CAPITOLO 5

LE FORME ASSOCIATIVE

1. Generalità

Il Comune rappresenta la propria Comunità, ne cura gli interessi, ne promuove e coordina lo sviluppo. I piccoli Comuni spesso non hanno le risorse per sviluppare la propria Comunità, ma evolvere, mantenendo la propria diversità, è oggi un obiettivo raggiungibile. Lavorare insieme agli altri Comuni, mettendo in Comune fondi, risorse umane, strutture ed innovazioni tecnologiche, significa infatti:

  • Razionalizzare l’utilizzo delle risorse
  • Ottenere economie di scala sui servizi
  • Migliorare ed incrementare i servizi al cittadino
  • Diminuire l’incidenza della tassazione
  • Ottenere contributi economici straordinari
  • Diventare competitivi
  • Mantenere la propria autonomia ed identità
  • Acquisire voce e peso nelle scelte di sviluppo

Ci si associa fondamentalmente per funzionare meglio, associarsi può però richiedere spese straordinarie d’impianto e di gestione iniziale, per questi motivi lo Stato e la Regione Piemonte erogano contributi straordinari alle più significative associazioni di Comuni, coerenti con gli indirizzi nazionali e regionali.

Le associazioni si premiano sostanzialmente da sole con i risparmi di gestione, le economie di scala, la migliore qualità del servizio, la migliore gestione del personale, l’erogazione di più servizi con lo stesso organico.

Per il perseguimento di questi fini gli enti locali possono ricorrere ai così detti modelli convenzionali, che consentono l’amministrare per consenso. Tali modelli si sostanziano in forme associative, che tendono a rafforzare le possibilità strutturali delle autonomie locali, al fine di conseguire risultati di maggiore efficienza nell’espletamento dei servizi e delle funzioni pubbliche.

I modelli sono rappresentati dalle convenzioni, dai consorzi, dalle Unioni di Comuni, dalle Comunità montane, dalle Comunità collinari, dall’esercizio associato di funzioni e servizi da parte di Comuni, dagli accordi di programma.

2. Le convenzioni

Nell’interpretazione del D. Lgs. 267/2000 (art. 30) le convenzioni sono accordi organizzativi cui accedono gli enti locali al fine di fare fronte ad esigenze di collaborazione, grazie al coordinamento gestionale nell’esercizio di funzioni, servizi ed attività, senza che sia necessario realizzare una nuova e stabile struttura organizzativa dotata di personalità giuridica.

Le parti interessate devono, riportato nel comma 2 dell’art. 30, precisare i rispettivi obblighi e garanzie, facendo quindi uso di tipiche denominazioni privatistiche.

Le convenzioni possono avere carattere facoltativo od obbligatorio

a) Convenzioni facoltative24

Il comma 1 dell’art. 30 T.U.E.L. sancisce che "al fine di svolgere in modo coordinato funzioni e servizi determinati, gli enti locali possono stipulare tra loro apposite convenzioni"

Riguardo al contenuto delle convenzioni il comma 2 dell’art. 30 si limita ad indicare le materie che devono necessariamente essere comprese nell’atto costitutivo; nel contenuto obbligatorio della convenzione vanno ricompresi:

