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Fregio

Per tutte le terre uscì il suono loro

Capo IV.
Al Cairo.

Memorie Vol. 1° Cap. 3.
Luglio - agosto 1846
Il Cairo

1. Da Alessandria al Cairo. — 2. Cairo, capitale dell’Egitto. — 3. Casa ed albero della Madonna. — 4. Antico Convento dei Cappuccini. — 5. Le Piramidi e la selva impietrita. — 6. Popolazione e stabilimenti religiosi in Cairo. — 7. Poca speranza di conversioni. — 8. Sentenza di due Vescovi orientali. — 9. Arrivo del P. Felicissimo con notizie del nuovo Papa. — 10. Dono del Papa defunto. — 11. Ordine di Propaganda di recarmi a Massauah. — 12. Opposizioni di Vallieri e sua miseranda fine. — 13. Soccorso da Lione, e cambio della moneta. — 14. La via del deserto. — 15. Conoscenza del signor Ennes. — 16. Assunta; festa della piena del Nilo. — 17. Cerimonie per l’apertura del canale. — 18. Digiuno del Ramadan. — 19. Importanza di questo digiuno. — 20. Influenza del digiuno mussulmano sul digiuno dei Cristiani orientali.

Capolettera O

Oggi il viaggio da Alessandria al Cairo si fa in poche ore sulla Ferrovia Alessandria – Il Cairo: 1856 strada ferrata; ma in quel tempo in Egitto non parlavasi né di vapore, né di strada ferrata e neppure di carrozze; viaggiavasi in groppa a cammelli, ad asini, a giumenti, oppure in barca sul canale Mohammedia, così chiamato, 1819 perché fatto scavare da Mohammed-Aly per congiungere Alessandria al Cairo. Noi scegliemmo quest’ultimo mezzo. Quindi, disposta ogni cosa e noleggiata una piccola barca, in due giorni arrivammo in vista delle famose Piramidi, e poco dopo Al Cairo: 31.7.1846 A.Rosso al Cairo. I Religiosi di Terra Santa, che prima erano stati avvertiti per posta, vennero ad incontrarci, e con grande gioja ed affetto ci condussero al convento. E poichè in esso non vi era un numero sufficiente di camere per alloggiare tutti, il P. Cesare ed il P. Giusto passarono al piccolo convento dei /24/ Riformati, fabbricato lì accanto. Eravamo sì vicini, che la sera, recandoci al fresco sul terrazzo, potevamo passeggiare e conversare insieme.

Il Cairo القاهرة al-Qāhira,fondata nel 969 d.C.

Nel 1632 il francescano Paolo da Lodi, Custode di Terra Santa, si stabiliva al Cairo, dove i francescani erano già cappellani della colonia veneta, nel quartiere del Muski, oggi Via Bendaka (=Veneziani) 12. Ai tempi di Mohammed Ali la chiesa del Muski divenne la principale parrocchia latina, da cui dipendevano le parrocchie succursali di S. Giuseppe, Bulacco e Meadi.

Frati Minori Riformati: Riconosciuti da Papa Clemente VII nel 1532. Nel 1897 furono riuniti con altri nell’unico Ordine dei Frati Minori.

Sia detto una volta per sempre, in questa storia io non mi trattengo in descrizioni geografiche, o istoriche di qualsiasi genere, come cose già dette e ridette le mille volte, e che si possono trovare altrove con tutta facilità; fuori del nostro viaggio, mi contenterò di notare le cose che possono, o direttamente oppure indirettamente interessare la causa delle missioni e delle anime, per il resto noto solo le cose [per] di più elementari e di prima necessità. Memorie Vol. 1° Cap. 3 p. 21.

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/19/ 2. La vera metropoli dell’Egitto è il Cairo, dove risiede abitualmente il Governo, e dove il Vicerè passa la maggior parte dell’anno, cioè i mesi d’inverno, perché luogo più caldo; trattenendosi poi l’estate in Alessandria a godere il fresco del mare. I Consoli Generali e lo stesso Monsignor Delegato tengono casa in Alessandria ed in Cairo, e passano per lo più con la Corte le due stagioni or nell’una or nell’altra città. In Cairo poi risiedono sempre Consoli secondarj, dipendenti dai Consoli Generali, la cui cancelleria è stabilmente in Alessandria, come porto di mare. La città del Cairo è vicina all’antica Menfi, ma non sulla stessa area. Essa esisteva già ai tempi dei Cesari, ed è probabilmente il luogo, dove si rifugiarono i Giudei profughi dalla Palestina, nelle persecuzioni che ebbero a sostenere, e specialmente al tempo della schiavitù di Babilonia. La gran città moderna chiamata la città delle cento moschee (ma che oggidì ne conta quattrocento), è di tempo molto posteriore; fabbricata sotto il dominio mussulmano, essa fu detta la città dei Califfi, ossia dei nobili mussulmani.

