CAPITOLO 5LE FORME ASSOCIATIVE1. GeneralitàIl Comune rappresenta la propria Comunità, ne cura gli interessi, ne promuove e coordina lo sviluppo. I piccoli Comuni spesso non hanno le risorse per sviluppare la propria Comunità, ma evolvere, mantenendo la propria diversità, è oggi un obiettivo raggiungibile. Lavorare insieme agli altri Comuni, mettendo in Comune fondi, risorse umane, strutture ed innovazioni tecnologiche, significa infatti:
Ci si associa fondamentalmente per funzionare meglio, associarsi può però richiedere spese straordinarie d’impianto e di gestione iniziale, per questi motivi lo Stato e la Regione Piemonte erogano contributi straordinari alle più significative associazioni di Comuni, coerenti con gli indirizzi nazionali e regionali. Le associazioni si premiano sostanzialmente da sole con i risparmi di gestione, le economie di scala, la migliore qualità del servizio, la migliore gestione del personale, l’erogazione di più servizi con lo stesso organico. Per il perseguimento di questi fini gli enti locali possono ricorrere ai così detti modelli convenzionali, che consentono l’amministrare per consenso. Tali modelli si sostanziano in forme associative, che tendono a rafforzare le possibilità strutturali delle autonomie locali, al fine di conseguire risultati di maggiore efficienza nell’espletamento dei servizi e delle funzioni pubbliche. I modelli sono rappresentati dalle convenzioni, dai consorzi, dalle Unioni di Comuni, dalle Comunità montane, dalle Comunità collinari, dall’esercizio associato di funzioni e servizi da parte di Comuni, dagli accordi di programma. 2. Le convenzioniNell’interpretazione del D. Lgs. 267/2000 (art. 30) le convenzioni sono accordi organizzativi cui accedono gli enti locali al fine di fare fronte ad esigenze di collaborazione, grazie al coordinamento gestionale nell’esercizio di funzioni, servizi ed attività, senza che sia necessario realizzare una nuova e stabile struttura organizzativa dotata di personalità giuridica. Le parti interessate devono, riportato nel comma 2 dell’art. 30, precisare i rispettivi obblighi e garanzie, facendo quindi uso di tipiche denominazioni privatistiche. Le convenzioni possono avere carattere facoltativo od obbligatorio a) Convenzioni facoltative24Il comma 1 dell’art. 30 T.U.E.L. sancisce che "al fine di svolgere in modo coordinato funzioni e servizi determinati, gli enti locali possono stipulare tra loro apposite convenzioni" Riguardo al contenuto delle convenzioni il comma 2 dell’art. 30 si limita ad indicare le materie che devono necessariamente essere comprese nell’atto costitutivo; nel contenuto obbligatorio della convenzione vanno ricompresi:
b) Convenzioni obbligatorieIl comma 3 dell’art. 30 del D.Lgs 267/2000 prevede l’ipotesi della costituzione di convenzioni obbligatorie tra enti locali, che si concretizza quando lo Stato o la Regione, per le materie di rispettiva competenza, individuano con legge i casi in cui necessiti la formazione di una convenzione, che può essere prevista:
Dall’esigenza di uno specifico intervento legislativo si desume l’insussistenza di un generale obbligo di convenzione tra gli enti locali. Tuttavia il carattere obbligatorio della convenzione impedisce che gli stessi enti possano sottrarsi alla costituzione del rapporto convenzionale, attivandosi in caso contrario il potere sostitutivo dell’organo regionale di controllo, che nomina allo scopo un commissario ad acta. I rapporti tra gli enti interessati, una volta costituita la convenzione, sono regolati da un disciplinare-tipo approvato dallo Stato o dalla Regione. Possiamo tranquillamente affermare che la convenzione è dunque un contratto stipulato tra Comuni che presenta sia dei vantaggi sia degli svantaggi, vediamo di sintetizzarli nello schema seguente:
