/307/

32.
Consacrazione di Mons. Cahagne in Escia:
liturgia semplice e commovente.

prosperità della colonia In Rasa tutto andava bene: la colonia contava già 50. famiglie là stabilite, senza quelle che erano in via, andavano e venivano per coltivare i terreni loro assegnati; il flusso e riflusso della gente era vivissimo, venivano per essere istruiti, ed intanto facevano i loro piccoli affaretti; il luogo era divenuto un centro, dove tutti avevano confidenza, perché là potevano trovarsi insieme persone nemiche per la macchia di sangue, senza pericolo. Era per me una vera consolazione in tutto, [p. 765] un solo pensiero mi affliggeva[:] mancanza di sacerdoti ma un pensiero solo mi occupava giorno e notte, ed era la mancanza di sacerdoti per tenere in vita tutti i stabilimenti già fatti. Noi eravamo quattro sacerdoti europei, due erano in Finfinnì fra i paesi Galla al sud, e due eravamo al nord nel centro del regno. Quei di Finfinnì non potevano venire, sia, perché erano lontani, e sia ancora perché anche là avevano già moltiplicato le stazioni. Essi di sopra più erano incaricati delle corrispondenze colle missioni antiche di Gudrù, di Lagamara, di Ghera, e di Kafa, dove [† 24.10.1874] la morte dell’instancabile Abba Haïlù, aveva lasciato anche là nuovi bisogni. Nel centro vicino a me vi era il solo P. Luigi Gonzaga in Gilogov, il quale non poteva lasciare quel luogo, perché, oltre la missione, in Gilogov si trovavano i giovani per la scuola; appena egli poteva venire qualche volta [da me] per confessarci a vicenda. Nelle antiche missioni di Gudrù, di Lagamara, e di Nonno Monsignor Cocino domandava sacerdoti; il P. Leone in Ghera ne domandava per Kafa, dove era morto Padre Haïlù. Aspettavamo missionarii dall’Europa, venne il P. Gio.[vanni] Damasceno che morì in strada, altri dovevano venire, ma [non si aveva] nessuna notizia di loro. Avevamo quattro giovani, residuo del collegio di Marsilia, ma erano tutti sotto i venti anni, mancavano perciò dell’età per ricevere gli ordini sacri.

Io dunque non sapeva più dove rivolgermi; io mi trovava solo, obligato a dividere la mia persona, ora obligato a salire la montagna, [all’]altezza di milliaia e più mettri per il ministero in Fekerie Ghemb, ed ora [a] discendere a Rasa, dove una popolazione sempre crescente si trovava /308/ [p. 766] senza Messa, e senza Sacramenti. In Rasa la missione possedeva Deftera Sahelie, persona dotta nel capitale di scienza indigena, di grande zelo, e di un’eloquenza unica fra gli indigeni; possedevamo i due preti di Ankober recentemente convertiti con una riputazione compita nel paese, ma senza istruzione affatto, tolto un poco di lettura di lingua sacra, senza [essere in grado di] comprenderla, come erano quasi tutti i preti del paese. Erano questi tre individui maritati con famiglia; i nostri cattolici avrebbero bramato di vederli in esercizio del ministero, ma non si potevano ordinare, se non in rito del paese, sia perché avevano moglie, e sia ancora, perché non possedevano la lingua latina. Mi sono risolto di conferire loro la prima tonsura ed i quattro ordini minori; se non altro, serviranno per il servizio del santuario, io diceva, ed entrati nella gerarchia, possedevano un titolo di più per catechizzare il popolo. La prima volta che quei tre minoristi furono veduti [a] servire nel santuario, la nostra nuova colonia di Rasa fece una vera festa, tanta era la venerazione ed il rispetto che avevano per quei novelli ordinati.