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3. Nello spazio, che presentemente chiamasi Cairo vecchio, sorgeva la casa della Madonna, nella quale la Sacra Famiglia erasi ritirata ad abitare, quando fu costretta a fuggire le persecuzioni di Erode. Oggi essa è ridotta a chiesa, posseduta ed ufficiata dai Copti eretici. Distante circa un chilometro avvi ancora di particolare l’albero della Madonna: ed è un sicomoro vicino ad una fontana. Sotto la sua ombra si crede che siesi fermata la Vergine Maria, mentre S. Giuseppe andò a cercare in città una casa per la famiglia.

Secondo la tradizione (vangelo di Tommaso) la Sacra Famiglia sostò a Matarea (El Matariya). Qui sono tradizionalmente indicati ai visitatori la casa, il sicomoro e una fontana.

Il termine “copto”, greco kόπτος (cóptos) arabo qubṭ قبط , da Αἰγύπτος “Egitto”, indica il popolo originario dell’Egitto dopo la diffusione del cristianesimo. La chiesa copta è la chiesa egiziana di impostazione monofisita. La lingua copta è la lingua originaria dell’Egitto, scritta con un alfabeto derivato dal greco, in quanto in età cristiana l’antica scrittura egiziana era considerata troppo legata alla religione politeista. Oggi gli egiziani di religione cristiana sono cirda il 10% della popolazione; la lingua copta non è più parlata da secoli ed è limitata all’uso liturgico.

Cose meravigliose ci tramandò la tradizione intorno a quest’albero; ma senza entrare in discussione sulla loro veracità, falsità od esagerazione, dico solo ciò che vidi. Tutti i visitatori, tanto mussulmani quanto cristiani di qualunque setta, non sogliono partirsi da quel luogo senza recar seco frondi, frutti e principalmente schegge dell’albero, tagliate ad arbitrio, e talvolta anche indiscretamente: altri poi v’incidono il proprio nome o qualche motto. Orbene, l’albero, che è della specie dei fichi, e quindi di non lunga vita, con tutto ciò non muore e non patisce, non cresce e non diminuisce; ma da secoli e secoli si mantiene lo stesso. E di ciò ne fan fede, oltre le locali testimonianze e tradizioni, le relazioni di antichi viaggiatori, che cel descrissero. Anch’io, la prima volta che lo visitai, volli incidervi il mio nome ad una certa altezza, e venti anni dopo ve lo trovai tale e quale.

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/25/ 4. Anticamente esisteva in Cairo un nostro convento, forse meno grande di quello di Aleppo. Da esso nel 1637 partirono i Missionarj Cappuccini che recavansi in Abissinia per l’evangelico ministero. Erano tempi di grandi turbolenze e di fiere persecuzioni; e due dei nostri, P. Agatangelo da Vendôme e Cassiano da Nantes soffrirono il martirio in Gondar (1). I documenti, spediti a Roma da Missionarj, anche di altri Ordini, e conservati nell’archivio di Propaganda, li danno a conoscere per uomini veramente apostolici; ed io, se il Signore non mi chiamerà presto a sè, dopo il presente lavoro, ho intenzione di scriverne la vita e promoverne la beatificazione.

Francesco Noury (Vendôme 1598) nel 1618 entrò nel noviziato di Nantes col nome di Agatangelo, e nel 1625 fu ordinato sacerdote. Nel 1628 fu inviato in Levante, e nel 1629 giunse ad Aleppo in Siria, si spostò quindi verso il Libano per liberare schiavi cristiani ed avvicinare i Copti al cattolicesimo. Consalo Lopez-Neto (Nantes 1607), di famiglia portoghese, fu cappuccino nel 1623 col nome di Cassiano. Nel 1631-32 assisté i malati di peste. Nel 1633 Agatangelo e Cassiano si incontrarono ad Alessandria d’Egitto, dove conobbero il patriarca copto Matteo III, ed ottennero da Propaganda il permesso di celebrare messa nelle chiese copte. Quando il patriarca Matteo nominò un nuovo arcivescovo per l’Etiopia, il monaco Arminio, lo seguirono in Etiopia, ma gounti a Gondar furono imprigionati dal negus Basilide, per istigazione di un luterano. Avendo rifiutato di abiurare dal cattolicesimo furono condannati all’impiccagione. Mancando le corde loro stessi offrirono i loro cingoli (7 agosto 1638). Grazie all’interesamento del Massaja furono beatificati da Pio X nel 1905

Veduta del Cairo
Veduta del Cairo.