  • i fini, ovvero le funzioni o servizi, specificamente individuati, da gestire in maniera coordinata o da affidare agli uffici Comuni. L’inesatta o generica indicazione delle funzioni e dei servizi comporta l’illegittimità della convenzione;
  • la durata, che deve essere limitata nel tempo. La dottrina esclude la possibilità di stipulare convenzioni a tempo indeterminato, che priverebbero gli enti della possibilità di valutare con cadenza periodica i risultati conseguiti;
  • le forme di consultazione. Per addivenire alla stipulazione della convenzione da parte dei legali rappresentanti degli enti contraenti è necessario un iter procedimentale che, nel silenzio della legge, si presume estremamente agile. Tuttavia, lo schema di convenzione, prima di essere firmato, necessita di un’apposita delibera d’approvazione da parte del Consiglio degli enti locali interessati, la quale esprime la volontà dell’ente di aderire in quei termini all’accordo. In quella medesima sede, dovendosi approvare anche la parte dello schema di convenzione concernente i rapporti finanziari, può rendersi necessaria l’adozione d’apposite delibere per il ricorso a mezzi di finanziamento necessari a coprire i costi scaturenti dalla convenzione.
  • i rapporti finanziari intercorrenti tra i contraenti.
  • i reciproci obblighi e garanzie.
  • la scelta tra la costituzione d’uffici Comuni o la delega di funzioni ad un Comune. Il comma 4 dell’art. 30 stabilisce che le convenzioni possono prevedere anche la costituzione d’uffici comuni, che operano con personale distaccato dagli enti partecipanti, ai quali affidare l’esercizio delle funzioni pubbliche in luogo degli enti partecipanti all’accordo, ovvero la delega di funzioni da parte degli enti partecipanti all’accordo a favore di uno di loro, che opera in luogo e per conto degli enti deleganti.
b) Convenzioni obbligatorie

Il comma 3 dell’art. 30 del D.Lgs 267/2000 prevede l’ipotesi della costituzione di convenzioni obbligatorie tra enti locali, che si concretizza quando lo Stato o la Regione, per le materie di rispettiva competenza, individuano con legge i casi in cui necessiti la formazione di una convenzione, che può essere prevista:

  • per la gestione a tempo determinato di uno specifico servizio;
  • per la realizzazione di un’opera.

Dall’esigenza di uno specifico intervento legislativo si desume l’insussistenza di un generale obbligo di convenzione tra gli enti locali. Tuttavia il carattere obbligatorio della convenzione impedisce che gli stessi enti possano sottrarsi alla costituzione del rapporto convenzionale, attivandosi in caso contrario il potere sostitutivo dell’organo regionale di controllo, che nomina allo scopo un commissario ad acta.

I rapporti tra gli enti interessati, una volta costituita la convenzione, sono regolati da un disciplinare-tipo approvato dallo Stato o dalla Regione.

Possiamo tranquillamente affermare che la convenzione è dunque un contratto stipulato tra Comuni che presenta sia dei vantaggi sia degli svantaggi, vediamo di sintetizzarli nello schema seguente:

Vantaggi Svantaggi
Strumento leggero e flessibile Scarsa integrazione amministrativa tra i contraenti
Produce un modesto miglioramento economico ed organizzativo Consente di assumere un maggior peso nel quadro generale solo in presenza di molti impegni vincolanti
Non altera la geografia amministrativa del territorio Non è autosufficiente, perché non è un soggetto giuridico autonomo
3. I Consorzi25
Consorzi facoltativi

Gli enti locali possono avvalersi con la più ampia flessibilità dei consorzi (consorzi facoltativi) quali strumenti di cooperazione per lo svolgimento in forma associata di una o più attività, ogniqualvolta valutino l’opportunità di creare un soggetto distinto dotato di personalità giuridica e d’agilità operativa per estendere e rendere uniforme, a livello sovracomunale un servizio o una funzione.

L’art. 31 comma 1 del D.Lgs. 267/2000 definisce le attività consortili identificandole nella gestione associata di uno o più servizi e nell’esercizio di funzioni, e delimitando l’ambito d’operatività dell’istituto consortile, configurando due tipi di consorzi:

  • i consorzi di servizi, che sono quelli che gestiscono attività a rilevanza economica o, sulla base di una precisa opzione statutaria, servizi sociali in forma imprenditoriale;
  • i consorzi di funzioni, che sono quelli che gestiscono servizi sociali in forma non imprenditoriale o funzioni meramente amministrative e strumentali. Per tali tipi di consorzi l’acquisto della personalità giuridica si collega alla sottoscrizione dell’atto costitutivo rappresentato dalla convenzione, ad esso si applicano le norme dettate per gli enti locali.