la questione del rito etiopico Coll’ordinazione di quei tre nuovi chierici, nasceva il pensiero, e direi ancora di più il bisogno d’inaugurare nella nostra missione galla il rito etiopico, questione già stata agitata anticamente da principio in Gudrù, dove per gravissime difficoltà, già notate [p. 767] altrove, (1a) fù lasciata da una parte, e ci siamo tenuti al rito latino, con soddisfazione quasi universale anche della casta mercante, venuta dal Gogiam ed Abissinia. una chiesa etiopica e sue difficoltà Da principio nel mio arrivo in Scioha io aveva lasciato di acettare la Chiesa di Deftera Gulti, persona sinceramente convertita che me ne faceva molte istanze, per due ragioni: la prima, perché una chiesa eretica già abituata all’esercizio del culto secondo il paese, difficilissimamente si può spogliare di certi usi ed abitudini superstiziose, che mai mancano, inconciliabili col culto cattolico. La seconda difficoltà, più grave ancora, era quella, che il clero di una Chiesa, fatto cattolico in globo, la menoma persecuzione, oppure qualche interesse notabile, basta per mettere in pericolo la sua fede; così noi pericolavamo di stabilire subito da principio la piaga di molti paesi d’oriente, abituati a passare dall’eresia al catolicismo, e quindi ritornarsene con facilità alla menoma scossa di rigore. All’opposto io aveva giudicato megliore il sistema di moltiplicare gli oratorii privati a misura che il bisogno lo richiedeva. Questi oratorii o cappelle senza prebende o benefizii potevano essere sufficienti per l’amministrazione dei sacramenti; ed anche un solo sacerdote senza le formalità di un clero numeroso poteva bastare a tutto. Il ministero apostolico in questo modo è più economico, e non solleva le passioni del clero indigeno, il quale ama solo il culto per il guadagno.

/309/ Ora per tutte queste ragioni, e molte altre simili, io vedeva nell’affare della nostra colonia di Rasa, la questione d’inaugurare il rito etiopico, questione molto grave, e troppo precoce. progetto di un sinodo Io pensava perciò [di] riservarla ad una specie [p. 768] di sinodo che pensava di fare nell’occasione della consacrazione del novello coadiutore Monsignore Taurino, per il quale [brevi di nomina: 21.3.1873;
spediti a M.: 31.3.1873
a destinazione: gen. 1875]
già erano arrivati da Roma i documenti requisiti, ed era stato chiamato Monsignore Cocino da Lagamara [ad intervenirvi] come Vescovo assistente, e questi era in ritardo. Monsignore Cocino doveva arrivare in Scioha per il Natale dell’anno 1874. (se non erro, si vedano le lettere per verificare la data), ma in viaggio trovò la strada chiusa da una guerra che l’obligò a retrocedere. Quindi, invece di venire in Scioha, ha dovuto recarsi a Kafa per la morte del Sacerdote Abba Hajlù colà avvenuta. Rimasto Monsignore Cocino, la Consacrazione suddetta fu fissata per il giorno 14. Febbrajo dell’anno seguente, in cui occorreva la Domenica prima di Quaresima latina. preparativi per la consacrazione A quella funzione dovevano intervenire quasi tutti i nostri giovani delle diverse case, non che i cattolici più distinti. Furono pure invitati tutti gli europei cattolici; lo stesso Re, consapevole di tutto, mi aveva lasciato sperare d’intervenire segretamente alla sola funzione, se avrebbe potuto ciò organizzare in modo da non allarmare i partiti opposti; mandò però in avanzo molti regali di carne, e d’idromele. Qui il mio lettore abbia pazienza se lascio la storia dei grandi fatti per descrivere un poco al minuto la funzione ecclesiastica che egli già avrà veduto altre volte, perché le stesse cose, e le medesime persone cangiano d’aspetto al cangiarsi la sorte dei paesi e delle persone.

la chiesa di s. Giuseppe Prima di tutto dirò che la funzione della consacrazione suddetta doveva aver luogo in Escia nella Chiesa dedicata al Patriarca S. Giuseppe, come la più grande Chiesa di tutta la nostra missione galla; [p. 769] dicendo che era la più gran chiesa della missione galla, non vorrei però che il mio lettore pensasse, che il mio S. Giuseppe di Escia potes[se] in qualche modo competere con S. Pietro di Roma, oppure con S. Paolo di Londra, oppure anche con S. Soffìa di Costantinopoli; la nostra Chiesa di S. Giuseppe era una gran capanna, fatta secondo il disegno già da me descritto altrove; il suo circolo interno del Sancta Sanctorum non arrivava a dieci mettri di linea retta diagonale, e col suo circolo esterno, la stessa diagonale poteva contare al più 18. mettri in tutto. Il Sancta Sanctorum era però abbastanza grande per tutti i movimenti, sì dell’alto, che del basso clero. I nostri giovani l’avevano ornata nell’interno con delle tele indiane di diversi colori osservando un certo disegno e gusto, che illuminata colla semplice luce di lumi, non mancava di appa- /310/ gare l’occhio dello stesso europeo, accostumato a cose più grandi dei nostri paesi.