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5. Altre particolarità sono le Piramidi, che s’inalzano di là del Nilo presso l’area dell’antica Menfi. Le visitai insieme con i miei compagni, e salimmo sulla cima della più alta, 14 luglio 1799 dove il Bonaparte fece colazione. Molti misteri vogliono ravvisare i dotti nella forma, nel nome ed in altre particolarità di queste Piramidi, e principalmente nella maggiore, detta di Cheops; misteri, dei quali io non posso qui occuparmi, né tutti voglio /26/ credere. Ma certo queste colossali costruzioni, come pure gli obelischi, le sfingi ed altri monumenti della valle del Nilo, ci rivelano negli antichi Egizj un popolo già maturo nelle scienze e nelle arti; mentre la maggior parte delle altre nazioni erano ancora idiote o bambine. Di altre cose notabili nei dintorni del Cairo, osservai la selva impietrita, la quale è di grande importanza pei naturalisti, che vanno a visitarla e studiarla.

Al-Ghaba Al-Motahagguera (la foresta pietrificata) presso El Maadi.

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6. Allora il Cairo contava 300,000 abitanti, dei quali 50,000 si dicevano cristiani, appartenenti a tutte le sètte. Questa città, allora quasi tutta araba, professante l’islamismo più fanatico, è una di quelle che i Turchi chiamano sante. Gli Europei erano tenuti in un borgo, le cui porte chiudevansi la sera per sicurezza. Oggi non è più così, il Cairo è una città quasi europea. Oltre i Padri di Terra Santa, che colà avevano tre cappellanie, il convento grande ed il convento piccolo, che si occupa dei Copti, vi erano anche i Gesuiti che stavano fabbricando un collegio, i Fratelli delle Scuole Cristiane, le Monache del Buon Pastore d’Angers, le Clarisse, le Suore di S. Giuseppe e dell’Apparizione e le Dame di Francia. Di Vescovi ve ne erano quattro cattolici di diversi riti, cinque eretici e due Patriarchi.

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7. In Cairo, come altrove, nulla ci è da sperare per la conversione dei mussulmani: il Corano li ha imbrutiti nella mente, nel cuore e nel corpo. Ma i Missionarj potrebbero far molto con la popolazione eretica dei varj riti, se la diversità di questi riti medesimi non ne inceppasse talvolta l’azione. Mi duole dirlo, ma la verità è questa, che il clero cattolico orientale (facendo sempre le dovute eccezioni) è debole e pigro, poco lavora nel suo ministero, e guarda anche di mal’occhio il clero latino, perché il vede tutto intento ai proprj doveri ed all’altrui santificazione. Né il Missionario latino è padrone dei frutti che raccoglie dal suo apostolato; né può continuare sui proseliti, che va facendosi, l’opera del suo ministero, spettando ciò al clero di quel rito, cui i proseliti appartengono. Cosicchè se un sacerdote latino converte un eretico, non può neppure amministrargli i sacramenti: ma dopo aver faticato per l’acquisto di quella pecorella smarrita, deve consegnarla al prete orientale del rito a cui appartiene. E se anche i Missionarj hanno servi di rito orientale, non possono, neppur nella propria casa, amministrar loro i sacramenti; ed in caso di morte, spetta al prete del proprio rito andare a prenderne il cadavere e condurlo alla sepoltura. Tutto ciò inceppa non poco il ministero del Missionario latino, e lo disanima ad operare.

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8. Stando al Cairo, entrai in confidenza con due zelanti Vescovi cattolici. Uno era Monsignor Abucarim, vecchio venerando, Vescovo dei /27/ Copti uniti, ed il cui nome è ancora in benedizione dopo 25 anni che è morto: l’altro Monsignor Basilios, Vescovo greco, ed anch’esso pio e pieno di zelo apostolico. Tutti e due erano stati allievi del collegio di Propaganda, e parlavano bene l’italiano. Io, Missionario nuovo e pieno di zelo giovanile, sempre era loro d’attorno, interrogandoli e movendo loro questioni. Un giorno, parlando intorno al sopraccennato soggetto. — Monsignore, mi dissero, Ella non conosce l’Oriente. Anche noi, usciti di Propaganda, ritornammo qua pieni di buona volontà e di apostolico zelo; ma, creda pure, che col prete orientale a nulla si riesce. Egli, celebrata la Messa, ha già fatto tutto, né parlategli di predicare, d’istruire, di studiare. Noi predichiamo, ci raccomandiamo, ed il popolo sarebbe disposto a sentire e far del bene; ma i preti non ci secondano. Anzi se qualcuno comincia a mostrare un po’ di zelo, tosto la censura degli altri lo assale e lo vince. —

