non si dovesse tener conto solo dei pallini, ma di tutta la carica ancora concentrata, ed arrivata alla mano nella sua maggior forza; ha dovuto perciò fare un guasto immenso a tutto il tessuto di muscoli, nervi, vene, ed articolazioni; si doveva quindi calcolare un deposito lasciato di tutti i componenti della carica in parte carbonizzati. cura fatta da Pottier Il povero Signor Pottier trovatosi all’improvviso alla presenza di un fatto simile, credette prima di tutto [di] doversi occupare dell’emorrogia, la quale certamente doveva essere molto forte. Dopo poche ore, impadronitosi dell’emorogia, inviluppò tutta la mano ammalata con unguento canforato, senza pensare ad altro. Per qualche ora l’ammalato ebbe un poco di calma, che consolò tutti. Ma un simile guasto locale non poteva restare così tranquillo senza tirare a se un movimento generale nella massa del sangue, e nel sistema nervoso così gravemente offeso; ne seguì perciò lo sviluppo della febbre, ed il processo dell’infiammazione locale che gli dava dei spasimi orribili, come sopra si è detto.

/248/ bagno di malva In simili casi, il manco dell’oracolo della scienza, e delle medicine fa [si] che si ricorre al buon senso per soccorrere l’ammalato che gridava pietà; abbiamo fatto bollire una buona quantità di malva, aggiungendovi un poco di lattuga agreste, la quale nei paesi della zona abbonda molto di morfina. Spremuta quella tisana ben satura in un grande vaso, ad un grado di calore, poco più del calore naturale del sangue, il nostro infermo vi mise dentro la mano e tutto l’avambracio. Dopo pochi minuti: [p. 671] una parentesi con Dio mi trovo un poco meglio, disse il paziente, e [e] fatta sortire tutta la gente: Padre mio, mi disse, facciamo una parentesi sulla malattia del cuore, causa di tutti i mali, mentre godo un poco di tranquillità. Finita che fù la parentesi col suo Dio: Sono contento, disse, ora venga ciò che vuole, e dopo dieci minuti richiamò il suo mondo [di familiari], e si continuò l’operazione incomminciata. Fatta questa operazione, la gonfiagione prese una natura, ed un colore più molle, e più bianco. si calma l’infermo Il Signor Pottier poté nettare un tantino la piaga; si pensava di rimettere l’unguento canforato, ma Antinori, divenuto più tranquillo, incomminciava a fare il medico da se; no, disse, si getti la tisana divenuta fredda, e si ripeta ancora con dell’altra un poco più calda, e così volle che la sua mano passasse un’altra mezz’ora in quel decotto. Fu dopo questa seconda operazione che si poté distinguere meglio le parti lese dalle non lese, e si poté ancora nettare meglio la piaga. Dopo ciò il Signor Pottier con più [di] ordine rimise l’unguento canforato, e sì poté abbraciare un sistema di cura.

Io sono rimasto circa otto giorni in Liccèe in casa deila missione, e passando ogni giorno qualche ora col nostro infermo, la cura del quale andava molto adagio, ma sempre con piccolo miglioramento appena sensibile. La notizia intanto della catastrofe andò subito a Warra Ilù, portata da una staffetta con [10 e 12.1.1877] lettere mie al Re, ed al Signor Chiarini, il quale, appena ricevuta la lettera, partì subito, ed in meno [p. 672] [15.1.1877] di sei giorni rientrava in Liccèe ad abbraciare il suo capo Antinori. Arrivato l’ingegnere Chiarini, il nostro infermo trovò ancora un medico di più, e si trovarono ancora alcune medicine di più, perché Chiarini conoscendo in detaglio le casse della spedizione poté ancora trovare qualche cosa nei depositi della farmacia, oltre alla piccola farmacia che portava con se. La catastrofe aveva prodotto un dissesto nelle funzioni interne dell’alto e del basso ventricolo, si poté amministrare intanto qualche leggiero purgante all’infermo, anche per richiamare il sangue dal suo naturale e vitale istinto di correre alla parte offesa. ministero in Liccè Io intanto ho voluto godere della circostanza per fare un poco di ministero apostolico nella città di Liccèe, dove esistevano alcuni cattolici, i quali non potevano andare, ne a Gilogov, ne venire a Fekerie Ghemb.