ritorno ad Escia
[1.2.1875]
Io sono arrivato da Rasa il Lunedì dopo la Dom.[enica] di Sessagesima; i nostri giovani mi ricevettero nella nostra Chiesa già ornata ed illuminata. La prima veduta della mia cara Sposa, m’incantò, tanto era bella: non la cangierei colla cattedrale di S. Giovanni di Torino, diceva tutto commosso nel mio cuore; bisogna convenire che il bello non sta sempre tutto nella disposizione materiale di un’opera umana, ma la sua idea è qualche cosa di misterioso che discende dall’alto, e che non sì può spiegare, come lo sviluppo di un fiore, essa s’ingrandisce o si restringe a misura che nell’incensiere del cuore umano, discende una certa aura celeste, la quale è capace anche di far vedere il paradiso sopra una montagna [p. 770] deserta, come a S. Pietro sopra il Taborre. Qualche giorno dopo di me è arrivato da Finfinnì, con una parte dei suoi giovani, il nostro consacrando Monsignore Taurino, il nostro s. Giuseppe in festa e la nostra Chiesa di S. Giuseppe vestita da sposa fece loro la medesima impressione; quanto consola questa veduta dopo cinque giorni di strada! [esclamò il consacrando;] buon segno, monsignor mio, risposi io, se a vedere è bella, cosa non sarà quando la gusteremo? dunque Iddio è con noi, faciamo[ci] coragio; è il caso della giudea Esterre, della Giuditta, a cui Iddio aggiunse la sua parte, per farci arrivare al trionfo. tutti ammirano la sua bellezza Lo stesso arrivò ai nostri europei quando vennero, essi pure, tutti uomini di mondo, dovettero lodare la nostra chiesuola di S. Giuseppe; dunque non è il bello materiale che porta la vittoria: il sommo pontefice Samuele, arrivato a Betlemme, passò in rassegna tutti i figli di Isai, tutti giovani fatti e preparati secondo il gusto del mondo, ma il segno di convenzione, che doveva venire dall’alto dei cieli, in nessuno si trovò che nel piccolo Davidde, che arriva all’improvviso, tutto agitato, dai pascoli delle mandre. Iddio, lasciata un momento la sua cara Gerusalemme, e la Roma maestosa sede del suo oracolo infallibile, voleva fare cose mirabili anche in Escia per quel giorno di festa; ecco la gran ragione: Giacobbe in fuga verso Laban, stanco si riposa sotto un’albero, discende la visione, e si spalanca il Cielo.

arrivo del consecrando
[9.2.1875]
Arrivato dunque il nostro consacrando, si dovette pensare a preparare le cose necessarie per la gran funzione. Prima di tutto, egli bramava di fare il suo ritiro spirituale, [p. 771] di uso, e tanto più necessario per un povero missionario che suol darsi tutto al bene altrui, ed alla salute dei barbari, obligato a fare tutti i mestieri, incomminciando dal santuario, e poi ai seminati del campo, e poi anche al mercato. esercizii spirituali Si cercarono alcuni libri di lettura. Nella casa di nuova missione, non si trovano le /311/ biblioteche coi suoi scafali, e registri: in qualche angolo della casa qualche libro non manca, il pensateci bene, le massime eterne, qualche volume isolato del Liguori, del Rodriguez, e simili, ecco tutto: tutto bene, disse Monsignore, qualche parola sua pastorale, mi sarebbe cara; [gli risposi:] caro mio, [ad] Ella venuta di fresco dalla nostra Europa con un capitale di materiali [oratori] preparati, cosa posso dirle io che ho dimenticato persino la teologia ed ogni gusto di eloquenza sacra[?]; comunque, come Ella si è adattata molto bene alla nostra tavola mezza selvagia nel vitto, così si adatterà al mio linguagio mezzo barbaro nel poco che posso dirle: così si fece, una volta o due ogni giorno un piccolo trattenimento in forma di conferenza si soleva aggiungere alla lettura, ebbene posso assicurare, che anche in ciò la semplicità era benedetta da Dio, e poche sono state le volte che non abbiamo finito colle lacrime.