Nel 1741 il vescovo copto Athanasius si convertì al cattolicesimo, e fu nominato da Benedetto XIV Vicario Apostolico di Alessandria d’Egitto. In seguito Athanasius tornò alla chiesa copta, ma il vicariato rimase. Nel 1824 fu creato un Patriarcato Cattolico Copto, ma la sede rimase vacante fino al 1899. Teodoro Abou-Karim fu Vicario Apostolico dal 1832 al 1855.

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9. Nella seconda metà di Luglio arrivò in Cairo P. Felicissimo al Cairo: 21.7.1846 A.Rosso
Elezione di Pio IX: 16.6.1846
il P. Felicissimo da Cortemilia, destinatomi per terzo Missionario. Portava notizie molto consolanti sull’elezione del nuovo Papa, avvenuta nel terzo giorno del Conclave sopra la persona del Cardinale Mastai, che prese il nome di Pio IX. Per questa elezione grandi feste eransi fatte in Roma ed in tutta Italia; ma dicevasi che la camarilla liberale circondava il nuovo Papa di straordinarie feste e di continue ovazioni, forse per indurlo più facilmente a concedere l’amnistia, e carpirgli politiche riforme. L’eco di questo chiasso cominciava a farsi sentire anche in Egitto, e gli emigrati, più che prima, si commovevano e volevano ad ogni costo partire.

Papa Pio IX, Giovanni Maria Mastai Ferretti (Senigallia 1792 – Roma 1878).
Da giovane lavora presso l’istituto Tata Giovanni per i giovani abbandonati.
Sacerdote nel 1819. Terziario francescano.
Dal 1823 al 1825 fa parte del corpo diplomatico in Cile.
1827 Vescovo di Spoleto. Durante l’insurrezione del 1831 si prodiga per evitare spargimenti di sangue. Salva la vita a Luigi Bonaparte (il futuro Napoleone III) che si trovava a Bologna come membro della Carboneria ed era ricercato dalla polizia austriaca.
1832 Arcivescovo di Imola.
1840 Cardinale.
1846 Papa col nome di Pio IX.
1848 14/3 Concede uno Statuto. Manda un corpo di spedizione in Lombardia, poi lo ritira. 24/11 Fugge a Gaeta mentre a Roma è proclamata la Repubblica. Rientra a Roma il 12/4/1850.
1852 Decide la sconsacrazione del sacerdote modenese Enrico Tazzoli, arrestato dalla polizia austriaca per aver tenuto la cassa di un prestito mazziniano. Il vescovo di Modena aveva negato la richiesta delle autorità imperiali, ma in seguito all’intervento papale il sacerdote viene impiccato (martiri di Belfiore).
8/12/1854 Dogma dell’Immacolata Concezione.
1855 Piano per le ferrovie dello Stato Pontificio (1859 linea Roma-Civitavecchia).
20/6/1859 Strage di Perugia ad opera delle truppe pontificie guidate dal colonnello Schmidt.
8/12/1864 Enciclica Quanta Cura e Sillabo.
1869 Concilio Vaticano I. La Costituzione Pastor Aeternus proclama l’infallibilità del Papa.
1870 Fine dello Stato Pontificio. Roma è annessa all’Italia e l’anno successivo proclamata Capitale d’Italia.
1871 Legge delle Guarentigie.
1874 Non Expedit.
7/2/1878 Muore. In occasione della traslazione della salma in San Lorenzo al Verano (notte fra 13 e 14/7/1881) vi sono violenti scontri tra clericali e anticlericali.

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10. Una grande consolazione, che mi trasse le lagrime dagli occhi, venne a recarmi il P. Felicissimo. Il S. Padre Gregorio XVI prima di morire, si era ricordato di me, ultimo Vescovo da lui eletto, e nel testamento mi aveva lasciato una somma di danaro; e gli esecutori testamentarj per mezzo del P. Felicissimo me la rimettevano. Qual vincolo mi legava al defunto? Qual obbligo aveva verso di me? Io non lo aveva veduto che due volte, e brevissimi erano stati i nostri discorsi, anzi l’ultimo di poche ed interrotte parole. Oh il gran cuore che avea Gregorio, e quanto pieno di zelo per la Chiesa e per le anime!

