Storia dell’antica Abbazia e del Santuario
di Nostra Signora di Vezzolano
Del Sac. Cav. Antonio Bosio

[seguito di p. 91]

Abati Commendatari.

Ottaviano Carisio 1592.

Era figliuolo del fu Vincenzo Carisio, nobile genovese. Fu nominato a questa prepositura con bolle di Clemente VIII in data quarto nonas Maii (4 di maggio), 1592. Prese possesso per procura, mandando a tale uopo, il magnifico signor Dionigi Basilio del fu Cristoforo che ai 14 d’agosto di tale anno presentò le dette bolle e la procura al magnifico e reverendo frate Don Bartolomeo Rachieto da Carmagnola, dell’Ordine di S. Agostino, il quale condusse il detto pro- /92/ curatore e lo mise in possesso, colle solite formalità della chiesa e dei chiostri, e della casa di Vezzolano, rogandone atto il notaio Alessandro De Valle di Cinzano. Quindi lo condusse al luogo di Albugnano, e fatti convocare per mezzo del nunzio Antonio Lupo, i consoli di detto Comune, li commendevoli Bertino Serra e Bartolomeo de Magistris, e preso per mano il detto procuratore gli fece prendere possesso della chiesa di S. Giacomo, comandando ai detti consoli ed agli uomini d’Albugnano di obbedire al nuovo preposito Don Ottaviano, rogandone pure l’atto il notaio suddetto. Fra li procuratori vi era il magnifico signor Ivaldo Scozia dei signori di Pino. Quindi si recarono a prender possesso delle Massarie d’Uvia ossia Oviglia a Riva. Di questo possesso vi è copia autentica nell’archivio comunale d’Albugnano.

Ai 26 d’ottobre del 1593 diede alcuni beni in affitto. Nel 1594 ai 4 di febbraio il suddetto F. Bartolomeo Rachieto, che era stato nominato vicario del Preposito, diede investitura ai De Rubeis e Rustichelli di Gassino, di giornate 20, sulle fini di Settimo Torinese, come risulta dalla procura delli 6 agosto 1593 data dal Carisio.

Dal trovarsi nell’anno 1594 il detto Vicario Rachieto dell’Ordine di S. Agostino, si può arguire che ancora alcuni Agostiniani uffiziassero le Chiese; e forse cessarono non molto dopo, poichè si trova, nel 1607, un D. Tommaso Lomello, Vicario dell’Abate Galliano. Del Carisio si vede ancora un bel reliquario in forma di quadro, con frontone di legno nero con due colonnette di alabastro di colore incarnato, contenente molte sacre reliquie; sopra vi è l’arma della famiglia Carisio, cioè d’oro a tre fascie di nero, col capo dell’impero; lo /93/ scritto dice così: Oct. Carisius Comm. Questo reliquario è collocato sopra il gruppo della Madonna all’altare maggiore, sotto il baldacchino di velluto cremesi. L’Ottaviano essendosi, non si sa come, macchiato d’omicidio, dovette rinunziare: il che fece a favore di Ottaviano Galliano suo nipote con procura delli 20 settembre 1597 in capo di Ambrogio Galliano; ma le bolle di Papa Clemente VIII erano già spedite in data delli 4 dello stesso settembre (archivi generali). In esse il Pontefice manda alli arcivescovi di Genova e di Torino di metter in possesso della Prepositura di Vezzolano Galliano Ottaviano provvisto dalla Santa Sede. Trovasi un altro atto di rassegna del Carisio datato ai 29 marzo del 1598, essendo nella cancelleria vescovile di Casale, ed è detta Prepositura di nessuna Diocesi.

Ottaviano Galliano 1597.

Il nuovo Preposito Ottaviano Galliano era di nobile famiglia di Ventimiglia, figliuolo di Ambrogio Dottore in medicina ed in sacra teologia, il quale era medico e commensale del predetto cardinale d’Altaemps, dal quale ebbe una pensione di ducati d’oro 200 sull’abbazia di Chiaravalle; fu anche Archiatro di Clemente VIII.

Il dottore Ambrogio morì circa il 1600 e lasciò alcune opere commendevoli stampate, come si può vedere dalla Storia di Ventimiglia, del Ch.mo Girolamo Rossi, e negli scrittori Agostiniani.

