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Capo VII.
A Fazògl.

1. Partenza. — 2. Rovine di Saba, croci e sepolcri — 3. Antiche iscrizioni. — 4. La città di Sennàar. — 5. A Rossères. — 6. Un villaggio di mercato. — 7. Un bosco di ebano, serpenti ed insetti. — 8. Formiche bianche. — 9. A Fàmaqua. — 10. A Fazògl; accoglienze del Comandante. — 11. La strada per entrare nei Galla. — 12. Per la via di Gassàn. — 13. I Negri di Tâbi.

Fissata la partenza pel Nilo Azzurro, e cercata una barca, che mi conducesse sino alla prima cateratta, che s’incontra lungo quel fiume, pregai Mardrùs di prepararmi tutte le provviste necessarie; ed il caro amico, non solamente si diede la premura di farmi trovar pronte tutte le cose, che avrebbero potuto bisognarmi; ma, vedendomi non bene rimesso in salute, destinò un suo domestico per servirmi e farmi da dragomanno, ed egli stesso volle accompagnarmi per un gran tratto di fiume. Una mattina adunque degli ultimi giorni di Novembre del 1851, abbracciati quei buoni Padri, e ringraziatili della cortese ospitalità che mi avevano prestato, si partì. Il viaggio veramente cominciava con buoni auspicj; poichè avemmo tre giorni di felice navigazione, con vento sempre favorevole; e senza fermarci in nessuno di quei villaggi, che popolano l’una e l’altra sponda del Nilo, se non per poco tempo, giungemmo finalmente alle rovine di Saba, antica città posta a sinistra del fiume (1). A destra vi era un piccolo villaggio, /76/ ed ivi si gettò l’ancora. Trovammo un Ufficiale egiziano con una compagnia di soldati, i quali erano stati mandati per demolire quei resti di ruderi della città, che ancora rimanevano in piedi, e trasportato poi sulle barche il materiale a Kartùm, facevasi servire alla costruzione della casa del Governatore.

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2. Le febbri, che non avevano lasciato di molestarmi, tornarono anche qui, e fui costretto fermarmi due giorni, e ricorrere novamente al tamarindo ed al chinino. Quantunque spossato, volli andare a visitare quei preziosi ruderi: ma poco vi restava, essendo stati tutti demoliti e trasportati a Kartùm per la fabbrica delle case, dopo che Mohammed-Aly stabilì la riedificazione, o meglio, la fondazione di questa nuova città. Alcuni giorni prima del nostro arrivo erano stati scoperti due sepolcri con avanzi di ossa umane, che, senza alcun riguardo, quella barbara gente aveva estratte e disperse; e frammiste a quelle ossa erano state rinvenute due croci, una di rame e l’altra d’argento. Quella di rame, a forma latina, nulla aveva di rimarchevole: ma quella d’argento, di forma similmente latina, con raggi a semicircoli nelle quattro parti estreme, conteneva nel centro e nelle quattro estremità, piccole custodie con cristallo di forma rotonda, che certamente non potevano servire se non per conservarvi reliquie; sicchè giudicai che fosse una croce vescovile od abbaziale.

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3. L’interno di ciascun sepolcro era formato da quattro grandi tavole di terra cotta; circa un metro lunghe, e mezzo metro larghe, ed attaccate ad un muro che le cingeva intorno. Ne vidi alcune ancora intiere, ma le altre erano state spezzate e ridotte in frantumi nel demolire il muro. Tutte erano coperte d’iscrizioni, e vi notai lettere copte ed anche etiopiche. Non conoscendo allora bene queste lingue, ne avea copiato un’intiera linea nel mio portafogli, per poi decifrare quei caratteri e farvi qualche studio; ma andato perduto anch’esso con gli altri miei scritti nella persecuzione di Kaffa, ne restai all’oscuro. Tentai di acquistare almeno le croci, ma non mi si vollero cedere: frattanto dovendo partire, raccomandai /77/ a Mardrùs che, ritornato a Kartùm, facesse di tutto per averle, e ne scrissi pure a quel Governatore; consigliandolo anche di spedirle a Roma, che ne sarebbe stato ringraziato e ricompensato dal Papa. Partito poscia per l’interno, non seppi più altro.