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11. Una lettera della Sacra Congregazione di Propaganda, portataci dal P. Felicissimo, venne a troncare la questione del nostro viaggio. Propaganda ci dava l’ordine di partire direttamente per Massauah, dovendo io recarmi nel Tigrè, regno al Nord dell’Abissinia, dove il signor De Jacobis, Prefetto di quella Missione, abbisognava del mio ministero. In conseguenza /28/ di ciò scrissi subito al Console Cerruti che non poteva più tenere la via del Nilo, essendo obbligato da ordini ulteriori a prendere invece quella di Suez e del Mar Rosso per giungere a Massauah. Scrissi pure al Console Generale francese ed a Monsignor Delegato, annunziando loro la mia prossima partenza per Suez, e pregandoli di ottenermi dal Governo le necessarie raccomandazioni, tanto pel tragitto del deserto, quanto pel Governatore di Suez e pel Viceconsole francese di quel luogo.

San Giustino de Jacobis (San Fele PZ 1800 - Eidale Massawa 1860). Missionario lazzarista, nel 1839 Prefetto Apostolico d’Etiopia. Nominato nel 1847 Vescovo di Nicopoli i.p.i. e Vicario Apostolico dell’Abissinia, fu consacrato nel 1849 dal Massaja. Beato nel 1939, Santo nel 1975.

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12. Il signor Vallieri, che già trovavasi in Cairo, sentendo l’ordine di Propaganda e la nostra ferma intenzione di eseguirlo, ne fu sconcertato; e con mal celata stizza ci fece risentimenti, e ne scrisse al signor Cerruti: ma tutto fu inutile. Poi soggiunse che già aveva fatte varie spese a nostro conto; ed io gli risposi che me ne presentasse la nota, e lo avrei soddisfatto (1). È indubitabile che questo signore dovea essere un cavalier di industria, il quale cercava viaggiare a nostre spese, e mangiarci quel poco capitale che possedevamo. E la sua disgraziata fine me ne fa conferma.

Dopo la nostra partenza pel Mar Rosso, anch’egli parti per Kartùm in qualità di Agente Consolare sardo. Ma due anni dopo, non so per qual motivo, ebbe questioni col Governo egiziano; e ricercato dalla polizia, (certamente d’accordo col Console Generale) il Vallieri si racchiuse in sua casa, proprietà della Missione Lazzarista, e, bene armato e provvisto di munizioni, potè far fronte e resistere due giorni. Poi, venutegli meno le munizioni, e vedendo inutile ogni resistenza, si suicidò. Tre anni dopo, sentite queste notizie, ringraziai Iddio di essermi levato d’attorno quel cattivo genio, il quale non so a quanti danni ci avrebbe esposti, se lo avessimo seguito. Non intendo io per questo di metter dubbj sulla probità del signor Console Cerruti, che lo proteggeva; anzi egli era molto buono, e perché troppo buono lasciossi abbindolare da quell’intrigante, e non conobbe che un po’ tardi il cattivo soggetto, che si avea messo ai fianchi.

Il dissenso del M. nei confronti del console Cerruti non si limitava al progetto del viaggio. In Alessandria egli aveva riscontrato tensioni derivanti dalla pretesa delle autorità consolari francesi di esercitare una tutela un po’ troppo invasiva nei confronti delle missioni cattoliche di altri paesi, e riteneva che il Cerruti fosse troppo condiscendente verso queste ingerenze.

Cerruti è un galantuomo, ma troppo bonomo [piem. “ingenuo, sprovveduto”] , fosse un poco più furbo, la piaga delle nostre missioni d’Oriente cagionata dal governo Francese, sarebbe meno candescente Lettere vol. I n. 46, al Padre Venanzio Burdese di Torino, Suez 15 settembre 1846

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13. Con l’ultimo piroscafo francese ricevetti risposta del Consiglio centrale di Lione, ed una cambiale di quindicimila franchi, accompagnata da una lettera del Marchese D’Herculais, il quale mi assicurava che avrebbe sposato tutto l’impegno possibile per la causa della nostra Missione presso il Consiglio centrale suddetto. Ringraziai Iddio di questa provvidenza, e di aver pronta ogni cosa per metterci in viaggio alla volta di Suez. Non ci restava altro a fare che cambiare la moneta, perché in Abissinia non ha corso altro denaro che il tallero di Maria Teresa. Per questa ope- /29/ razione il Superiore del convento mi assegnò un bravo giovane armeno cattolico, chiamato Fatàlla Mardrùs, e questi in tre giorni mi procurò circa tremila talleri di Maria Teresa, e precisamente di quel conio che ha corso in Abissinia (1).