Può affermarsi che secondo la natura, imprenditoriale o meno, delle attività conferite alla gestione consortile i consorzi possono configurarsi con le caratteristiche degli enti strumentali o con le connotazioni proprie degli enti locali non dipendenti né strumentali rispetto agli enti consorziati.

Ai consorzi possono partecipare altri enti pubblici; è infatti sancita la possibilità di istituire o trasformare consorzi misti, tra enti locali ed altri enti pubblici, purché questi ultimi risultino compatibili con la figura consortile e siano autorizzati a partecipare a tale forma associativa dalle leggi che li disciplinano. Il comma 6 dell’art. 31 vieta comunque di formare più consorzi tra gli stessi enti.

Il procedimento istitutivo nella sua interezza è riservato in tutte le fasi alla piena disponibilità degli enti locali interessati. Nella prassi si realizzano delle informali trattative tra i rappresentanti degli enti locali, nel corso delle quali sono predisposti uno schema di convenzione ed uno schema di statuto.

La convenzione costitutiva deve perseguire i contenuti prefissati dalla legge. Secondo il combinato disposto dagli artt. 30 e 31 del T.U.E.L. la convenzione disciplina:

  • i fini, ovvero i servizi pubblici o le funzioni affidati alla gestione consortile. L’affidamento può riguardare una pluralità d’attività, per cui il consorzio assume una struttura plurifunzionale;
  • la durata;
  • i rapporti finanziari tra gli enti consorziati, individuano le quote di partecipazione di ciascuno di essi;
  • le forme di consultazione degli enti contraenti tra loro;
  • gli obblighi e garanzie reciproche tra gli enti locali partecipanti al consorzio;
  • le nomine e la competenza degli organi consortili coerentemente a quanto disposto dai commi 8, 9, 10 dell’art. 50 e dell’art. 42 comma 2, lett. M;
  • l’obbligo di trasmissione degli atti fondamentali agli enti aderenti al consorzio.

Lo statuto, invece, in conformità alla convenzione deve disciplinare l’organizzazione, la nomina e le funzioni degli organi consortili.

Entrambi gli atti costitutivi devono essere approvati contestualmente dai Consigli degli enti consorziati a maggioranza assoluta (50% + 1) dei componenti.

La struttura organizzativa dei consorzi si articola in organi politici e di rappresentanza e organi tecnici.

Sono organi politici:

  • L’Assemblea, svolge funzioni d’indirizzo e di controllo politico amministrativo, salvo quanto previsto dalla convenzione e dallo statuto per i consorzi l’Assemblea del consorzio è composta dai rappresentanti degli enti associati nella persona del Sindaco, del Presidente o di un loro delegato; con responsabilità pari alla quota di partecipazione fissata dalla convenzione o dallo statuto (art. 31, comma 4, T.U.E.L.);
  • Il Consiglio d’Amministrazione, è eletto dall’assemblea e provvede a dare attuazione agli indirizzi generali individuati da quest’ultima, gli atti fondamentali del Consiglio d’Amministrazione, previsti come tali dallo statuto, sono approvati dall’Assemblea;
  • Il Presidente del consorzio s’identifica nel Presidente dell’assemblea e deve dunque essere un Sindaco o un altro componente di diritto dell’Assemblea.

Sono organi tecnici:

  • il Direttore è l’organo di gestione del consorzio, a lui spettano compiti di rappresentanza legale e di responsabilità gestionale;
  • l’Organo di revisione, è deputato alla vigilanza ed alla revisione contabile. Tale organo dovrà avere una composizione diversa in relazione all’attività che costituisce il fine del consorzio.

L’art. 60 della L. 142/90, come modificato dalla L. 437/95, pone a carico di Comuni e Province l’onere di provvedere all’adeguamento alla nuova normativa delle strutture consortili ovvero alla loro soppressione.