preparatorii per la funzione Non bastava preparare il cuore e lo spirito, ma bisognava pensare ancora all’esteriore decoro della funzione. La Chiesa in simili funzioni non si contenta dell’ordinario nelle stesse vesti sacerdotali; esse quasi tutte sono particolari, e la missione mancava di tutto. Si dovette perciò pensare anche [p. 772] vesti pontificali [anche] a cucire delle vesti. Io, prima di venire alla missione, ho voluto imparare tutti i mestieri, e di casa, e di Chiesa, epperciò, come già è stato notato altrove, dovunque ho fatto sempre tutti simili articoli colle mie mani, e col mezzo dei miei giovani; così ho fatto in quella circostanza, ho fatto tunicelle, e dalmatiche, di cui mancavamo affatto, e si fecero molti altri articoli simili. loro significato Non è già che simili articoli del pontificale romano debbano considerarsi come di una necessità assoluta, essi sono prescritti dalla legge ecclesiastica coll’oracolo della S. Congregazione dei riti che prescrive a nome del Papa, riguardano una funzione per se gravissima, ed hanno un significato che esprime il compimento dell’ordine sacerdotale che si trova solo nel vescovo, il quale è Vescovo, cioè pastore ordinario delle anime, ma nel tempo stesso è anche essenzialmente prete, diacono, suddiacono, e così di tutti gli altri ordini minori; siccome egli potrebbe esercitare anche un’ordine inferiore, e servire anche come semplice chierico; con questi distintivi egli si presenta al publico come investito del carattere vescovile, ed è come di necessità che si sappia da tutti che egli agisce come tale nel pontificale nell’ordinazione che amministra. Ciò che si dice del Vescovo ordinante, si deve dire anche del Vescovo ordinando, essendo di necessità che si conosca che egli riceve, non un’altro Ordine, ma il carattere pontificale. La legge perciò che comanda questi distintivi ha una gravità più alta ancora di quella che esigge il semplice decoro della funzione /312/ sacra in discorso. In tutti i sacramenti la grazia sacramentale è sempre attaccata ad un segno sensibile; simili distintivi non sono segni sensibili dell’Ordine che tocchino la validità, ma hanno una certa affinità, da non dispensarsene senza una gravissima causa.

[istruzione pratica e familiare] Ho voluto riferire questi detagli non per istruire il mio lettore europeo, perché, se egli sarà un secolare, troverà essere anche qualche cosa di troppo, non essendo uso [p. 773] di occuparsi di simili materie; se poi egli sarà un’ecclesiastico, egli possiederà un’istruzione molto più vasta di questo genere; non è a tito[to]lo [istruttivo], che ho riferito simili detagli, ma al solo titolo unicamente storico, perché io mi occupava a cucire o far cucire simili oggetti del pontificale romano, e soleva in pari tempo [io soleva] trattenermi coi miei giovani spiegando il significato di simili distintivi di vesti pontificali o sacerdotali, come soleva cogliere la circostanza dei viaggi nelle serate che passa[va]vo a c[i]elo sereno, per dare lezioni di astronomia, oppure di altre scienze a misura che si presentava la circostanza opportuna. Nelle missioni dei paesi semicivilizzati, come sono i paesi d’oriente, delle Indie, si possono avere collegi e seminarii regolari, e quindi professori per le diverse scienze, ma come già ho notato altrove, diverso è il caso dell’Africa orientale, dove si trova la nostra missione, paesi di società primitiva, non potendo aver luogo i nostri stabilimenti europei diverso deve essere il sistema dell’educazione. Il momento di stabilimenti, non solo di educazione, ma anche per il commercio medesimo, [per l’Africa orientale,] non è ancor venuto, perché ancora non ha un governo stabile, e risponsabile, suscettibile di trattati colle nazioni civilizzate, la sola educazione economica, già indicata più volte, può avere luogo.