/249/ un morto risorto Fu allora che ho battezzato uno storpio, del quale non mi ricordo più il nome, ne di casa sua, ne del battesimo, se pure quest’ultimo non fu Simon, poiché io soleva chiamarlo[:] Simon dormis? per una circostanza tutta particolare, la quale merita [di] essere riferita, perché fa conoscere i costumi di quei paesi. sua storia e battesimo Era questi un condannato a morte dal Re Menilik, per un’omicidio da lui commesso. Dopo la condanna, secondo l’uso, che noi cristiani dobbiamo chiamar barbaro e pagano, fu consegnato al più prossimo parente dell’ucciso, il quale scortato dalla forza publica, e dalla propria casta in diffesa, lo conduce al luogo del suplizio per l’esecuzione. Finita la barbara funzione, si ritirò [p. 673] la casta nemica credendolo morto, e rimasero solo alcuni parenti per il pianto di uso. Vennero intanto le persone destinate per sepelirlo, lo spogliano dei pochi straccj che ancor tiene, ai quali hanno diritto, e poi lo calano nella fossa già stata preparata prima. Quando il giustiziato s’accorse di essere nella fossa, allora aprì gli occhj, e domandò pietà. Andò subito la parola al Re Menilik, il quale spedì subito uno delle sue guardie per dichiararlo libero, e sotto la sua immediata protezione. Fu portato immediatamente in città, e gli diedero una capanna tutta vicina al mio cortile, e gli fu fissata una persona per servirlo con una pensione sufficiente. Come era tutto crivellato da ferite gravissime, nel guarire rimase mezzo paralitico. Col tempo divenne il guardiano della casa nostra, quando non si trovavano i missionarii, epperciò non tardò ad essere istruito, e domandava il s. battesimo, che [che] ricevette con grande piacere e consolazione del suo cuore. Il suo nome era Pascià, sopranome il risorto.

il sangue in Etiopia Credo d’aver già notato altrove, che il taglione è una pena normale approvata dalle leggi, non solo in Abissinia, ma in tutti i paesi dell’Africa; ma [non] è mai abbastanza detta una cosa necessariissima a sapersi dai forestieri che vanno in Africa, perche in quei paesi guai a chi tocca il sangue, egli, meno un’anomalia, certamente o tardi o tosto non mancherà di morire. il taglione africano Il taglione nel senso africano toto cœlo distat dallo spirito del Cristianesimo, il quale insegna il grave precetto di perdonare il nemico. Ciò non ostante chi viaggia è obligato a riconoscere, [p. 674] come nei luoghi dove non governa il vangelo di Cristo, è l’unico rimedio per tutelare la razza umana dagli assalti dell’omicidio privato, altrimenti la sarebbe presto finita. L’uomo destinato da Dio a vivere in società, dove questa società è organizzata colla base teocratica del vangelo, la sola istruzione può bastare per salvaguardarla, e noi sappiamo che nei paesi cristiani è rarissimo il caso della pena di morte. Iddio, per chiudere tutte le vie alla vendetta, aveva investito la società a tale effetto, ed essa sola doveva essere risponsabile solidaria della vita del uomo /250/ contro la passione privata, per non vedere ad ogni tratto rinnovato il fatto di Caïno. La rivoluzione si è fatta un falso criterio, credendo [di] poter fare da se senza Dio, e senza cristo, e di essersi impadronita della porta dell’Eden contro la spada del cherubino custode; ma col suo sistema pagano non tarderà a vedersi rivivere il taglione africano, oppure quello della disperazione di Giuda ancor peggiore. l’Eden di Cristo La spada del cherubino è là per finire chiunque pretende di entrarvi. Il solo Cristo avrebbe fatto rientrare il mondo nell’Eden cangiandolo in un paradiso terrestre colla sua carità; fuori di questo la spada del cherubino è là che ci aspetta. Persuadiamoci che la S. Bibbia non è una favola, o la storia dell’Eden, o quella di Noè, oppure quella di Babele è la sorte che tocca all’orgoglio umano.