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4. A Saba mi separai da Fatàlla Mardrùs, che, con gran dispiacere suo e mio, fece ritorno a Kartùm, ed io continuai a salire il Nilo. Circa a metà del quattordicesimo grado di latitudine Nord, dalla parte occidentale del fiume si trova la città di Sennàar, metropoli dell’antico regno dello stesso nome. Io non la visitai: ma da quanto mi si diceva, essa ben poco aveva conservato dell’antica sua grandezza e prosperità. Metropoli Ill. Tamarindi e serpenti. || allora di quel regno, che comprendeva tutto il delta, chiuso dai due fiumi Bianco ed Azzurro, era il centro di tutto il commercio di quelle vaste regioni. Smembrato poi il regno, e fabbricata Kartùm, questo commercio era venuto meno; poichè le carovane, che da Gadàref portavano i prodotti dell’Est, invece di volgersi con le loro mercanzie a Sennàar, si dirigevano a Kartùm; tuttavia conservava ancora un po’ di traffico col Sud e col resto del delta. Era residenza di un Modìr, e contava un dieci mila abitanti, quasi tutti mussulmani. In Sennàar e suoi dintorni il clima è caldo assai e malsano, ma certo meno pestilenziale di quello di Kartùm.

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5. Seguitando il nostro viaggio, a destra ed a sinistra del fiume s’in- /78/ contravano di tanto in tanto piccoli e grandi villaggi: ma alcuni deserti ed altri con poca popolazione; perché molti degli indigeni, sottomessi dall’Egitto, perduta la loro indipendenza e libertà, li abbandonavano, per fuggire le angherie e le depredazioni dei soldati egiziani. Questo lungo corso del Nilo è certamente il più nojoso ed anche il più pericoloso di tutto quel viaggio; nojoso, per le continue svolte che fa il fiume, torcendo ora all’Est, ora al Nord, ed ora al Sud; le quali tortuosità, non solo prolungano smisuratamente la strada, ma impediscono che si possa profittare dei venti del Nord. Cosicchè un viaggio che, preso in linea retta, conta per terra pochi chilometri, e si potrebbe fare in mezza giornata, per quelle tortuosità vi tiene sul fiume più giorni. Inoltre pericoloso, perché si è costretti combattere continuamente con gl’innumerevoli coccodrilli ed ippopotami che infestano quelle acque, e stare bene attenti a non urtare contro i palesi ed occulti scogli, nei quali ad ogni tratto s’imbatteva la barca: sicchè eravamo quasi sempre obbligati di passare le notti, o fermi alla riva, o presso un banco di sabbia in mezzo al fiume. Intanto ci vollero dodici giorni per giungere a Rosséres, piccola città posta a destra del Nilo, su di amene e pittoresche colline, vestite tutte di palme; e sì folte ed alte da impedire la vista della città, sparsa su per quelle piccole colline a gruppi di cinque o sei capanne, chiuse da recinti di giunchi. A questo punto s’incontra una cateratta, che le barche a stento possono passare nei mesi di gran piena; e perciò i barcajuoli, che mi conducevano, si fermarono, per ritornare a Kartùm, ed io dovetti trattenermi là qualche giorno, per cercare i cammelli con cui proseguire, per terra, il viaggio.

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6. Alla riva opposta di Rosséres, alquante miglia nell’interno, avvi un villaggio con gran mercato, a cui affluiscono i commercianti di Dinka e delle montagne di Tâbi. Da quanto mi si diceva, questo mercato era allora frequentatissimo, principalmente dalle indipendenti e bellicose popolazioni di Tâbi, che il Governo egiziano non aveva mai potuto sottomettere, e con le quali era costretto a stare sempre in guerra. — Quello che non ha potuto fare, diceva io allora, la forza materiale, il farebbe benissimo la forza morale dei Missionari, se non trovassero ostacoli nella corruzione e nell’ingordigia di questi Governi mussulmani, e fossero lasciati liberi di avvicinare quei popoli, che sembrano selvaggi, perchè non vogliono il giogo di altri selvaggi più di loro. — Un Missionario zelante e prudente, di fatto, in poco tempo, da quel mercato si avrebbe potuto mettere in comunicazione con i Tâbi, e guadagnate col suo disinteresse e con affabili maniere quelle popolazioni, non gli sarebbe stato difficile /79/ piantare su quelle montagne una Missione, che per la salubrità del clima, e per la semplicità di quei popoli, ben presto avrebbe dato copiosi frutti di salute, a spirituale vantaggio e verace incivilimento di quei poveri ma indomiti Negri.