[giorno della consacrazione: 14.2.1875] Fatti intanto i preparativi per la consacrazione, ed arrivato il giorno fissato, vennero dalla colonia di Rasa nel giorno precedente quasi tutti i giovani chierici; venne da Gilogov il P. Luigi Gonzaga con molti dei suoi alumni; si radunarono pure i diversi invitati: sì europei che indigeni. Anche il Re Menilik [p. 774] spedì alcuni suoi fidi significandomi, che egli non sarebbe venuto per certi motivi di prudenza: molto meglio, perché la sua venuta avrebbe cagionato un vera confusione, sia per il ricevimento di convenienza, sia ancora molto più per il luogo da assegnarsi in Chiesa, da potere assistere in forma incognita, da poter vedere senza essere veduto, non essendo egli cattolico. Il P. Luigi Gonzaga nella notte aveva già celebrata la S. Messa, alla quale assistette la maggior parte della famiglia che aveva bisogno di libertà in simile circostanza; in essa già aveva avuto luogo la santa comunione. distribuzione degli offici Lo stesso P. Luigi Gonzaga doveva fare da maestro di ceremonie nella funzione, per /313/ mancanza di altri che potessero leggere il libro Pontificale, e nel tempo stesso diriggere la s. ceremonia. vestizione del clero Egli nel tempo stesso vestito con piviale doveva fare da primo Prete assistente, per mancanza di Vescovo, Secondo Prete assistente, parimenti in piviale, doveva essere Alaca Tekla Tsion nostro sacerdote indigeno. Ad ora competente, cioè verso le otto incomminciò la cerimonia: il clero minore si vestì nel coretto dei cantori in cornu evangelii dopo il clero maggiore si vestiva nella sacrista in cornu Epistolæ; io ed il consacrando eravamo nella piccola mia casetta dietro la Chiesa, circa 15. mettri lontana dalla parte nord-est. Un popolo numeroso ci aspettava nella piazza avanti la porta grande della Chiesa al sud-ovest.

un’inconveniente Quando la processione era vicina a partire con croce inalberata, per venire a prenderci, accadde un caso [un caso] curioso, il quale in Europa sarebbe uno sconcio, ma nelle missioni no, perché fa vedere [p. 775] le strettezze in cui si trova il missionario, anche Vescovo, un chierico viene a dirmi che non vi erano ostie: avertite subito, gli risposi, che [si] tardi la processione cinque minuti; nella mia sasette era il luogo, dove si facevano le ostie ordinariamente (1b), presto [mi feci portare] un piatto, farina, aqua, e fuoco; ho fatto una piccola quantità di pasta io stesso (2a), e [in] poco più che dieci minuti di ritardo ho fatto quattro o cinque ostie, e dopo, la processione, e la musica venuta la processione a prenderci, siamo partiti in buon’ordine, e fatto il giro est, siamo entrati nella porta maggiore della Chiesa, mentre gli alumni di Tekla Tsion, schierati in buon’ordine, nella piazza col gran tamburro del Santuario di S. Giorgio ci eseguivano un pezzo di musica abissina (3a). Come alcuni di quei giovani cantori erano cattolici, ho dato loro la benedizione di uso, e siamo entrati in Chiesa, dove fatta un poco di orazione ai piedi dell’altare, io sono andato alla mia cattedra con una parte del clero per la vestizione, mentre l’altra parte si schierò alla parte opposta in cornu epistolæ, dove esisteva l’altarino per il consacrando, il quale pure si vestì dei [paramenti] pontificali.

/314/ principio della funzione Terminata la vestizione, io, lasciata la cattedra, e salita la gradinata dell’altare, seduto sopra il faldistorio (una cassa vuota rivoltata, e coperta di tappeto), e [circondato] dagli assistenti il consacrando, si lesse il mandato apostolico, di cui il primo assistente ne fece una concisa esposizione in lingua del paese. Ciò fatto, secondo l’ordine del pontificale, si passò al giuramento, quale finito, ebbe luogo l’esame della fede. Sia nel giuramento, che nell’esame della fede, il primo assistente fece alcuni rimarchi al publico, sopra i punti controversi dall’eresia del paese. si descrive la cerimonia Dopo vestitosi il consacrando dei [abiti] pontificali, si incomminciò la Messa, [stando] il consacrante all’altare, ed il consacrando all’altarino particolare suo, sino dopo il tractus. Sedutosi il consacratore sul faldistorio [p. 776] e gli assistenti col consacrando in piedi avanti a lui, egli disse[:] Oremus fratres carissimi... Ciò detto s’inginocchiano i due assistenti con tutto il clero; i[l] consacrante stesso si mette in ginocchio; il consacrando disteso per terra supino, si cantano le litanie dei Santi... arrivate le litanie al ut omnibus fidelibus defunctis... si leva in piedi il consacrante colla mitra e pastorale benedice per tre volte e consacra a Dio il novello vescovo, e poi di nuovo inginocchiatosi, finisce le litanie. Levatosi quindi il vescovo con tutto il clero, ed il novello eletto inginocchiatosi avanti di lui, prende il messale glie lo adagia sopra le sue spalle aperto, e mentre due chierici lo sostengono, stende le sue mani sopra il suo capo dicendo[:] accipe Spiritum Sanctum, e così pure [fanno] i due assistenti. Dopo ciò il consacrante canta un lungo prefazio, quale interrotto, intuona il Veni creator, e mentre tutto il clero prosegue a cantare, il Consacrante col S. Crisma unge la sua testa, quale unta, gli assistenti glie la inviluppano con una tovaglia bianca. In tutto questo tempo notate che l’eletto consacrato è sempre inginocchiato col messale aperto sopra le spalle.