Nel 1597 vi era sopra la mensa dell’Abate una pensione di cento scudi d’oro da giulii undici caduno a favore di Quirinio Zurla.

/94/ Il Prevosto ottenne dalla Sacra Ruota di Roma citatorie contro Ludovico de Canibus dei signori di Albugnano pretendente d’esercire la giurisdizione in detto luogo, cosa che aspettava alla prevostura, con inibizione (carta delli 8 maggio 1598.) Non ho trovata altra notizia di questo De Canibus e non saprei come ciò pretendesse; se forse non avesse acquistata qualche terra feudale dai Marchesi di Monferrato.

Nonostante che si dicesse Vezzolano di niuna diocesi, tuttavia credendo sempre che dal Vescovato di Casale dipendesse, monsignor Tullio Del Carretto di Millesimo, come dissi, fece fare una visita alla detta chiesa, nella festa del Santissimo Natale del 1604; e pur troppo si ebbe a constatare che l’Abbazia era di molto scaduta, e che la chiesa stessa era divenuta ricettacolo di banditi e di persone di male affare, poichè la medesima si trovava sui confini dello stato di Monferrato con quelli del Piemonte.

Trovandosi il prevosto Galliano in Roma, fece procura ai 12 di settembre 1620, in capo di Cesare e di Paolo suoi fratelli, i quali vennero ad abitare a Vezzolano; Cesare in atti del 1624 e 1648 è detto dei Signori di Vezzolano. Nel 1622 il presidente Alessandro Grisella fece la descrizione di tutte le carte della Badia di Vezzolano; non si sa dove ora esista, forse è negli Archivi del Duca di Mantova.

D. Giovanni Maria Serra, figlio del nobile Giacobino, vicario dell’Abbazia nel 1620, morì il 1° di agosto del 1625 con testamento delli 30 luglio, e venne sepolto a Vezzolano.

Pel trattato di Cherasco delli 6 di aprile 1631, con Albugnano, passò anche la Prepositura o Badia Vezzolanese, sotto lo scettro della Real Casa di Savoia. L’a- /95/ bate Galliano ben visto da quella Corte venne elevato nel 1634 ai 14 di gennaio alla carica di Gran Priore del sacro e militare Nel testo: Ordine dei Ss.
vedi Correzioni
Ordine dei SS. Morizio e Lazzaro. Il Papa Paolo V Borghese lo nominò suo cameriere segreto.

Nel 1639 diede collazione del Priorato di Capriasco ai chierico Giuseppe Ferrero di Biella, presentato dalla famiglia Bazana. Questo beneficio, come già dissi, fu unito al seminario di Vercelli coll’obbligo però di una pensiona ai Canonici di Masserano (1a).

/96/ Non si conosce la data della morte dell’abate Galliano, ma probabilmente avvenne sul principio del 1648 (1b).

I Galliani di Ventimiglia, credo che abbiano lo stesso blasone dei Galeani o Galliani di Nizza, cioè: d’oro a tre bande d’azzurro col capo rosso ad un leopardo d’oro passante. Cimiero una donna che tiene nella destra un dardo. Motto: Deo dante.

Eugenio Morizio di Savoia 1648.

Questo principe venne nominato abate dal Duca di Savoia, a cui spettava la nomina, e provvisto con bolle delli 15 aprile del 1648 da Innocenzo X.

Forse sotto questo abate si riattò il campanile, il quale non è terminato, e dovrebbe essere molto più alto, fatta ragione all’ampiezza e solidità della sua base, e sopra si vede un anemometro, ossia una vela coll’arma di Savoia.

Si eresse forse pure la cappella di S. Morizio comandante della Legion Tebea, nella chiesa di Vezzolano, se non si deve all’antecessore abate Galliano siccome colui che era Gran Priore dell’Ordine Mauriziano.

Nel 1657 rinunciò a questo beneficio, ed i beni del medesimo ai 27 giugno di tale anno erano già ridotti alle mani della reverenda Camera apostolica (2a).