Tallero di Maria Teresa
Tallero di Maria Teresa

Tallero di Maria Teresa. Si tratta del Konventionsthaler, definito in base ad un accordo stipulato nel 1753 tra l’Impero d’Austria e il Ducato di Baviera; ha un diametro di 39,5 mmm, uno spessore di 2,5 mm, pesa 28,0668 grammi di cui 23,3795 d’argento fino. È stata una delle monete a più larga diffusione nel mondo. Viene ancora prodotta.

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14. La maggiore difficoltà del nostro viaggio era il dover tragittare il deserto, che stendesi dal Cairo a Suez. Là, come al solito in tutto l’Egitto, bisognava servirsi di cammelli o asini, ed impiegarvi per lo meno tre giorni. Alla presenza di un Console si faceva il contratto con un capo di carovana, approvato dal Governo, si stabiliva il prezzo in proporzione delle persone e del bagaglio, oppure dei cammelli o degli asini che si prendevano a vettura, e poi egli si rendeva mallevadore di tutto. Noi, non avvezzi a questi usi e viaggi, stavamo un po’ in timore, ma il Signore venne in nostro soccorso.

L’albero della Madonna
L’albero della Madonna

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15. Alcuni amici mi avevano fatto far conoscenza con un certo signor /30/ Ennes, cattolico, ed uffiziale del Transito inglese, impresa da poco tempo stabilita in Oriente per i soli Inglesi, che dall’Europa passavano alle Indie, e dalle Indie ritornavano in Europa. E poichè i cavalli non potevano rimanere in Suez pel troppo caldo e per mancanza di erba, di fieno ed anche di acqua, il gran deposito di cavalli, di vetture e di foraggi si teneva al Cairo. All’avvicinarsi poi del piroscafo, che veniva dalle Indie con i passeggieri, questi cavalli si spedivano a Suez ed alle stazioni intermedie del deserto, per trasportare oggetti e persone. Ora, mi fu detto che, ottenendo una raccomandazione per l’amministrazione del Transito, facilmente ci avrebbe accettato in viaggio, con risparmio anche di spese, principalmente se le vetture scendevano vuote. Ricorsi al signor Ennes, ed ottenuta per suo mezzo la raccomandazione, il nostro viaggio fu subito stabilito. Solo ci toccò aspettare ancora altri giorni.

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16. Questa tardanza mi diede agio ad osservare alcuni usi e costumi di quei luoghi. Correva la solennità dell’Assunta, ed io tenni Pontificale nella chiesa del convento. Or mentre la cattolica religione chiamava i nostri pensieri al cielo per contemplare l’Assunzione della Madre di Dio, la città del Cairo era tutta in movimento per celebrare una festa di tutt’altra specie, festa né cristiana, né mussulmana, ma puramente pagana. Si solennizzava la piena e l’apertura del Nilo. Per comprendere l’importanza di questa gran festa nazionale, fa d’uopo sapere che tutta la ricchezza dell’Egitto dipende dalla maggiore o minore pienezza del Nilo. Tutto l’opposto di quello che succede nei nostri paesi, dove la pienezza dei fiumi porta flagelli, laddove là è la vita di quelle regioni. E già sin dai tempi dei Faraoni solevasi considerare l’altezza e la bassezza delle acque come segnale di abbondanza o di carestia.

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17. Nei tempi pagani, quando il Nilo giungeva ad una certa altezza, si celebrava questa grande solennità con isvariati sacrifici ed oblazioni. Fra le altre cose, prendevano una donzella, o, secondo alcuni, anche un giovane, e poi vestiti pomposamente si gettavano nel fiume insieme con grande quantità di animali d’ogni specie (1). Ma questi usi vennero poi /31/ corretti sotto Governi più civili e principalmente cristiani, restando sempre la nazionale solennità della piena e dell’apertura del fiume. Ecco il rito. Quindici giorni prima dell’apertura si prosciuga il canale, che parte dal Nilo ed attraversa la città, e si pulisce da ogni immondezza. Così preparato si tien pronto a ricevere la piena delle acque per mezzo dell’apertura; la quale ha principio, tostochè le Autorità, recatesi al fiume in gran gala, avran fatto le oblazioni di uso. Di mano in mano che il canale si riempie, immensa folla si vede accorrere sulle sue rive per tuffarsi e bagnarsi in quelle acque benedette. Dalle case, fabbricate sulle sponde del canale, io stesso vidi le donne calare con funi i loro bambini dal secondo o terzo piano per bagnarli. Passati poi due o tre giorni, essendo il canale ben purgato dell’acqua, che servì per le immersioni, si riempiono le cisterne della città per l’uso domestico.