3. I Consorzi25Consorzi facoltativiGli enti locali possono avvalersi con la più ampia flessibilità dei consorzi (consorzi facoltativi) quali strumenti di cooperazione per lo svolgimento in forma associata di una o più attività, ogniqualvolta valutino l’opportunità di creare un soggetto distinto dotato di personalità giuridica e d’agilità operativa per estendere e rendere uniforme, a livello sovracomunale un servizio o una funzione. L’art. 31 comma 1 del D.Lgs. 267/2000 definisce le attività consortili identificandole nella gestione associata di uno o più servizi e nell’esercizio di funzioni, e delimitando l’ambito d’operatività dell’istituto consortile, configurando due tipi di consorzi:
Può affermarsi che secondo la natura, imprenditoriale o meno, delle attività conferite alla gestione consortile i consorzi possono configurarsi con le caratteristiche degli enti strumentali o con le connotazioni proprie degli enti locali non dipendenti né strumentali rispetto agli enti consorziati. Ai consorzi possono partecipare altri enti pubblici; è infatti sancita la possibilità di istituire o trasformare consorzi misti, tra enti locali ed altri enti pubblici, purché questi ultimi risultino compatibili con la figura consortile e siano autorizzati a partecipare a tale forma associativa dalle leggi che li disciplinano. Il comma 6 dell’art. 31 vieta comunque di formare più consorzi tra gli stessi enti. Il procedimento istitutivo nella sua interezza è riservato in tutte le fasi alla piena disponibilità degli enti locali interessati. Nella prassi si realizzano delle informali trattative tra i rappresentanti degli enti locali, nel corso delle quali sono predisposti uno schema di convenzione ed uno schema di statuto. La convenzione costitutiva deve perseguire i contenuti prefissati dalla legge. Secondo il combinato disposto dagli artt. 30 e 31 del T.U.E.L. la convenzione disciplina:
Lo statuto, invece, in conformità alla convenzione deve disciplinare l’organizzazione, la nomina e le funzioni degli organi consortili. Entrambi gli atti costitutivi devono essere approvati contestualmente dai Consigli degli enti consorziati a maggioranza assoluta (50% + 1) dei componenti. La struttura organizzativa dei consorzi si articola in organi politici e di rappresentanza e organi tecnici. Sono organi politici:
Sono organi tecnici:
L’art. 60 della L. 142/90, come modificato dalla L. 437/95, pone a carico di Comuni e Province l’onere di provvedere all’adeguamento alla nuova normativa delle strutture consortili ovvero alla loro soppressione. Alla soppressione si dà luogo quando:
b) Consorzi obbligatoriIl comma 7 dell’art. 31 del T.U.E.L. prevede che in presenza di un rilevante interesse pubblico che lo giustifichi allo Stato è riconosciuta la possibilità di disporre, con legge, la costituzione di consorzi obbligatori cui sono tenuti a aderire gli enti locali individuati dalla stessa legge. L’ambito di operatività dei consorzi obbligatori è analogo a quello dei consorzi facoltativi: essi possono gestire in forma associata funzioni e servizi salvo diverse previsioni contenute nelle leggi regionali di attuazione. Il consorzio è dunque un Ente con capacità imprenditoriale istituito da Comuni, evidenziamo i principali pregi e difetti di questa forma d’aggregazione.