/97/ Madama Reale Cristina di Francia, Duchessa di Savoia, fece uffizi perchè venisse eletto ad abate il canonico Giovanni Antonio Aghemio, ma potè ottenergli solamente una pensione sull’Abbazia di 200 scudi, come rilevasi da lettere dei cardinali Rospigliosi e Corradi del 1658. D. Francesco Penazio fu vicario nel 1657.

/98/

Antonino Compagni 1657.

Papa Alessandro VII con bolle del 5 delle calende di febbraio (18 gennaio), del 1657 nominò Antonino Compagni Bolognese e chierico Astese d’anni 28, ad istanza del Cardinale Sacchetti, parente dell’eletto e per raccomandazione di S. A. R., come pure risulta dalle sovra citate lettere.

Sulla Badia avea una pensione di 400 scudi romani Paolo Pasta, cavaliere mauriziano, la quale fu poi concessa a Carlo Francesco Compagni, fratello del nuovo abate, prefetto del palazzo della Principessa di Savoia, come da carta presso me. Non saprei il motivo, ma la presa di possesso di Vezzolano, si ritardò oltre i quattro anni dalla nomina, come si può vedere gli Archivi d’Albugnano, ove esistono i testimoniali autentici di detto possesso in data dei 25 maggio del 1662 (1c). Era stato incaricato della esecuzione monsignor Paolo Vincenzo Rovero, vescovo d’Asti, il quale delegò Don Francesco Rolando, pievano di Pino. Il predetto Carlo Francesco Compagni fu incaricato, come procuratore dai fratello abate, a prendere il possesso, nel quale realmente fu messo dal detto pievano subdelegato, e primieramente della chiesa e del monastero di Vezzolano nelle forme consuete; quindi i suddetti coi testimoni si recarono alla chiesa ed al sito, sopra cui /99/ anticamente si diceva che sorgesse il castello in Albugnano, poscia alla massaria di Panseto ed alle cascine di Uvia a Riva, che erano cinque simultenenti ed alla cascina di Aransono sopra il territorio della stessa Riva. L’atto fu rogato da D. Viarizio, prevosto di Bersano, notaio apostolico, e segretario assunto. La copia di quest’atto si conserva coll’autentica di Seglie Notaio. Il Nunzio apostolico, monsignor Angelo Ranuccio, per ordine del Papa, annullò alcune scomuniche date dal Vescovo di Casale contro Albugnano per essere contrarie agl’indulti di Giulio II e di Clemente VII con decreto delli 3 aprile 1664. Per terminare ogni controversia col Vescovo Casalese ottenne l’abate, nel 1669, un breve di Clemente IX del primo d’ottobre, per cui si delegò il Nunzio di Torino per conoscere in tale causa e perchè fosse dichiarata l’Abbazia nullius dioecesis e dipendente direttamente dalla S. Sede. Nel 1670 ai 22 di maggio ottenne pure lettere di citazione (in istampa), contro i Vescovi di Casale, Vercelli, Ivrea e Torino per non essere molestato nel quasi possesso di presentare e nominare ai beneficii, ossia Priorati della sua Abbadia o Prepositura dipendenti, che erano in allora dodici.

Suscitatasi la questione sul valore dei fiorini di Savoia, che in numero di ottanta, la comunità d’Albugnano erasi obbligata di pagare annualmente al monastero di Vezzolano per alcune esenzioni ottenute per istromento dei 14 aprile 1485, si radunò la detta comunità in presenza del signor Melchior Raysoni, notaio e podestà, per l’abate Antonino Compagni e il conte Antonino Benzo, ambi dei signori conti di Albugnano, ed in presenza pure del molto illustre e molto reverendo signor D. Francesco Rolando, dot- /100/ tore in ambe leggi, protonotario apostolico e vicario dell’Abbazia, e si convenne che si dovesse pagare per l’avvenire doppie 13 d’Italia, conferenti il valore L. 175 e ½ in lire ducali da soldi 20; e ciò come da carta nell’Archivio d’Albugnano in data 21 ottobre 1669. Il detto D. Rolando, che era stato pievano di Pino, morì alle 5 dicembre 1685 e venne sepolto nella chiesa di Vezzolano.