alcune mie riflessioni Qui, permettetemi o caro mio lettore, che interrompa la narrativa del nuovo spettacolo, [per confidarvi che] io consacrante in quel momento mi trovai commosso, vedendo tutto il popolo, di cui era stippata la Chiesa più commosso di me, alcuni sino alle lacrime, e mi pareva di vedere [p. 777] gli Angeli del cielo tutti nella stessa mia commozione; ma non era ancora finito il prefazio; continua la cerimonia mi metto a continuarlo colla mia [voce] tremante; e mi pareva che il nostro Signore Gesù Cristo stesso parlasse colla mia stessa parola; certo io stava pronunziando tutte le sue parole che egli disse sopra i suoi apostoli, come si trovano nel Vangelo, e mentre io cantava quelle parole celesti, l’eco delle medesime si sentiva in Cielo, e si ripeteva dagli angeli; almeno tale era il vivo sentimento che producevano in me. Si finisce il prefazio; il clero canta il Salmo /315/ 132.[:] Sicut unguentum... Mentre si cantava detto Salmo, io passo all’unzione delle sue mani col crisma santificato; fatto questo, e benedetto il pastorale, glie lo do nelle mani. Passo alla benedizione dell’anello, e glie lo metto, come a Sposo novello della Chiesa di Cristo. Ciò fatto, prendo il messale dalle sue spalle, glie lo consegno dicendogli queste parole[:] vade et predica populo... Ciò detto gli do il bacio di pace, e glie lo danno [pure] i due assistenti. Dopo ciò io mi lavo le mani, ed il novello consacrato se ne va per rimettersi in ordine per la continuazione della S. Messa, che egli pure deve celebrare con me.

altre mie riflessioni Qui la consacrazione del nuovo Vescovo è come terminata, benché ancora non [sia] terminata la s. cerimonia. Il mio lettore mi permetta qui di aggiungere due parole sopra l’impressione di quel momento: [de Jacobis: 7.1.1849;
Cocino: 3.5.1859]
io nel 1848. ho consacrato Monsignor Dejacobis in Massawah; nel 1859. ho consacrato Monsignore Cocino, mio primo Coadiutore in Ennerea. In Parigi [p. 778] ho fatto da Vescovo assistente a due consacrazioni di Vescovi. In Gerusalemme sono stato primo assistente nella consacrazione dell’attuale Patriarca latino Monsignor Bracco. In Roma anche ho dovuto assistere alcune volte a simile funzione. Confesso di essere stato commosso in Gerusalemme, per la sublimità del luogo unico sopra la terra, sulla porta medesima del S. Sepolcro, luogo per se di grande consolazione, perché santificato dal nostro buon Gesù, e di gran dolore vedendolo profanato da ogni sorta di eretici e di infedeli. Ma non posso spiegare il mistero, eppure debbo confessare, che in nessun luogo io ho provato tanto trasporto di affetti, e grandi commossioni, come in Massawah, in Ennerea, ed in Escia, nel caso della storia presente. segni particolari Iddio è dapertutto, Cristo poi è come di necessità sempre presente, perché nel fondo ipse est qui baptizat, come sappiamo. Ciò non pertanto volendo dare una piccola ragione della differenza provata da me oso dire, che i grandi templi esercitano una gran missione nella società cristiana che regna sopra la fantasia del nostro mondo, e sono come altrettanti troni di gloria a Cristo che [vi] regna sopra la terra, ma all’atto pratico poi assorbiscono l’imaginazione e non la concentrano come le piccole capanne.