4. Le Unioni di Comuni26Le Unioni di Comuni sono enti locali costituiti da due o più Comuni, di norma contermini, allo scopo di esercitare congiuntamente una pluralità di funzioni di loro competenza. L’intento della disciplina contenuta nell’art. 32 del D.Lgs. 267/2000, che ha in gran parte recepito la previgente disciplina dell’art. 26 della L. 142/90 come riformulato dalla L.265/99, è quello di creare una sede istituzionale di secondo livello cui affidare la gestione associata di funzioni comunali: un ente locale diffuso su tutto il territorio posto permanentemente al servizio di tutte le tipologie di Comuni, una struttura costituita appositamente dai partner per gestire il loro rapporto collaborativo. Più che puntare su improbabili successi di fusione, che si scontrano spesso con la geografia dei luoghi ed ancora più spesso con le caratteristiche sociali e storiche di ciascun Comune, il legislatore ha cercato di eliminare gli ostacoli che impediscono di fatto l’affermazione di forme statali di cooperazione mirate a rafforzare i legami orizzontali tra i Comuni, attribuendo alla Regione il compito di svolgere la funzione amalgamante. Rispetto all’originaria disciplina dell’art. 26 della L. 142/90, l’Unione di Comuni non è più finalizzata alla loro fusione; i Comuni potranno dunque convivere senza essere costretti a fondersi. Possono fare parte di un’Unione di Comuni sia i grandi sia i piccoli enti che siano di norma confinanti; a differenza della normativa precedente i Comuni non devono necessariamente appartenere alla stessa Provincia. L’art. 32 del D. Lgs. 267/2000 precisa che l’Unione di Comuni è un ente locale, con contestuale attribuzione della personalità giuridica a norma dell’art. 11 C.C. Tale indicazione è esplicitata già nell’art. 2 del T.U.E.L. che annovera tra gli enti locali anche le Unioni di Comuni. La determinazione della natura giuridica dell’Unione è funzionale all’individuazione del regime giuridico da applicare a tal ente. A termine della Costituzione infatti solo l’ente locale può essere destinatario della delega di funzioni amministrative regionali o dell’attribuzione iure proprio delle funzioni esclusivamente locali nelle materie di competenza regionale (art. 118 Cost.); solo a siffatto ente può riferirsi la disciplina del controllo di cui all’art. 130 Cost. Ai fini pratici, inoltre, tale definizione consente di applicare all’Unione di Comuni tutte le disposizioni di principio concernenti gli enti locali, senza che occorrano ulteriori precisazioni o disposizioni di rinvio. Ciò è inoltre ribadito dal comma 5 dell’art. 32 T.U.E.L. secondo cui alle Unioni di Comuni si applicano, in quanto compatibili, i principi previsti per l’ordinamento dei Comuni. L’atto costitutivo e lo statuto dell’Unione sono approvati dai Consigli dei Comuni partecipanti, con le procedure e la maggioranza richieste per le modifiche statutarie (art. 32, comma 2, T.U.E.L.) Allo statuto è affidato il compito di definire l’assetto degli organi dell’Unione e le modalità della loro costituzione ed elezione. Nello statuto devono altresì essere specificate:
L’Unione di Comuni ha potestà regolamentare che, in particolare, concerne (art. 32, comma 4, T.U.E.L.):
L’unico organo politico espressamente previsto dall’art. 32, comma 3 del D.Lgs. 267/2000 è il Presidente dell’Unione, il quale dovrà essere scelto tra i Sindaci dei Comuni associati. Gli altri organi dovranno essere individuati e disciplinati dallo statuto tenendo presente due vincoli:
L’art. 32 comma 5, del D.Lgs. 267/2000 stabilisce che si applicano alle unioni dei Comuni le norme in materia di composizione degli organi dei Comuni; il numero dei componenti degli organi non può comunque eccedere i limiti previsti per i Comuni di dimensioni pari alla popolazione complessiva dell’ente. Alle Unioni competono gli introiti derivanti dalle tasse, dalle tariffe e dai contributi sui servizi ad esse affidati, semplificando così le procedure di accertamento e riscossione, evitando inutili passaggi attraverso i Comuni impositori. L’Unione è quindi un Ente con piena capacità operativa istituito dai Comuni, andiamo a riassumere i principali pregi e difetti di questa forma associativa:
5. Le Comunità Montane27L’art. 27 del D.Lgs. 267/2000 stabilisce che le Comunità montane sono Unioni di Comuni, enti locali costituiti fra Comuni montani e parzialmente montani, anche appartenenti a Province diverse, per la valorizzazione delle zone montane per l’esercizio di funzioni proprie, di funzioni conferite e per l’esercizio associato delle funzioni comunali. Le Comunità montane dunque, sono Unioni di Comuni, oltre ad essere enti locali (art. 2 T.U.E.L.), preposte specificamente alla valorizzazione delle zone montane e all’esercizio di funzioni proprie e conferite, finalizzate a svolgere in forma associata funzioni comunali. Ad esse si applicano in primo luogo le disposizioni dettate espressamente per regolarle ed in via complementare si applicano le disposizioni dettate per le Unioni di Comuni non contrastanti con quelle scritte specificamente per esse. A decretare l’istituzione della Comunità montana è un atto amministrativo del Presidente della Giunta Regionale (art. 27, comma 3, T.U.E.L.), dopo che la Regione abbia individuato, con legge propria, gli ambiti territoriali omogenei idonei a realizzare gli interventi per la valorizzazione della montagna e l’esercizio associato di funzioni comunali. La definizione di tali ambiti (zonizzazione) dev’essere concordata con gli enti interessati mediante le procedure attivate ai sensi dell’art. 4, comma 5, del T.U.E.L., che consistono in "strumenti e procedure di raccordo e concertazione, anche permanenti, che diano luogo a forme di cooperazione strutturali e funzionali, al fine di consentire la collaborazione e l’azione coordinata fra Regioni ed enti locali nell’ambito delle rispettive competenze". Al fine di ridurre l’ambito territoriale di riferimento per la costituzione delle Comunità montane, il comma 5 dell’art. 27 del T.U.E.L. stabilisce che possono essere esclusi i Comuni parzialmente montani nei quali la popolazione residente nel territorio montano sia inferiore al 15% della popolazione complessiva. Lo stesso comma esclude tassativamente i Comuni capoluogo di Province e quelli di popolazione superiore a 40.000 abitanti; l’esclusione non priva i rispettivi territori montani dei benefici e degli interventi speciali per la montagna stabiliti dall’Unione europea e dalle leggi statali e regionali. Per un più efficace esercizio di funzioni e servizi in forma associata, alla Regione è attribuita anche la facoltà di includere i Comuni confinanti non montani con popolazione non superiore a 20.000 abitanti, che siano parte integrante del sistema geografico e socio economico della Comunità montana; tuttavia gli interventi finanziari disposti dalle Comunità montane e da altri soggetti pubblici a favore della montagna sono destinati esclusivamente ai territori classificati montani, questo è quanto definisce l’art. 28 comma 6 del T.U.E.L. Oltre a zonizzare le Comunità montane, la legge regionale disciplina le stesse. In particolare essa:
La Regione provvede, con propria legge, allo scioglimento della Comunità montana in presenza di un Comune montano nato dalla fusione dei Comuni il cui territorio coincide con quello della Comunità montana. In tal caso al nuovo Comune montano sono assegnate le funzioni e le risorse attribuite alla Comunità montana in forza di leggi Comunitarie, nazionali e regionali (art. 27, comma 6, D.Lgs. 267/2000). Tale disciplina si applica anche nel caso in cui il Comune sorto dalla fusione comprenda Comuni non montani. L’art. 27, comma 2, del D.Lgs. 267/2000 prevede per le Comunità montane:
I rappresentanti dei Comuni della Comunità sono eletti dai Consigli dei Comuni partecipanti con il sistema del voto limitato, garantendo la presenza delle minoranze. Sulla falsariga di quanto affermato dall’art. 28 del D.Lgs. 267/2000, possiamo distinguere tra funzioni proprie, funzioni delegate e funzioni svolte nell’espletamento dei compiti associativi. Il secondo comma dell’art. 28 del T.U.E.L. afferma che "spettano alle Comunità montane le funzioni attribuite dalla legge e dagli interventi speciali per la montagna stabiliti dall’Unione europea o dalle leggi statali e regionali". Tra i compiti spettanti alle Comunità è bene sottolineare quello di programmazione. Documento fondamentale nell’esplicazione dell’attività programmatoria delle Comunità montane è l’adozione