Alla soppressione si dà luogo quando:

  • siano esaurite le funzioni e le finalità della gestione consortile;
  • si possa fare ricorso a differenti strumenti di cooperazione; gli enti intendano partecipare ad altra azienda consortile.
b) Consorzi obbligatori

Il comma 7 dell’art. 31 del T.U.E.L. prevede che in presenza di un rilevante interesse pubblico che lo giustifichi allo Stato è riconosciuta la possibilità di disporre, con legge, la costituzione di consorzi obbligatori cui sono tenuti a aderire gli enti locali individuati dalla stessa legge.

L’ambito di operatività dei consorzi obbligatori è analogo a quello dei consorzi facoltativi: essi possono gestire in forma associata funzioni e servizi salvo diverse previsioni contenute nelle leggi regionali di attuazione.

Il consorzio è dunque un Ente con capacità imprenditoriale istituito da Comuni, evidenziamo i principali pregi e difetti di questa forma d’aggregazione.

Vantaggi Svantaggi
Conviene solo se è grande È tendenzialmente monoservizio
È funzionalmente semplice È scarsamente integrato con i Comuni
Permette il perseguimento di economie di scala L’interesse economico prevale sull’interesse pubblico
Agevola il raggiungimento di un obiettivo fondamentale della gestione, l’efficienza È in evoluzione normativa, soprattutto nel settore dei servizi imprenditoriali
  È un Ente aggiuntivo e comporta spese aggiuntive
4. Le Unioni di Comuni26

Le Unioni di Comuni sono enti locali costituiti da due o più Comuni, di norma contermini, allo scopo di esercitare congiuntamente una pluralità di funzioni di loro competenza.

L’intento della disciplina contenuta nell’art. 32 del D.Lgs. 267/2000, che ha in gran parte recepito la previgente disciplina dell’art. 26 della L. 142/90 come riformulato dalla L.265/99, è quello di creare una sede istituzionale di secondo livello cui affidare la gestione associata di funzioni comunali: un ente locale diffuso su tutto il territorio posto permanentemente al servizio di tutte le tipologie di Comuni, una struttura costituita appositamente dai partner per gestire il loro rapporto collaborativo.

Più che puntare su improbabili successi di fusione, che si scontrano spesso con la geografia dei luoghi ed ancora più spesso con le caratteristiche sociali e storiche di ciascun Comune, il legislatore ha cercato di eliminare gli ostacoli che impediscono di fatto l’affermazione di forme statali di cooperazione mirate a rafforzare i legami orizzontali tra i Comuni, attribuendo alla Regione il compito di svolgere la funzione amalgamante. Rispetto all’originaria disciplina dell’art. 26 della L. 142/90, l’Unione di Comuni non è più finalizzata alla loro fusione; i Comuni potranno dunque convivere senza essere costretti a fondersi.

Possono fare parte di un’Unione di Comuni sia i grandi sia i piccoli enti che siano di norma confinanti; a differenza della normativa precedente i Comuni non devono necessariamente appartenere alla stessa Provincia.

L’art. 32 del D. Lgs. 267/2000 precisa che l’Unione di Comuni è un ente locale, con contestuale attribuzione della personalità giuridica a norma dell’art. 11 C.C.

Tale indicazione è esplicitata già nell’art. 2 del T.U.E.L. che annovera tra gli enti locali anche le Unioni di Comuni.

La determinazione della natura giuridica dell’Unione è funzionale all’individuazione del regime giuridico da applicare a tal ente. A termine della Costituzione infatti solo l’ente locale può essere destinatario della delega di funzioni amministrative regionali o dell’attribuzione iure proprio delle funzioni esclusivamente locali nelle materie di competenza regionale (art. 118 Cost.); solo a siffatto ente può riferirsi la disciplina del controllo di cui all’art. 130 Cost.