Ciò sia detto di semplice passaggio per trattenere il mio lettore un momento all’umbra dell’albero [dell’albero] della vita, nel viaggio che sto descrivendo fra i popoli detti barbari da noi. Dopo [15.1.1877] l’arrivo del Signor Chiarini il nostro caro Antinori incomminciando a trovarsi un tantino meglio, e sufficientemente [p. 675] assistito ho creduto [di] potermene ritornare alla mia solitudine di Fekeriè Ghemb, o meglio di mio ritorno ad Escia Escia o Jescia che si voglia chiamare (1a), dove io era aspettato da turbe di gente che veniva a cercare l’inoculazione del vaïvuolo, e dai miei lavori apostolici, col mezzo dei quali si procurava anche d’inoculare il virus del vangelo. principii di deftera Sahelie Era venuto da Ankober Deftera Sahelie uno dei celebri professori di Ankober, in uno dei principali Santuarii di quella città, il quale aveva molti alumni, ed era considerato come un’oracolo, detto in paese l’invincibile, sia per la sua eloquenza nelle dispute, e sia ancora per il zelo ardente per la fede di Devra Libanos. Egli mi aveva già frequentato molto in Liccèe ed in Gilogov, ed era in stretta relazione col sacerdote indigeno Tekla Tsion. Egli da un’anno e più sospirava il giorno di ricevere il battesimo sub conditione, e di essere ammesso ai sacramenti, ma io temporeggiava per due ragioni; la prima era, perché era maritato con moglie e piccola famiglia, e la moglie non era ancora risolta di abbraciare il cattolicismo. La seconda ragione poi era, perché la sua conversione avrebbe sollevato una crisi troppo precoce e pericolosa nella casta degli ecclesiastici, come difatti poi avvenne.

Egli però si contentò di dirmi per allora che la sua moglie era come /251/ risolta, ma che era venuto per un’altro scopo, piano della colonia di Rasa
[gen. 1874]
egli veniva per presentarmi un progetto, per parte anche di molti suoi seguaci per fare una colonia nei paesi bassi sui confini orientali del regno verso il fiume Awasce: io sono stanco della città di Ankober, diceva, perché essa è una città di partiti, di bugie, e di grande [p. 676] corruzione; la mia moglie è risolta di seguirmi, egli continuava, e con noi più di dieci famiglie [sono] tutte disposte di farsi cattoliche [con noi]; fra gli altri vi sono anche due Preti dei migliori di Ankober colle medesime disposizioni; noi discenderemo tutti insieme, si farà là una piccola cappella, e vi faremo la nostra professione di fede, e si publicheranno allora i regolamenti della nuova colonia cattolica. Noi non possiamo far questo in Ankober senza sollevare un partito che ancora non potrà sostenersi; in quel luogo lontano dal centro in mezzo ai musulmani e pagani, io tengo ferma fiducia che saremo seguiti da molti. Voi, [continuò] rivolto a me, non avete [d]a far altro che prometterci di non abbandonarci, di ottenere il placeat dal Re, e quindi dal governatore Walasma Abegaz, il quale ha publicato già la vendita di molti paesi deserti sui confini degli Adal o Denakil.

la mia approvazione Il piano era il più bello che mai si potesse imaginare. Chi ha letto il nostro viaggio da Ambabo sino ai confini del regno di Scioha, si ricorderà come, appena passato il fiume Awasce, al vedere tutti quei vasti terreni sui confini dei regno di Scioha, io già sognava una simile colonia, per due principali ragioni, una [era] quella di aprirmi con ciò la via per evangelizzare le tribù nomadi dei Denakil, e l’altra quella di prepararmi un’asilo futuro per ogni caso di persecuzione, cosa sempre [p. 677] da temersi in Etiopia. Il piano perciò era troppo bello per rifiutarlo. Anche la divina Providenza, colla quale solamente si devono calcolare simili imprese, pareva dichiararsi con segni straordinarii, mentre mi metteva nelle mani una persona di grande capacità e maggior zelo al uopo. mia risposta al deftera. Molto bene, risposi io a Deftera Saheli, io ti prometto tutto, e fin da questo momento, tu, come mio Procuratore, d’accordo con alcuni tuoi più fidi, potrai scegliere il luogo più a proposito, e comprarlo. Bada bene però di far la cosa molto secreta, e con meno ecclatto che sarà possibile, ed unicamente per la gloria di Dio; altrimenti si mischieranno le passioni umane, ed entrerà il diavolo a rovinarla. Ebbe luogo questa lunga conferenza dalla partenza di Liccèe sino al Santuario di S. Giorgio, [a] circa sei kilometri di distanza. Là ci siamo separati, egli prese la strada diritta di Ankober ove l’aspettavano i nostri cattolici per la risposta; ed io ho continuato il Nord-Est per Condy, Emavret, e Fekeriè Ghemb.