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7. Trovati i cammelli, da Rossères mi avviai per Fàmaqua, in compagnia di alcuni mercanti venuti da Kartùm con grano e riso, ed altri da Gadàref con caffè e sale. Il primo giorno si camminò per boschi di ebano di grande estensione, e lungo la strada c’imbattevamo in bellissimi alberi guastati dai viaggiatori, per toglierne qualche scheggia e portarla via: altri, abbattuti e fatti a pezzi, si tenevano pronti per essere trasportati a Rossères, e poi imbarcati per Kartùm, e per l’Egitto. La sera, usciti dal bosco, si fece sosta presso di una fontana, che sorgeva poco distante da un villaggio, già abbandonato per le solite ruberie e sevizie dei soldati egiziani. Avevamo intenzione di passare la notte in quelle capanne; ma le trovammo sì piene di serpenti e di altri schifosi insetti, che fuggimmo spaventati. Ci convenne pertanto dormire all’aria aperta, e scelto un terreno secco e spoglio di erbe e di sterpi, vi stendemmo le nostre pelli, e così fu preparato il morbido letto! In quei caldi paesi neppure si può dormire sicuri dove trovasi erba ed altri cespugli, perché da per tutto si annidano serpenti e scorpioni, che, principalmente di notte, sono pericolosissimi. S’incontrano frequenti il serpente boa e l’aspide: il primo lungo circa due metri, e grosso come un braccio; ma non tanto micidiale quanto l’aspide. Tuttavia son da evitarsi l’uno e l’altro.

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8. Quella notte mi restò impressa nella memoria, per un danno che ricevetti da una specie di formiche quasi interamente bianche. Questi insetti, che infestano in numero straordinario quei caldi ed aridi terreni, di giorno non si lascian vedere; perchè, non potendo resistere ai cocenti calori, se ne stanno rintanati dentro terra, e solo di notte sbucano dai loro nascondigli, per procacciarsi da mangiare. La sera adunque, dopo caduta la rugiada serotina, stesa la mia pelle, che dovea servirmi di letto, e recitate le solite preghiere, mi posi a dormire al chiarore di quelle splendide stelle. Veramente, sentendomi assai stanco, presi subito sonno e dormii profondamente sino a metà della notte: ma appena svegliato, avvertii un bruciore per tutto il corpo, che mi faceva dare in ismanie, e nel tempo stesso un mordermi e punzecchiarmi, come se mi fossi aggirato tra le spine. Essendo perfetto bujo, accesi un fiammifero, e con mia grande sorpresa vidi la pelle tutta traforata, da poterne fare un crivello, ed un esercito di formiche bianche, che mi assalivano rabbiosamente da tutte le parti. /80/ Svegliai allora i compagni, che saporitamente dormivano, e ci volle di tutto per liberarmi da quelle schifose bestie, che mi serpeggiavano addosso come quando sono molestate attorno alle loro tane; ma la pelle era resa inservibile. Notai che ai miei compagni non si erano accostate per nulla; e chiestane la ragione, mi risposero ch’essi solevano ungere le pelli con un cert’olio, dal quale quelle bestie rifuggono, e che non istendevano mai le pelli dopo caduta la rugiada, ma bensì prima; affinchè posando sopra un terreno asciutto, le formiche, che amano e cercano l’umidità, se ne tenevano lontane. Darò appresso altri particolari di questo flagello di una gran parte del continente africano.

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9. La mattina si continuò a camminare verso Fàmaqua, tenendo un sentiero che serpeggiava su e giù per colline, per valli e per profondi e precipitosi torrenti, ingombri di roccie, di sassi, e di spine; talmenteché quel tragitto si rendeva difficile agli uomini, non meno che agli animali. Finalmente ritrovammo il Nilo, lasciato a Rossères, ed eccoci a Fàmaqua. Il fiume a questo punto fa una curva dall’Ovest all’Est, per uscire da una valle posta tra due collinette; ed ivi scorrendo in mezzo a due roccie molto ristrette, i cammelli, per tragittarlo, dovettero scendere più basso, ed andarlo a passare in letto più spazioso e guadabile; laddove noi lo tragittammo dentro una barca. Poscia riunitici, si sali al villaggio di Fàmaqua, posto su di un colle, e le cui capanne, sparse a gruppi qua e là, presentavano un grazioso panorama. Qui Mohammed-Aly, prima della guerra con la Turchia, aveva fabbricato un bel palazzetto, affinchè gli servisse di rifugio nel caso che, rimasto vinto, avesse dovuto fuggire dall’Egitto. Esso sorgeva su di una collinetta, che domina il Nilo, ed era circondato di graziosi giardini. Non fu mai abitato, e senza essere condotto a termine, già cominciava ad andare in rovina.