Ai fini pratici, inoltre, tale definizione consente di applicare all’Unione di Comuni tutte le disposizioni di principio concernenti gli enti locali, senza che occorrano ulteriori precisazioni o disposizioni di rinvio. Ciò è inoltre ribadito dal comma 5 dell’art. 32 T.U.E.L. secondo cui alle Unioni di Comuni si applicano, in quanto compatibili, i principi previsti per l’ordinamento dei Comuni.

L’atto costitutivo e lo statuto dell’Unione sono approvati dai Consigli dei Comuni partecipanti, con le procedure e la maggioranza richieste per le modifiche statutarie (art. 32, comma 2, T.U.E.L.)

Allo statuto è affidato il compito di definire l’assetto degli organi dell’Unione e le modalità della loro costituzione ed elezione. Nello statuto devono altresì essere specificate:

  • le funzioni da gestire in forma associata;
  • le modalità di acquisizione ed utilizzo delle risorse finanziarie, umane e strumentali occorrenti.

L’Unione di Comuni ha potestà regolamentare che, in particolare, concerne (art. 32, comma 4, T.U.E.L.):

  • la disciplina della propria organizzazione;
  • lo svolgimento delle funzioni ad essa affidate;
  • i rapporti anche finanziari con i Comuni.

L’unico organo politico espressamente previsto dall’art. 32, comma 3 del D.Lgs. 267/2000 è il Presidente dell’Unione, il quale dovrà essere scelto tra i Sindaci dei Comuni associati.

Gli altri organi dovranno essere individuati e disciplinati dallo statuto tenendo presente due vincoli:

  • i componenti devono essere scelti tra gli amministratori (di Consiglio e di Giunta) dei Comuni associati;
  • dovrà essere garantita la rappresentanza delle minoranze.

L’art. 32 comma 5, del D.Lgs. 267/2000 stabilisce che si applicano alle unioni dei Comuni le norme in materia di composizione degli organi dei Comuni; il numero dei componenti degli organi non può comunque eccedere i limiti previsti per i Comuni di dimensioni pari alla popolazione complessiva dell’ente. Alle Unioni competono gli introiti derivanti dalle tasse, dalle tariffe e dai contributi sui servizi ad esse affidati, semplificando così le procedure di accertamento e riscossione, evitando inutili passaggi attraverso i Comuni impositori.

L’Unione è quindi un Ente con piena capacità operativa istituito dai Comuni, andiamo a riassumere i principali pregi e difetti di questa forma associativa:

Vantaggi Svantaggi
Ha grande flessibilità ed autonomia È un ente aggiuntivo e comporta spese aggiuntive
Ha capacità operativa su tutte le funzioni comunali È efficiente solo se multifunzionale
Rappresenta i Comuni dal punto di vista economico e politico Rimane soggetto ad influenze di tipo politico come ogni ente locale
Non prevede l’obbligo di fusione tra Comuni associati  
5. Le Comunità Montane27

L’art. 27 del D.Lgs. 267/2000 stabilisce che le Comunità montane sono Unioni di Comuni, enti locali costituiti fra Comuni montani e parzialmente montani, anche appartenenti a Province diverse, per la valorizzazione delle zone montane per l’esercizio di funzioni proprie, di funzioni conferite e per l’esercizio associato delle funzioni comunali.

Le Comunità montane dunque, sono Unioni di Comuni, oltre ad essere enti locali (art. 2 T.U.E.L.), preposte specificamente alla valorizzazione delle zone montane e all’esercizio di funzioni proprie e conferite, finalizzate a svolgere in forma associata funzioni comunali. Ad esse si applicano in primo luogo le disposizioni dettate espressamente per regolarle ed in via complementare si applicano le disposizioni dettate per le Unioni di Comuni non contrastanti con quelle scritte specificamente per esse.