/252/ mio arrivo a Fekeriè-ghemb Arrivato a Fekerie Ghemb, mentre i giovani della casa mi stavano lavando i piedi, il vecchio monaco Abba Walde Michele, di cui si è parlato del suo arrivo a Gilogov, mi presentò alcune lettere venute in tempo di mia assenza. lettera dell’Abegaz. Fra quelle lettere ne ho trovata una di Walasma Abegaz capo dei musulmani, il quale, secondo l’uso, pregandomi di acettare alcuni regali, mi ringraziava delle precedenti inoculazioni del vaïvuolo, e mi pregava di significargli l’epoca in cui avrebbe potuto mandarmene una notabile quantità, comprese anche molte persone del suo interno, e di stretta confidenza sua. Veduta quella lettera, l’ho spedita subito in Ankober [p. 678] a Deftera Sahelie, come cosa che poteva facilitare l’affare della colonia, significandogli nel tempo stesso, che io sarei stato disposto di discendere a Dinki (1b) città o campo dello stesso Walasma Abegaz, per risparmiare agli inoculandi la salita della fortezza, e come luogo vicino ad Ankober, dove poteva aver luogo la conferenza relativamente alla colonia; intanto io incaricava il Deftera suddetto a fissare il giorno della mia discesa, d’accordo col suddetto capo dei musulmani. Per me il discendere circa un [un] milliajo di mettri fra i precipizii di montagne senza strade battute certamente [che] non era una delizia dal lato della fatica, ed anche dalla parte dell’onore, l’incommodarmi per andare a rendere un servizio ad un capo musulmano era ancora un’umiliazione. Ma chi ha bisogno deve stendere la mano, e non aspettare di essere prevenuto. In quel momento, per la mia futura colonia, io aveva bisogno, non solo d’impadronirmi del cuore di Walasma Abegaz capo dei musulmani, ma di sollevare una crisi fra quelle popolazioni, affinché, se non altro, non mi fossero contrarie. Io sperava di ciò ottenere facendo loro un publico servizio.

[risoluzione accolta con soddisfazione universale] Infatti questa mia risoluzione piaque a tutti, non solo ai nostri cristiani, ma agli stessi musulmani, sopratutto piaque all’Abegaz, il quale al sentire la notizia che io sarei [sarei] disceso per risparmiare la fatica ai musulmani di salire la montagna andò fuori di se di contentezza, e fece un discorso all’aristocrazia della sua corte, che appena io oso qui riferirlo, non tanto per modestia, quanto per timore, che qualcuno [p. 679] dei miei lettori possa solo sospettare, aver io piegato il ginocchio a Moloc; Sentite, diceva l’Abegaz, cosa mirabile, voi sapete chi è Abba Messias, esso è l’amico del Re, che noi vediamo quasi sempre seduto /253/ alla sua destra, egli è un’Abuna venuto dal di là dei mari; io voleva andare da lui alla testa della mia gente per la medicina del vaïvuolo; egli per non incommodarmi verrà da noi; sappiate come dopo il nostro gran Profeta io venero questo uomo... L’Abegaz dunque mi ha dato il posto vicino al suo Maometto; Ora ciò non è ammirabile? Il giorno dell’Osanna tutto passa, ma dopo l’osanna viene poi il crucifige. Nel caso S. Paolo si è fatto ebbreo agli Ebbrei...