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10. Si passò quella notte a Fàmaqua; ed il giorno seguente, rimessici in cammino, non tardammo a raggiungere la piccola città di Kiri, capoluogo della provincia del Fazògl. Questa città, fabbricata da Mohammed-Aly, poteva chiamarsi piuttosto una stazione di soldati; poichè, oltre la guarnigione militare, non contava un migliajo di abitanti, la più parte schiavetti viziati e donne di cattiva vita. Con le raccomandazioni che io portava dal Cairo, non poteva dubitare di una favorevole accoglienza; molto più che la fama di spia del Governo mi aveva preceduto. Fui pertanto ricevuto dal Comandante con tutti i riguardi possibili in quei paesi, ed ospitato in casa sua. Quell’ abitazione conteneva un piccolo serraglio, in cui il padrone passava qualche ora della giornata, ed una gran sala, che serviva /81/ per ricevere le persone, per pranzarvi e per dormire. La sera, dopo una lauta cena, ci trattenemmo in conversazione; e giunta l’ora di andare a letto, il padrone si fe’ venire un paggio per ispogliarlo, e tenergli compagnia lungo la notte: il giovanetto di fatto, svestitolo, gli si accosciò ai piedi, per titillargli le gambe e disporlo al sonno. Ne aveva assegnato uno anche a me, e a due altri Ufficiali, che colà dovevano pur dormire: ma io lo rifiutai, ed andò a porsi accanto del mio servo. Quest’uso, che mostra semprepiù la corruzione mussulmana, è un atto di gentilezza, che in quelle parti suole usarsi a persone bene accette e ragguardevoli.

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11. La mia andata al Fazògl avea in mira di scoprire se da quella Ill. Veduta del Nilo. || parte si avrebbe potuto trovare una strada, che mi portasse direttamente ai Galla, senza passare per l’Abissinia; e perciò, appena giunto, mi diedi la premura di prendere tutte le informazioni possibili. Kiri si trova sulla riva occidentale del Nilo Azzurro, e di là mi si additavano verso l’Oriente paesi galla, distanti, secondo loro, un cinque o sei giorni di viaggio, ma per istrade pericolose ed impraticabili. Giusta però i miei calcoli, quei paesi non doveano essere punto galla, ma piuttosto il Goggiàm da me conosciuto. Eravi a Kiri un vecchio settuagenario, stato già paggio di Mohammed-Aly, e poscia Ufficiale sotto il comando di Ibraim Pascià, aveva combattuto nella guerra della Siria: indi, a cagione della sua avanzata /82/ età, era stato messo quasi in riposo, dandogli la custodia dell’antico, arsenale, impiantato nel Fazògl dal suddetto Mohammed-Aly. Questo vecchio mussulmano, parlando bene la lingua italiana, passava una gran parte della giornata con me: e poichè era stato due volte in Abissinia, quale ambasciatore del Governo egiziano a Ras Aly, mi consigliava una strada che, volgendo verso il Nord, mi avrebbe portato al lago Tsana, e poscia ai Galla. Questo viaggio, quantunque facile a farsi, e senza tanti pericoli, tuttavia non mi garbava punto; poichè, entrando in Abissinia, mi sarei esposto immancabilmente di nuovo alle passate persecuzioni di Salâma, e forse senza speranza di poter penetrare tra i Galla. Quel vecchio Ufficiale inoltre, benché credesse una finta la mia intenzione di uscire dai confini egiziani, perché mi teneva anch’esso per una spia segreta del Governo, pure mi parlò di Fadàssi, al cui mercato portavansi numerosi i Galla; e dicevami che dal Fazògl recandomi a Gassàn, in mezza giornata di cammino sarei giunto a Fadàssi, e da lì con i mercanti galla avrei potuto continuare il viaggio per quei paesi. Altri negozianti poi venuti da Gadàref, per vendere sale e caffè, mi consigliavano la via di Matàmma, donde con le carovane di Dunkùr, avrei potuto andare direttamente ai paesi galla, girando intorno all’Abissinia.