Il Compagni prima d’essere abate di Vezzolano era stato investito da ragazzo (se pure non è un altro dello stesso nome e cognome) di un Priorato, credo di S. Antonio, come si rileva dalla seguente iscrizione, che si legge in Camerano nella chiesa della Confraternita del santissimo Nel testo: nome di Gesù
vedi Correzioni
Nome di Gesù, eccola:

Antoninus Cornpagnus
Bartholomei filius
Nobilis Florentinus
Primus Prior
Anno Domini
MDCXXXVI
Die 16 Xbris
.

L’abate Compagni morì in agosto del 1674, e dovea esser chierico. Si era laureato in leggi a Roma, e ritengo che fosse veramente figlio di Bartolomeo Compagni, che da Firenze si trasferì in Piemonte circa il 1600 al servizio del Duca, e fu foriere maggiore di cavalleria e Governatore di Bene. Avendo sposata Margarita Asinari dei Signori di Camerano, si stabilì ivi. Il Carlo Francesco, fratello dell’abate, era capitano di cavalleria, maggiordomo, prima della principessa Ludovica, vedova del principe Morizio, poi del Duca e Governatore del castello di Saluzzo. Ac- /101/ quistò parte di Mombello detto della Frasca presso Chieri e ne fu investito nel 1694, di mesi sette, giorni tre e ore 14 e ¼; il quale feudo era diviso in mesi 48, e perciò fra molti feudatari.

I Compagni, detti ora Boncompagni, abitarono anche a Mondonio, ove si veggono alcune iscrizioni in una cappella, che loro apparteneva, nella chiesa parrocchiale. I Boncompagni signori di Mombello hanno per arme uno scudo d’oro ad una banda di nero. Avendo un Bartolomeo di quella famiglia prestato qualche servizio alla corona d’Inghilterra, ebbe per concessione di Enrico VIII la facoltà d’aggiungere la rosa rossa composta di cinque foglie grandi ed altrettante più piccole presso l’angolo destro, e sopra la banda nera.

Carlo Giuseppe Doria del Maro 1675.

Doria Carlo Giuseppe Tommaso, figliuolo di Giovanni Girolamo dei conti del Maro, e di Margarita Scaglia di Verrua, secondo la genealogia compilata dall’abate Agostino Torelli, fu primo elemosiniere del duca Vittorio Amedeo II, nel 1697 cancelliere dell’Ordine della SS. Annunziata, consigliere e ministro di Stato, cavaliere di Gran Croce Mauriziano con commenda, ambasciatore al Re cristianissimo; nel 1723 per tre anni viceré in Sardegna, ambasciatore a Madrid, ove compilò le relazioni sulla Corte di Spagna, stampate con quelle del conte Lascaris, dal chiarissimo commendatore Domenico Carutti nelle Memorie della Regia Accademia delle Scienze in Torino, serie II, tomo XIX, nel 1860 (1d). Essendo stato eletto alli 11 aprile, /102/ ebbe dal Papa Clemente X le bolle di collazione della Badia in data delli 22 ottobre del 1675. Prese possesso alli 8 maggio dell’anno seguente, carta questa, che colla detta bolla si conserva negli Archivi generali. Io poi tengo una lettera del Cardinale Pio di Savoia alla marchesa Camilla Bevilacqua Villa dei 29 agosto 1674, concernente la nomina del Doria.

Il Saletta lasciò una memoria manoscritta, negli Archivi del Regno, in data delli 20 maggio 1710, con cui vuole provare che l’Abbazia di Vezzolano fu fondata da Marchesi di Monferrato: ma ciò senza alcun fondamento, anzi con prove in contrario, mentre i Marchesi di Monferrato vennero investititi dai Monaci di Vezzolano del feudo e castello d’Albugnano. Accade sempre così, quando non si hanno dati certi di un fatto illustre, viene sempre attribuito al più potente, a colui che comanda.

In una carta del 1686 concernente il porto d’armi s’intitola: Conte e Cavaliere e grande elemosiniere di S. A. R. D. Tommaso Doria, abate e perpetuo commendatario di Vezzolano, ed ivi appare come fosse suo Vicario D. Federico Muratore. È nell’Archivio d’Albugnano.