compra del terreno di Rassa
[feb. 1874]
Arrivato intanto il giorno fissato per la mia discesa a Dinki vennero i miei pochi cattolici di Ankober a prendermi a Fekerie Ghemb, e mi raccontarono tutte quelle meraviglie: abbiamo comprato, dissero, il terreno da noi scielto per la colonia con tutte le formalità di uso fra noi al prezzo di tre talleri, i quali poi ci vennero restituiti. L’Abegaz ci ricevette con tutti gli onori, come figli suoi, e ci promise di farci fare l’amicizia coi Denakil. Il luogo stato comprato si chiama Rassa dai nostri, ma i denakil dicono invece Rasa (sa dolce come rosa); lo spazio [del terreno] stato comprato sarà [di] circa un kilometro quadrato; esso confina col fiume Dinki; esso ha una piccola fortezza vicino al fiume, sufficiente per un villagio, e contiamo già 12. famiglie disposte a discendere sotto gli ordini di Deftera Sahelie nostro maestro, oppure [di] un’altro [p. 680] come voi nostro Padre ci ordinerete. mia discesa a Dinki Ora con tutti questi precedenti noi siamo discesi a Dinki, dove ci aspettava l’Abegaz circondato da una popolazione immensa, ricevuti col lilta di uso. Se quella festa fosse stata nei nostri paesi, avrei fatto la figura di un Vescovo in sacra visita; ma sgraziatamente io mi trovava fra una popolazione musulmana fanatica, obligato a fare il flebotomo per sperare solo di gettare una pietra benedetta per fondamento di una futura cattedrale cristiana. Nel caso, meditando la storia, troviamo che molti dei fondatori delle nostre grandi Chiese d’Europa, non si sono trovati in migliori condizioni di me.

Ma cangiamo registro: io con santa pazienza vestitomi di una pelle, e seduto sotto un’albero, circondato dai miei cattolici, ho dato principio alla mia operazione, che i nostri progressisti l’avrebbero chiamata filantropica per timore di profanarla con nome di Carità cristiana, ma pure era proprio quella, perché nel mio cuore il solo mio Gesù poteva abbassarmi sino a quel punto, per impadronirmi dei cuori di tutta quella gente e guadagnarla al mio Signore. inoculazione di schiavi Nel primo giorno ho inoculato circa un centinaio di gioventù dei due sessi di tutte le età; erano tutti poveri galla, parte rubati dai mercanti, e parte frutti delle rappresaglie di guerra stati venduti dai nostri Cristiani medesimi ai mercanti; erano tutte vittime destinate a saziare le passioni musulmane dell’Arabia, del- /254/ l’Egitto, e della Turchia; [p. 681] oh quanto mi straziava il cuore, pensando alla fine che avrebbero fatto quelle povere creature! Io ho lavorato tutto il giorno facendo finta di nulla ne vedere, ne sapere: ma i miei giovani, ed alcuni nostri cattolici di Ellio-Amba, i quali me li avvicinavano, all’orecchio mi facevano conoscere tutti i detagli, e mi segnavano a dito anche alcuni eunuchi; fatti non in guerra, ma dai periti di mestiere. una mia lagnanza all’Abegaz. La sera poi, quando tutto il popolo si ritirò, dissi all’Abegaz: io sono venuto per la vostra casa e per i vostri amici, e non per i mercanti; i miei saranno [vaccinati] domani, egli rispose, quei di quest’oggi devono partire tutti, parte per l’Egitto e parte per Costantinopoli, e sappiate che appartengono tutti al vostro amico di Ambabo. Io non ho potuto fare a meno [di prestarmi], perché quel signore là è capace di vendere anche lo stesso Re Menilik. Ciò che è fatto è fatto, ma guardiamo di finire tutto domani, perché dopo domani debbo recarmi ad Ellio Amba, dove mi aspettano alcune famiglie cristiane, io gli risposi.