naturali e sopranaturali È questa una ragione che capaciterà una persona di mondo, la quale non vede altro che [che] materia, perché a lui non si presenta altro che caos dove non arriva il mettro col sistema decimale, oppure il telescopio o microscopio, o diremo ancora l’analisi chimica che si occupa dei diversi principii, [p. 779] o gaz che compongono i corpi visibili a tutti, anche agli asini; questi signori crederebbero all’anima spirituale ed immortale, ed al mistero della ss. trinità, quando potessero metterla alla /316/ prova coi loro stromenti. Ma per i veri cristiani, e principalmente per noi sacerdoti di Cristo la questione è molto diversa. Noi camminiamo [per] il lastrico della fede più duro dell’acciajo. Per noi l’eterna verità ha parlato colla parola del verbo incarnato, epperciò possediamo una scienza molto al di là di questo mondo di calcoli; firmiorem propheticum sermonem. Vi ringrazio o Padre mio, padrone del Cielo e della terra, perché hai nascosto questi tesori ai [ai] superbi e sapienti del gran mondo, e gli hai rivelati solo ai piccoli ed umili tuoi fedeli. È con questa chiave che io voglio sciogliere [la questione]; ah che la fede del semplice e dell’umile penetra i cieli! Io potrei portare dei fatti da me veduti, e che già sono scritti altrove, ma sono fatti lontani, dei quali io sono quasi l’unico testimonio, ma citiamone un solo conosciuto da tutti: la Bernardetta di Lourdre, era pure una villanella incapace di calcoli e di passioni, eppure vinse il mondo dei sapienti, dei potenti, e degli arguti nemici. Oggi poi non è più essa che parla, ma una corrente di fatti che hanno innondato il mondo. Ecco che genere di persone, che genere di luoghi [elegge] ben elegge Iddio. Ecco [il] perché il mio Gabriele di Ghera a 15. anni mi confuse e mi vinse in portenti, perché la sua fede era più semplice e senza raziocinio, della mia.

fine della cerimonia Ma continuiamo la cerimonia] per presto finirla. Venne l’offertorio: in Europa il novello consacrato suole fare un’offerta al consecrante; in Europa esiste un fac simile di un [p. 780] barrile e di un pane, ma per noi mancando il fac simile di uso vi fu la realtà, presentando [un] cestino di pane, ed un piccolo vaso di birra. Terminata la Messa, e fatta la s. comunione, vi fu la benedizione della mitra e dei guanti, in cui vi fu niente di particolare; ebbe luogo l’intronizzazione, quindi il Te Deum, pendente il quale, il novello consacrato fa il giro e benedice il popolo; il tutto si passò come fra noi senza nessun’accidente rimarchevole, ad eccezione del bastone pastorale, quale mancando, al novello consacrato, ho dovuto dargli il mio. commozione generale Venne finalmente la trina genuflessione, ed il triplice saluto[:] ad multos annos: il novello consacrato disse il primo tranquillo, passò al secondo stentando [a] dire, perché commosso; arrivato al terzo, fatta la sua genuflessione ai piedi del consacrante, diede in uno scoppio di pianto, il quale trovò un’eco completo in tutto l’uditorio, fra gli stessi europei, benché persone di mondo, ed anzi di gran mondo. Siamo sortiti tutti dalla funzione colle lacrime agli occhi di tenerezza. Un’europeo, stato seminarista a Parigi, e poi ritornato al mondo: Monsignore, mi disse, è questa la terza volta che assisto a simile funzione; il cuor mio fu sempre indifferente, ma oggi non è così: qui si manca di tutto, ma un non so che di strano, cangiò il mio cuore: [io] era incredulo, oggi non lo sono più.