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18. Un’altra festa mussulmana assai curiosa è il digiuno di un intero mese, o meglio di una luna, detto Ramadàn; il quale Ramadan: 22.8.1846 A.Rosso nel 1846 cadeva nella luna di Agosto. Già si sa che l’anno dell’Egira è di dodici mesi lunari, e quindi di 354 giorni, essendo il mese lunare di soli 29 giorni e qualche ora. Perciò ogni anno lunare ha 11 giorni di meno dell’anno solare: i quali giorni formano l’Epatta. Ciò fa si che le solennità mussulmane anticipino ogni anno di 11 giorni, e dopo trentacinque anni ritornino al medesimo punto, poichè aggiungono un anno di più; e mentre essi contano 36 anni, nel nostro calcolo solare sono 35. L’Egira dunque in ogni secolo guadagna tre anni. Ciò posto, e tornando al digiuno, è curioso il vedere i mussulmani apparecchiarvisi, come noi faremmo per una gran festa, cioè con provviste di commestibili di ogni sorta, e più del solito. Di maniera che, all’avvicinarsi del digiuno, tutta la gente è in faccende, e si vedono i poveri girare per ogni dove domandando l’elemosina, onde comprar carne ed altro per digiunare! La ragione di ciò sta in questo, che il loro digiuno non è un’astinenza ed una mortificazione, come presso di noi; ma una semplice osservanza esteriore religiosa, la quale consiste tutta nell’inversione dell’ora della refezione. In sostanza questo digiuno è un vero baccanale, da loro goduto nell’ombra della notte; poichè di giorno non mangiano, non bevono e né anco fumano: ma, dal tramonto del sole sino al levar del medesimo, mangiano e bevono quanto più possono, e si danno ad ogni sorta di stravizj. Nelle grandi città il giorno si cambia in notte; poichè si dorme in quello, e si veglia in questa, e gli stessi uffizj del Governo di giorno si tengono chiusi.

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19. Presso i mussulmani il digiuno del Ramadàn ha un valore sacra- /32/ mentale, ed è l’opera più importante della loro religione, il vero carattere che distingue l’islamismo; e perciò l’osservano (sempre s’intende a modo loro) col più grande rigore. Per essi ha tanto valore, che, insorgendo la questione delle differenti religioni, non si fa parola di dogmi, ammessi da questa anzichè da quella, ma si parla unicamente di digiuno, in cui sta la sostanza della loro religione. Di modo che in moltissimi luoghi, e principalmente verso il Sud, quando si vuol dire che uno si è fatto mussulmano, si dice: Il tale è passato al digiuno mussulmano; e così all’opposto del mussulmano che si è fatto cristiano. Questo digiuno inoltre è uno degli ostacoli che impedisce a quella razza cieca ed ignorante di abbracciare la cristiana religione; poichè, a loro parere, essa è meno santa dell’islamismo, osservando con meno rigore il digiuno. E sentiremo in Abissinia ed in Kartùm dalla bocca di autorevoli mussulmani qual giudizio facciano essi dei Protestanti, che avversano ogni culto esteriore, e principalmente il digiuno.

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20. Ma un’altra osservazione non voglio tralasciare, cioè, che questa specie di superstizione dei mussulmani rispetto al digiuno, si è anche fatto strada nei cristiani orientali, specialmente eretici. Per essi il digiuno ha un grande valore, e l’osservano rigorosamente, laddove non si fanno scrupolo di furti, di odj, di vendette e di altri delitti. Ed essi (sovente anche i nostri cattolici) restano scandalizzati di noi Latini, che, riputando il digiuno come legge ecclesiastica, ci serviamo talvolta delle legittime dispense, e ne mitighiamo il rigore. Gli Orientali, un po’ per natura, un po’ per educazione, sono d’indola farisaica, ed amanti della giustizia esteriore dell’Antico Testamento; e perciò fanno gran conto di queste pratiche esterne, e poco badano allo spirito della legge ed alla sostanza del culto religioso. Ed il sacerdote latino, che va ad evangelizzare l’Oriente, fa d’uopo che conosca queste cose, per saper trattare con quelle popolazioni, sì mussulmane come cristiane; affinchè, mantenendo sempre fermi i principi, nella pratica non vada con preoccupazioni e smodato rigore, ma con circospezione e prudenza, per non urtare apertamente le loro usanze e suscitar dubbj, timori ed anche scandali; e così non renderà sterile il suo ministero. Trent’anni e più d’esperienza in quelle regioni mi hanno fatto accorto che i pellegrini di colà recandosi a Gerusalemme, prendono più dai Greci, che da noi: e ciò che abbiamo detto sopra non è che una delle ragioni.