la cena del mio seguito Mentre io stava inoculando il vaïvuolo assistito da una parte dei nostri, gli altri del nostro seguito avevano scannato un bel bue e facevano mangiare e bere tutti i nostri cristiani a spese dell’Abegaz. Io in simili circostanze non soleva gustare altro che un poco di latte e pane, con un buon caffè. si parla della colonia Arrivata la sera, l’Abegaz, chiamato il Deftera e tutte le persone più distinte del mio seguito, ci condusse nell’interno, dove si parlò della coionia, e giurò che l’avrebbe assistita ed ajutata con tutti i mezzi a lui possibili; solamente [p. 682] dissemi, voi dovrete parlarne al Re, ed ottenere da lui una lettera; ottenuta quella, Deftera Sahelie, accompagnato da altre persone da voi scielte, mi porterà la lettera, ed io in presenza loro la farò leggere in publico, e si farà la publicazione col nagarit (1c). Dopo ciò si potranno incomminciare alcuni lavori delle capanne per l’abitato, e per il recinto. Quando tutto sarà in buon ordine Abba Messias fisserà il giorno, ed io verrò con tutto il mio seguito per dare il possesso, e per fissare i limiti del terreno stato venduto. Così terminò la conferenza della colonia di Rassa.

una domanda all’Abegaz Terminata la Conferenza relativamente alla colonia, allora l’Abegaz si mise in piedi per pregarmi di aggiungere ancora un giorno di più alla mia dimora in Dinki. Domani vi occuperete della mia casa incomminciando dalle mie mogli, le quali in questo momento sono tutte radunate, e domandano di baciarvi la mano. Appena fatto un cenno di affermativa entrano nella sala una decina di donne, la più parte vestite in lusso: ne presentò quattro dicendo che erano sue vere mogli; le altre /255/ poi sono donne di compagnia, cioè concubine; domani appena sarà fatto giorno bramo che siano inoculate prima che si moltiplichi il mondo di fuori. Mentre quelle donne facevano il giro baciandomi la mano: vedete, disse, con un tono patetico e quasi piangendo, io conto già 50. anni e con tutte queste donne io non ho la consolazione [p. 683] di aver figli; queste mie donne confidano molto nella vostra benedizione... qui lascio di riferire molte altre sue pene di questo genere, come cose delle quali ben non mi ricordo, e per finirla politamente[:] una mia risposta istruttiva Sentite, dissi io, entrando qui nella vostra città, vicino al fiume, ho veduto un bellissimo orto, dove vi era una bella quantità di caffé ben coltivato, dei banani, e dei trongò magnifici, e mi dissero che erano vostri; prima ancora di vedervi il mio cuore sentiva il bisogno di congratularmi con voi, perché siete quasi l’unico che sapete bene coltivare queste piante. Iddio nel creare quelle diverse piante ha dato a ciascheduna una natura diversa e dei bisogni diversi, e tutto sta nel conoscere ed osservare le regole. Ora credete voi che Iddio che ha dato delle regole per la coltura delle piante anche più minute, volete poi che non abbia dato delle leggi per la coltivazione del uomo? La terra tutta è fatta per l’uomo, e credete voi che questa creatura così nobile non abbia poi le sue leggi per assicurarne la generazione? volete poi che il germe di questa bella creatura debba essere lasciata in abbandono come un cardone nel bosco? Quando saremo soli vi dirò poi tutto il resto, e voi lo direte poi alle vostre donne; ecco la prima benedizone.

antica educazione dell’Abegaz: Per far piacere all’Abegaz ho passato altri due giorni in Dinki, pendenti i quali ho fatto ancora qualche centinaio di inoculazioni. Ho fatto molte conferenze coll’Abegaz relativamente alla domanda sopra riferita, ma quel uomo era una machina [p. 684] già in rovina; egli nella sua gioventù era [era] il più bel uomo, che formava la meraviglia: fu allevato alla corte di Selaselassie, la corte più brillante di tutti quei paesi; era ricco forze ancora più dello stesso Re; era perciò l’idolo vagheggiato dai due sessi. Si aggiunga, che era dotato di un’intelligenza straordinaria e con delle maniere da incantare colla sua parola. Un’uomo simile con tutte le commodità e con tutti i mezzi, e senza un controllo che potesse imporre [un freno] alle sue passioni materiali, il mio lettore non stenterà [a] comprendere, dove doveva arrivare; egli vivendo in una sureccitazione quasi continua ha dovuto esaurire quasi tutto il capitale vitale nella parte nervosa, lasciando il sistema dei vasi che si sviluppassero come tante bollette di sapone; presentava quindi un’obbesità quasi deforme senza sostanza, senza forze, e senza vita. Il tesoro quindi che egli cercava non esisteva più.