/317/ Ciò che ho riferito fin qui, è pura storia, e si può trovare nelle publicazioni contemporanee dei giornali religiosi, i quali publicarono certe lettere, state scritte non da me, ma [p. 781] da altri europei stati presenti; cose da me lette molti anni dopo. i doni particolari, ed i miracoli Il linguagio di Dio è sempre il medesimo in tutti i tempi. Nei nostri paesi cristiani non si vedono tanto facilmente simili segni, perché non esiste il bisogno: signa non fidelibus sed infidelibus, ecco la gran ragione: nei paesi difficili, come certe missioni, Iddio parla con fatti secondo il bisogno, sia per incoraggire il povero missionario, sia per confermare nella fede i proseliti; fra noi un cristiano ha per le mani biblioteche di libri che parlano, ha una storia vivente di fatti che confermano; la stessa troppa abbondanza qualche volta è di scandalo, come sappiamo. Fra gli infedeli, e più fra i barbari la cosa non è così; il tutto si riduce alla semplice parola di uno straniero che parla, ben soventi contradetto da tutti, e ben soventi anche perseguitato; da una parte lo stesso missionario [è] costretto a nuotare contro la corrente; cosa poi non dobbiamo dire del povero proselito? è allora appunto che [che] si verifica la promessa di Cristo che dice: nolite timere... dabitur enim in illa hora... e come [si effettua] questo dabitur? primo[:] col testimonio della propria coscienza che fa parlare la legge naturale al cuore, in facia alla quale il bene è sempre bene, e così il male. Secondo[:] colle grazie interne, colle illustrazioni alla mente, e coi stimoli al cuore. In terzo luogo[:] coi miracoli, visioni, e simili.

sono bocconi non fatti per tutti In materia poi di miracoli, di rivelazioni, visioni e simili grazie celesti non sono bocconi fatti per tutti, ma solo per chi ha lo stommaco preparato per digerirlo; a tutti gli altri sono anche ben soventi veleni potentissimi e micidiali. Il mio catechista Gabriele suddetto, quando catechizzava [p. 782] egli cangiava fisionomia, ed in parte si verificava in lui ciò che scrive S. Luca del Protomartire S. Steffano, egli diventava così, bello, così accaparrante, che tutti lasciavano anche me e gli altri catechisti per andare da lui; vi accorrevano a turbe i giovani, per sentirlo, perché parlava così bene di Dio e del paradiso, come se fosse venuto di là e fosse stato sempre in compagnia degli angeli; ma non mancavano di accorrervi anche di quelli che si pascolavano solo della sua angelica veduta, tirati anche da passioni e da calcoli satanici. continua il ragionamento stesso Chi conosce la storia della Bernardetta di Lourdre troverà lo stesso caso; una popolazione immensa che correva a venerare l’estatica e la misteriosa grotta, il famoso Giacometti coi suoi satelliti vi accorrevano per far guerra alla Madonna. Tale è la sorte che in tutti i tempi hanno avuto sempre, ed avranno in seguito tutte le visite celesti, quella cioè, o di salvare coloro che hanno gli occhi per vedere e le orecchie per sentire, oppure di perdere coloro che induriti resistono. La consacrazione in /318/ Vescovo di Monsignore Taurino Cahagne fu una funzione tutta nuova nel regno di Scioha, paese Cristiano caduto nell’estrema rovina; fu una gran visita del Signore, la quale diede molto a pensare, e se ne parlerà per molto tempo, ma con ciò il paese sarà salvo? molti si salveranno, e ciò non si può mettere in dubbio, ma resterà sempre viva la gran questione [selettiva] trà i figli di Dio ed i seguaci di Satan, come fù e sarà sempre in tutti i paesi.


(1a) [Manca la nota M.P.] [Torna al testo ]

(1b) Le ostie in molti luoghi presso i scismatici non si fanno in luogo palese, ne da secolari, senza scandalo; sarebbe desiderabile una cautela di più in questi tempi di poca fiducia; il commercio di ostie non è cosa lodevole. [Torna al testo ]

(2a) Il ferro per le ostie fatto per le missioni è molto delicato, perché subito si raffredde, ed all’opposto subito si riscalda. I giovani difficilmente l’imparano [l’uso]; nel caso nostro, se non le faceva io poteva arrivare [un] inconveniente. [Torna al testo ]

[(3a)] (1) La musica abissina si trova solamente nelle chiese, e massime nei gran Santuarii; essa non ha più di tre voci; è accompagnata da una mimica tutta particolare. Di istromenti non ha che il gran tamburro, per lo più enorme, ed una specie di triangolo copto. Anche il bastone copto è in uso nel canto abissino, ma in diverso modo. In Abissinia si aggiunge la danza, qualche volta anche troppo libera. [Torna al testo ]