del piano pluriennale di sviluppo economico e sociale il quale, tenuto conto della realtà della zona interessata, deve prevedere le concrete possibilità di sviluppo neri vati settori economici, produttivi e sociali. Tale piano deve tenere conto anche degli obiettivi stabiliti dall’Unione Europea, dallo Stato e dalla Regione, soggetti che possono concorrere alla realizzazione dei programmi annuali che daranno esecuzione al piano pluriennale. Il piano pluriennale di sviluppo, pur essendo adottato dalla Comunità , deve successivamente essere approvato dalla Provincia, secondo quanto disposto con legge regionale. Il piano pluriennale assume anche un’importante funzione di programmazione urbanistica, dal momento che le indicazioni in esso contenute concorrono alla realizzazione del piano territoriale di coordinamento di competenza provinciale. Le Comunità montane possono esercitare anche altre funzioni loro attribuite direttamente dalla normativa statale o regionale; possono quindi svolgere, in attuazione della legge Bassanini, compiti propri o compiti delegati, soprattutto dalla Regione, quando essi non richiedano un unitario esercizio a livello regionale. La Comunità montana, secondo quanto previsto dall’art. 28, comma 1, T.U.E.L., può esercitare ogni altra funzione che ad essa è delegata dai Comuni, dalle Province e dalle Regioni. Ai sensi dell’art. 27 del D.Lgs. 267/2000 uno dei compiti principali attribuiti all’ente in esame è quello dell’esercizio associato delle funzioni comunali: il comma 1 dell’art. 28 T.U.E.L., nell’elencare le funzioni che spettano alle Comunità montane, ribadisce che sono attribuiti a questi enti tutte quelle funzioni che devono essere esercitate dai Comuni in associazione tra loro, sia che si tratti di compiti attribuiti dalla legge che di funzioni delegate dalle Regioni. Le funzioni che possono essere gestite in forma associativa dalle Comunità montane sono innumerevoli e ricavabili da un eterogeneo complesso di disposizioni normative; particolarmente importante è il dettato dell’art.11 della legge 97/1994 che individua settori omogenei dei quali le Comunità montane promuovono l’esercizio associato di funzioni e servizi comunali. I settori individuati dal citato articolo sono:
Le Comunità montane sono prive di autonomia impositiva per cui esse finanziano le proprie attività esclusivamente con le risorse provenienti dai trasferimenti dello Stato e di altri enti pubblici e con la contrazione di mutui presso la Cassa Depositi e Prestiti. A norma dell’art. 1 del D.Lgs. 244/97 alle Comunità montane è distribuito:
Dal 1985 in virtù della legge 887/84 le Comunità montane possono accendere mutui presso la Cassa Deposito e Prestiti. Tali mutui devono essere utilizzati per finanziare l’acquisto ed il rimboschimento dei terreni montani e per gli altri investimenti previsti dal D.M. 7 gennaio 1998. La L. 97/94 inoltre prevede (art.11) che le Comunità montane possono essere delegate dai Comuni a contrarre mutui per loro conto. Data la diversa struttura dei bilanci, però, l’importo globale degli interessi contenuti nelle rate d’ammortamento non deve superare il 25% delle entrate dei primi due titoli del consuntivo del penultimo anno. 6. Le Comunità Isolane o dell’Arcipelago28L’art. 2 del D.Lgs. 267/2000 definisce le Comunità isolane enti locali ed in quanto tali estende ad esse le norme del T.U.E.L. A tal proposito l’art. 29 del D.Lgs. 267/2000, recependo il dettato dell’art.5 della L. 265/99, stabilisce che ciascuna isola o arcipelago di isole, ad eccezione della Sicilia e della Sardegna, ove esistono più Comuni, può essere istituita, dai Comuni interessati, la Comunità isolana o dell’arcipelago, cui si estendono le norme sulle Comunità montane. Tale figura, nel contesto di interventi per lo sviluppo delle isole minori, è finalizzata a valorizzare i territori marini menzionati, affinché siano titolari di funzioni proprie e di funzioni delegate. La Comunità isolana o dell’arcipelago utilizzerà l’assetto normativo previsto per le Comunità montane, ad eccezione delle disposizioni che prevedono finanziamenti per le Comunità montane o siano strettamente inerenti alle problematiche della montagna. Note:
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