A decretare l’istituzione della Comunità montana è un atto amministrativo del Presidente della Giunta Regionale (art. 27, comma 3, T.U.E.L.), dopo che la Regione abbia individuato, con legge propria, gli ambiti territoriali omogenei idonei a realizzare gli interventi per la valorizzazione della montagna e l’esercizio associato di funzioni comunali.

La definizione di tali ambiti (zonizzazione) dev’essere concordata con gli enti interessati mediante le procedure attivate ai sensi dell’art. 4, comma 5, del T.U.E.L., che consistono in "strumenti e procedure di raccordo e concertazione, anche permanenti, che diano luogo a forme di cooperazione strutturali e funzionali, al fine di consentire la collaborazione e l’azione coordinata fra Regioni ed enti locali nell’ambito delle rispettive competenze".

Al fine di ridurre l’ambito territoriale di riferimento per la costituzione delle Comunità montane, il comma 5 dell’art. 27 del T.U.E.L. stabilisce che possono essere esclusi i Comuni parzialmente montani nei quali la popolazione residente nel territorio montano sia inferiore al 15% della popolazione complessiva. Lo stesso comma esclude tassativamente i Comuni capoluogo di Province e quelli di popolazione superiore a 40.000 abitanti; l’esclusione non priva i rispettivi territori montani dei benefici e degli interventi speciali per la montagna stabiliti dall’Unione europea e dalle leggi statali e regionali.

Per un più efficace esercizio di funzioni e servizi in forma associata, alla Regione è attribuita anche la facoltà di includere i Comuni confinanti non montani con popolazione non superiore a 20.000 abitanti, che siano parte integrante del sistema geografico e socio economico della Comunità montana; tuttavia gli interventi finanziari disposti dalle Comunità montane e da altri soggetti pubblici a favore della montagna sono destinati esclusivamente ai territori classificati montani, questo è quanto definisce l’art. 28 comma 6 del T.U.E.L.

Oltre a zonizzare le Comunità montane, la legge regionale disciplina le stesse. In particolare essa:

  • detta le modalità di approvazione dello statuto;
  • definisce le procedure di concertazione;
  • disciplina i piani zonali pluriennali ed i programmi annuali;
  • fissa i criteri di ripartizione tra le Comunità montane dei finanziamenti regionali e di quelli dell’Unione europea;
  • disciplina i rapporti tra le Comunità montane e gli altri enti operanti nel territorio.

La Regione provvede, con propria legge, allo scioglimento della Comunità montana in presenza di un Comune montano nato dalla fusione dei Comuni il cui territorio coincide con quello della Comunità montana. In tal caso al nuovo Comune montano sono assegnate le funzioni e le risorse attribuite alla Comunità montana in forza di leggi Comunitarie, nazionali e regionali (art. 27, comma 6, D.Lgs. 267/2000). Tale disciplina si applica anche nel caso in cui il Comune sorto dalla fusione comprenda Comuni non montani.

L’art. 27, comma 2, del D.Lgs. 267/2000 prevede per le Comunità montane:

  • un organo rappresentativo, cui è attribuito il compito di determinare l’indirizzo politico e amministrativo da perseguire;
  • un organo esecutivo, cui sono affidate funzioni esecutive e gestionali dell’attività della Comunità montana, e al quale spetta il compito di dare attuazione alle decisioni assunte dal Consiglio. Entrambi tali organi sono composti da amministratori (Sindaci, assessori e consiglieri) dei Comuni partecipanti;
  • il Presidente, la cui carica non è incompatibile con quella di Sindaco di uno dei Comuni associati.

I rappresentanti dei Comuni della Comunità sono eletti dai Consigli dei Comuni partecipanti con il sistema del voto limitato, garantendo la presenza delle minoranze.

Sulla falsariga di quanto affermato dall’art. 28 del D.Lgs. 267/2000, possiamo distinguere tra funzioni proprie, funzioni delegate e funzioni svolte nell’espletamento dei compiti associativi.