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12. Tutti questi diversi pareri mi tenevano titubante; ed ignorante com’era di quei luoghi e di quelle popolazioni, non sapeva a quale partito appigliarmi. Finalmente mi risolvetti per la via di Gassàn, come quella, che più direttamente ed in minor tempo, mi avrebbe avvicinato al sospirato paese, che per circa sei anni era stato l’oggetto delle mie ansietà e delle mie fatiche, e dal quale la malvagità degli uomini mi aveva tenuto lontano. E poichè ogni settimana partiva da Kiri per Gassàn, e da Gassàn per Kiri una compagnia di cento soldati, per iscortare le corrispondenze delle miniere d’oro di Gassàn, giudicai che il miglior partito sarebbe stato quello di unirmi con essi. Ne parlai pertanto al Comandante, affinchè desse il suo consenso e pensasse a provvedermi le bestie necessarie; accolta di fatto favorevolmente la mia domanda, presi il solito decotto di tamarindo ed il chinino, e mi disposi a partire.

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13. Da Kiri a Gassàn vi sono tre giorni di viaggio pericoloso, per le continue imboscate che fanno alle carovane turche ed egiziane le indomite popolazioni di Tâbi. Usciti da Kiri, si presenta ad Ovest un gruppo di montagne, che si elevano maestose nella gran pianura di Dinka, e dalle quali scendevano quei terribili Negri, ch’erano il terrore e lo spavento dei soldati egiziani. Da informazioni prese conobbi che tutto il gruppo /82/ di quelle montagne era popolato di Negri robusti ed arditi; i quali ubbidivano ad un Regolo, assai venerato nel paese; e non solamente essi, ma anche alcuni villaggi Dinka, posti attorno alle montagne, gli erano soggetti e gli pagavano un tributo. Tutti quei montanari parlano un dialetto particolare, che ha molta affinità con la lingua Dinka, coltivano la terra, ed allevano molto bestiame. Il clima doveva essere sanissimo, e mi si diceva che sull’alto delle montagne faceva freddo; laonde gli abitanti, avendo bisogno di coprirsi con abiti più grevi, si lavoravano da loro stessi tele pesanti e abbastanza forti e durature. Prima che l’Egitto stendesse il suo dominio su quelle parti, i Tâbi si mantenevano in amichevoli comunicazioni con le popolazioni dei dintorni, ed in Fazògl trovavansi anche allora famiglie legate da vincoli di parentela con i Tâbi: ma dopo l’invasione degli Egiziani, ruppero ogni comunicazione con istranieri ed indigeni, e protetti dalle loro montagne, conservarono la propria indipendenza, facendo una guerra accanita ai nuovi invasori. Anche molti del Fazògl in tale occasione si erano ritirati su quelle inespugnabili naturali fortezze, per godere quella libertà ed indipendenza che si voleva loro togliere; ed unite le forze, facevano pagar cara ai figli di Maometto la loro sete di regno, di schiavi e di denaro. Da principio, mancando di fucili, temevano di scendere al basso; ma poi, avendosene procurati dai soldati egiziani medesimi, che per riacquistare la libertà, talvolta fuggivano lassù con armi e bagaglio, e prendendone di poi ai nemici nelle continue imboscate che loro facevano, divennero così forti e terribili, che, laddove prima bastavano cinquanta soldati per la scorta delle carovane, che da Kiri andavano a Gassàn, e viceversa, poscia non erano sufficienti neppur cento.

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[Nota a pag. 75]

(1) Non bisogna confondere questa Saba con quella nominata più volte nella Sacra Scrittura; poichè sono due città distinte, l’una appartenente alla regione arabica, oggi chiamata Sana, e dalla quale il Real /76/ Salmista dice esser venuti i Re Magi, e l’altra, ch’è questa del Nilo, appartenente alla regione etiopica. Dico alla regione etiopica, perchè l’Etiopia in tempi antichi abbracciava anche il Sudan, quasi tutto l’Alto Egitto e parte della Nubia. Sembra inoltre che anche a questa Saba possa alludere la Sacra Scrittura in quel versetto Omnes de Saba venient, aurum et thus deferentes, per la ragione che vicino ad essa trovavansi le note miniere d’oro del Sennàar, ricercate e scavate ai tempi nostri da Mohammed-Aly. È certo poi che questa Saba dovette essere una città cospicua e di somma importanza; poichè quei popoli, Nubiani, Sudanesi, Abissini, Galla, conservano ancora, rispetto alla sua grandezza e magnificenza, molte tradizioni: non solo per i tempi biblici, ma anche per quelli che seguirono la nascita di Gesù Cristo, e lo stabilimento del cristianesimo. Le due tombe inoltre, di cui ora vengo a parlare, ed altri monumenti, trovati e distrutti da quei popoli barbari ed ignoranti, ce ne fanno certa fede. [Torna al testo ]