/256/ anche sulla parte religiosa Si aggiunga ancora sotto un’altro calcolo, che egli conosceva il cristianesimo meglio di qualunque altro nel suo paese; perché vivendo alla corte cristiana nella sua gioventù, dove non mancavano uomini con tal quale capitale di spirito, tirati dal Re Selasalassie, ha dovuto formarsi in lui anche un certo senso morale cristiano, da formare un contrapposto al sensualismo musulmano in mezzo del quale ha vissuto in seguito. una mia diagnosi Ora [c’era] la mia presenza, e la sola presenza di alcuni [p. 685] miei cattolici ferventi, i quali sapevano più di me rilevare tutto il linguagio spirituale cristiano. Tutto ciò doveva risvegliare in quel uomo un tribunale di rimorsi non indifferente; era questo in lui più un’effetto della doppia educazione, che non della grazia, di cui amaramente parlando, dovevamo supporlo molto lontano, come vaso immondo. Certamente che Iddio poteva fare un miracolo in tutti i sensi, e farne anche un santo, ma nel caso [specifico] la sola grazia spirituale non avrebbe bastato, avrebbe dovuto ritemprare la natura depauperata, e fornirlo di un’energia, e di un senso delicato stato esaurito. Io poteva sbagliarmi nella diagnosi, ma naturalmente parlando doveva pensarla così.

parto da Dinki:
per Elioamba
Abbiamo intanto lasciato Dinki in mezzo alle acclamazioni del popolo, e ci siamo recati in casa di un grande amico della missione, dove sono rimasto un giorno, ed ho fatto molte inoculazioni, mentre i miei giovani facevano il catechismo. Di là ho preso in affitto una casa tutta vicino al gran mercato, dove Deftera Sahelie, lasciando Ankober pensava rimanervi sino allo stabilimento della colonia. Montando poscia circa un kilometro più [in] alto verso Ankober ho veduto un terreno in vendita, e ne ho conchiuso la compra per farvi là un’oratorio per i pochi cattolici di quel circondario, ed anche come un luogo di riposo per la mia gente che da Fekeriè Ghemb sarebbe venuta al mercato di Elioamba. [p. 686] arrivo a Mahalwanz Dopo ciò, ho preso la via di Mahal Wanz (1d) per fare una visita ai due europei francesi Giober e Piquignol colà provisoriamente stabi[li]ti, dei quali già si è parlato, per vedere i lavori che [che] il Signor Giober stava per incomminciare in quel luogo. Era quello un gran pascolo reale, nell’epoca che la corte stava in Ankober; era un piano con un piccolo canale d’irrigazione, quello che doveva servire per la machina idraulica già in via di fabrica[zione]. Da Mahal Wanz, tenendo la via più all’Est, ho voluto vedere Lit Marafia, altro pascolo reale quasi ai piedi di Fekerie Ghemb, e lontano da Mahal Wanz al più due kilometri, di terreno ondeggiato di dolcissime collinette.


(1a) Escia o Jescia è una montagna che fa patte della fortezza di Fekerie ghemb statami accordata dal Re per farne un monastero; è chiamata con questo doppio nome Escia, oppure Jescia. Essa è stata da secoli inabitata; era una foresta inacessibile, abitata da scimmie e da leopardi. Io ne ho purgato la sommità e vi seminava orzo. [Torna al testo ]

(1b) Dinki, cioè maraviglioso, è [il] nome del fiume all’est di Ankober, il quale raccoglie l’aqua di quella città, e corre verso l’Awasce; dinki è anche [il] nome della città dell’Abegaz ai piedi di Ankober, la quale prende il nome dal fiume suddetto, perché [sita] sulla riva di esso. Ankober, Dinki, e Fekeriè ghemb forma[no] un triangolo, di cui l’angolo nord è il mio monastero. Dinki è al nord del gran mercato detto Elio-Amba. [Torna al testo ]

(1c) [Manca la nota M.P.] [Torna al testo ]

(1d) Mahal Wanz vale inter duo flumina, oppure in altra lingua Mesopotamia, perché era quello un pascolo reale fra due fiumi, cioè il Dinki che discendeva da Ankober, ed un altro più al nord che prendeva le aque di Condy, di Emmavret, e di Fekeriè Ghemb. [Torna al testo ]