Il secondo comma dell’art. 28 del T.U.E.L. afferma che "spettano alle Comunità montane le funzioni attribuite dalla legge e dagli interventi speciali per la montagna stabiliti dall’Unione europea o dalle leggi statali e regionali". Tra i compiti spettanti alle Comunità è bene sottolineare quello di programmazione.

Documento fondamentale nell’esplicazione dell’attività programmatoria delle Comunità montane è l’adozione del piano pluriennale di sviluppo economico e sociale il quale, tenuto conto della realtà della zona interessata, deve prevedere le concrete possibilità di sviluppo neri vati settori economici, produttivi e sociali.

Tale piano deve tenere conto anche degli obiettivi stabiliti dall’Unione Europea, dallo Stato e dalla Regione, soggetti che possono concorrere alla realizzazione dei programmi annuali che daranno esecuzione al piano pluriennale.

Il piano pluriennale di sviluppo, pur essendo adottato dalla Comunità , deve successivamente essere approvato dalla Provincia, secondo quanto disposto con legge regionale.

Il piano pluriennale assume anche un’importante funzione di programmazione urbanistica, dal momento che le indicazioni in esso contenute concorrono alla realizzazione del piano territoriale di coordinamento di competenza provinciale.

Le Comunità montane possono esercitare anche altre funzioni loro attribuite direttamente dalla normativa statale o regionale; possono quindi svolgere, in attuazione della legge Bassanini, compiti propri o compiti delegati, soprattutto dalla Regione, quando essi non richiedano un unitario esercizio a livello regionale.

La Comunità montana, secondo quanto previsto dall’art. 28, comma 1, T.U.E.L., può esercitare ogni altra funzione che ad essa è delegata dai Comuni, dalle Province e dalle Regioni.

Ai sensi dell’art. 27 del D.Lgs. 267/2000 uno dei compiti principali attribuiti all’ente in esame è quello dell’esercizio associato delle funzioni comunali: il comma 1 dell’art. 28 T.U.E.L., nell’elencare le funzioni che spettano alle Comunità montane, ribadisce che sono attribuiti a questi enti tutte quelle funzioni che devono essere esercitate dai Comuni in associazione tra loro, sia che si tratti di compiti attribuiti dalla legge che di funzioni delegate dalle Regioni.

Le funzioni che possono essere gestite in forma associativa dalle Comunità montane sono innumerevoli e ricavabili da un eterogeneo complesso di disposizioni normative; particolarmente importante è il dettato dell’art.11 della legge 97/1994 che individua settori omogenei dei quali le Comunità montane promuovono l’esercizio associato di funzioni e servizi comunali.

I settori individuati dal citato articolo sono:

  • costituzione di strutture tecnico-amministrative di supporto alle attività istituzionali dei Comuni con particolare riferimento ai compiti di assistenza al territorio;
  • raccolta e smaltimento di rifiuti solidi urbani con eventuale trasformazione in energia;
  • organizzazione del trasporto locale, ed in particolare del trasporto scolastico;
  • organizzazione del servizio di polizia municipale;
  • realizzazione di strutture di servizio sociale per gli anziani, capaci di corrispondere ai bisogni della popolazione locale con il preminente scopo di favorirne la permanenza nei Comuni montani;
  • realizzazione di strutture sociali di orientamento e formazione per i giovani con il preminente scopo di favorirne la permanenza nei territori montani;
  • realizzazione di opere pubbliche d’interesse nel territorio di loro competenza.

Le Comunità montane sono prive di autonomia impositiva per cui esse finanziano le proprie attività esclusivamente con le risorse provenienti dai trasferimenti dello Stato e di altri enti pubblici e con la contrazione di mutui presso la Cassa Depositi e Prestiti.