Ho descritto in breve il digiuno dei mussulmani, non per una sola curiosità, e neanche [perché] io vegga qui dentro un’interesse di saperlo, ma unicamente per far conoscere sempre più il gran caos che ci separa da questa razza [di]sgraziata; è questa una delle malattie che la rende insanabile, servendo alla medesima moltissimo per acciecarla. Frà il basso popolo cristiano e mussulmano, quando si solleva fra loro la questione delle diverse religioni, non si parla più di dogma, cosa per loro affatto estranea. Il mussulmano esalta il suo digiuno, ed il cristiano loda il proprio digiuno, e per il basso popolo tutta la questione sta nel digiuno. Più i popoli si allontanano dai centri orientali verso il sud non si parla più di religione mussulmana o cristiana, ma si parla unicamente del digiuno: il tale è passato al digiuno mussulmano, per dire che si è fatto mussulmano; così all’opposto del mussulmano che si è fatto cristiano. Quando a suo tempo porterò le lunghe conferenze fatte in Kartum con un Bey ex ministro d’Egitto, allora dalla sua bocca si vedrà dei protestanti e dei Cattolici qual giudizio se ne fa dai mussulmani, taciando i nostri Protestanti come atei, perché mancano di religione esteriore sopratutto di digiuno.
Il Sacerdote che va ad evangelizzare il Levante deve conoscer bene queste cose per sapere come maneggiare queste popolazioni, non solo mussulmane, ma anche cristiane, le quali dal contatto han preso molto di questa malattia, se non vogliono vedere sterile affatto il loro ministero per una prevenzione contraria che senza saperlo fanno precedere. Io parlo per esperienza di 30. e più anni in Abissinia. Gli abissinesi pellegrini a Gerusalemme prendono più dai Greci che da noi per questa ragione, fra le altre molte. Memorie Vol. 1° Cap. 3 p. 27.

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[Nota a pag. 25]

(1) In questi ultimi anni fu ristampata per cura ed a spese del sempre venerando e benemerito signor Antonio D’Abbadie la vita, che di questi due eroi scrisse nel secolo passato il P. Emmanuele da Rennes col titolo — Abrégé de la vie et du martyre des Révérends Pères Agathange de Vendôme et Cassien de Nantes. Capucins. — La quale poscia, bellamente tradotta dal nostro M. R. P. Isidoro da Guercino, venne stampata in Milano. [Torna al testo ]

[Nota a pag. 28]

(1) Vedi la nota 3 in fine del volume. [Torna al testo ]

[Nota a pag. 29]

(1) Avvertano i Missionarj e viaggiatori che per tallero di Maria Teresa non s’intende in Abissinia qualunque tallero austriaco, e neppure tutti quelli coniati dalla detta Imperatrice; ma quello /23/ soltanto del 1780 (ultimo anno della medesima) con la effigie portante una stella sul petto, circondata da alcuni punti, e la corona in capo, i cui globetti si confondono con i punti in giro; e con le due lettere S. F. in basso. Senza questi tre segni ben distinti, qualunque tallero, anche di Maria Teresa, avrà corso tutto al più sui grandi mercati e per grandi pagamenti, non già sui mercati piccoli dell’interno, almeno senza perdervi qualche cosa. Furono pubblicate parecchie leggi contro questi pregiudizi; ma senza effetto, perché su questo traffico di cambio molti vi guadagnano e vivono. [Torna al testo ]

[Nota a pag. 30]

(1) È cosa nota che il Nilo era riputato una delle principali divinità dell’Egitto faraonico; e per questo gli si facevano oblazioni e sacrificj. Il Cristianesimo abolì queste barbare superstizioni; ma s’intende il Cristianesimo puro e cattolico, non quello rafforzato dallo scisma e dall’eresia. Dove queste sètte tennero il predominio, come non cessavano le altre superstizioni, così nemmeno il culto pei fiumi. Io lo trovai nel Fazògl e nei dintorni di Gassàn; poscia in Abissinia, ma meno grossolano. Nei paesi galla poi tra i viaggiatori è cosa ordinaria; prima di passare un fiume vi si getta qualche cosa, ed i poveri, non avendo altro, vi gettano dell’erba. Ma più che altrove lo trovai in Kaffa, dove nel mio esilio del 1861, passando il Goggèb accompagnato da soldati, osservai tra essi un certo cerimoniale, di cui dirò a suo luogo. [Torna al testo ]