A norma dell’art. 1 del D.Lgs. 244/97 alle Comunità montane è distribuito:

  • il fondo ordinario, costituito dalla dotazione del fondo ordinario e del fondo consolidato per il 1997; è previsto inoltre un incremento annuale del fondo, destinato in via prioritaria al finanziamento di nuove Comunità (art.4). E’ destinata, inoltre, una quota annua di 10 miliardi al fondo ordinario che sarà distribuito tra le Comunità montane per il 75% in base alla popolazione e per il 25% in base al territorio. La quota di 10 miliardi è stata però maggiorata dal collegato alla finanziaria del 1998 di 3 miliardi e 615 milioni (L.449/97);
  • il fondo nazionale ordinario per gli investimenti, è invece determinato dalla legge finanziaria ed è distribuito fra le Regioni le quali poi provvedono a ripartirlo fra le Comunità montane;
  • fondo per lo sviluppo degli investimenti, distribuito annualmente e determinato in base all’onere residuo a carico dello Stato sulle rate di ammortamento dei mutui contratti dalla Comunità.

Dal 1985 in virtù della legge 887/84 le Comunità montane possono accendere mutui presso la Cassa Deposito e Prestiti.

Tali mutui devono essere utilizzati per finanziare l’acquisto ed il rimboschimento dei terreni montani e per gli altri investimenti previsti dal D.M. 7 gennaio 1998. La L. 97/94 inoltre prevede (art.11) che le Comunità montane possono essere delegate dai Comuni a contrarre mutui per loro conto. Data la diversa struttura dei bilanci, però, l’importo globale degli interessi contenuti nelle rate d’ammortamento non deve superare il 25% delle entrate dei primi due titoli del consuntivo del penultimo anno.

6. Le Comunità Isolane o dell’Arcipelago28

L’art. 2 del D.Lgs. 267/2000 definisce le Comunità isolane enti locali ed in quanto tali estende ad esse le norme del T.U.E.L. A tal proposito l’art. 29 del D.Lgs. 267/2000, recependo il dettato dell’art.5 della L. 265/99, stabilisce che ciascuna isola o arcipelago di isole, ad eccezione della Sicilia e della Sardegna, ove esistono più Comuni, può essere istituita, dai Comuni interessati, la Comunità isolana o dell’arcipelago, cui si estendono le norme sulle Comunità montane.

Tale figura, nel contesto di interventi per lo sviluppo delle isole minori, è finalizzata a valorizzare i territori marini menzionati, affinché siano titolari di funzioni proprie e di funzioni delegate. La Comunità isolana o dell’arcipelago utilizzerà l’assetto normativo previsto per le Comunità montane, ad eccezione delle disposizioni che prevedono finanziamenti per le Comunità montane o siano strettamente inerenti alle problematiche della montagna.


Note:
  1. Anna Cacace, Enza Fontana, Stefano Minieri, Il Comune: ordinamento, contabilità e servizi, Edizioni Giuridiche Simone 2001, Parte X, Cap. 3, Paragrafo 2    [Torna al testo ↑]
  2. Anna Cacace, Enza Fontana, Stefano Minieri, Il Comune: ordinamento, contabilità e servizi, Edizioni Giuridiche Simone 2001, Parte X, Cap. 3, Paragrafo 3    [Torna al testo ↑]
  3. Anna Cacace, Enza Fontana, Stefano Minieri, Il Comune: ordinamento, contabilità e servizi, Edizioni Giuridiche Simone 2001, Parte X, Cap. 3, Paragrafo 4    [Torna al testo ↑]
  4. Rosanna Sangiuliano, Diritto degli Enti Locali XIII Edizione, Edizioni Giuridiche Simone 2001, Parte I, Cap. 5    [Torna al testo ↑]
  5. Rosanna Sangiuliano, Diritto degli Enti Locali XIII Edizione, Edizioni Giuridiche Simone 2001, Parte I, Cap. 5, Paragrafo 5    [Torna al testo ↑]