Essendo morto il canonico Carlo Francesco Bunis di Chivasso, vivendo Arciprete di Cavagnolo, il quale era investito di giornate otto di prato e campo sulle fini di Chivasso, nella regione delle Amarette, ossia Negrole, che erano enfiteotiche e semoventi dall’Abadia, l’abate Doria ne investì i signori Carlo Antonio, Giuseppe Florio e Vittoria Margherita, figli del fu signor Giovanni Battista Bunis, ed eredi del canonico predetto, e ciò a preghiera dell’avvocato Giovanni Andrea Gariglietti di Favria, zio materno e tu- /103/ tore degli stessi, e mediante il pagamento di doppie 20; per pagare la quale somma vendettero, i detti, la terza parte del molino di Rifreddo sulle fini d’Albugnano, che ebbero pure in eredità del suddetto canonico Bunis, per la somma di L. 500 all’avvocato Giovanni Battista Serra del luogo d’Albugnano, il quale già possedeva le altre due terze parti, e ciò con istromento 30 aprile 1680 in Torino, rogato Pietro Francesco Terraneo, notaio ducale, testimoni li reverendi signori Giovanni Agostino Terraneo del Maro, D. Cristoforo Vianesio di Favria, ed il signor Giuseppe Antonio Colomba, di Torino. Si conserva nell’Archivio d’Albugnano (1e).

Si fece una nuova convenzione circa il pagamento delle doppie 13, da L. 13 e ½ sovrannominate, e perchè l’abate si ricusava di rimettere annualmente la legna necessaria per fare cuocere i legumi, che si solevano ogni anno distribuire ai poveri nelle tre feste di Pentecoste, ricordo delle antiche agapi cristiane, e di rimettere alla comunità sacchi due ed emine due di noci, per fare l’olio per la manutenzione della lampada accesa innanzi al SS. Sacramento, e perchè pretendeva detto abate due pezze gerbido in Ferraboggi ed in Pozzoboirone, ecc., questa carta del 1676, 30 dicembre, è pure nell’Archivio della comunità.

Negli Archivi del Regno si conserva una lettera della Camera al Podestà d’Albugnano, con precetto /104/ d’opporsi alla visita pretesa dal Vescovo di Casale all’Abazia in data delli 8 giugno 1723.

L’abate Doria fece molti doni alla sua chiesa Abbaziale: esso terminò la sua mortal carriera in agosto del 1726, e forse venne tumulato nella chiesa (ora distrutta), dell’Eremo dei Camaldolesi, sui colli di Torino, la quale era cappella dell’Ordine Supremo.

Tra li suoi Vicarii generali si annovera D. Giulio Cesare Grisio, morto nel 1693 d’anni 54, e fu sepolto nella chiesa di Vezzolano, e D. Francesco Antonio de Radicatis morto improvvisamente nel 1703 d’anni 70.

Nel 1679 alli 8 d’agosto era priore del beneficio semplice di S. Lorenzo di Rivo Martino D. Pietro Francesco Appendino, come da carta negli archivi Arcivescovili di Torino. I Doria nobilissimi Genovesi, un ramo dei quali stabilito in Piemonte ha il marchesato di Ciriè, e dei Maro ecc. innalzano per arma: Nel testo: Troneato
vedi Correzioni
Troncato d’oro e d’argento all’aquila di nero coronata, rostrata ed ornata d’oro:

Cimiero un leone d’oro, coronato dello stesso linguato di rosso.

Francesco Coppier 1727.

D. Francesco Coppier, figliuolo di Giovanni del luogo di Abbondanza in Savoia, era canonico d’Annessì e primo cappellano di S. Maestà, e venne nominato abate nel 1727 essendo d’anni 63.

L’abate Coppier prestò giuramento di fedeltà a Sua M. il Re di Sardegna ai 13 di gennaio del 1728. Continuava la contesa tra l’Abate ed il Vescovo di Casale per l’indipendenza di quella Badia, fu chiesto il parere del Vicario Generale di Torino, canonico Buglioni /105/ Carlo e del primo referendario Bogino: questo parere fu approvato dal Re, il quale mandò a significare all’Abate essere sua intenzione, che riconoscesse la giurisdizione del Vescovo, in data delli 13 gennaio 1733; l’Abate accondiscese, e fu eseguita verbalmente ai 17 dello stesso mese.

Negli Archivil parrocchiali d’Albugnano si trova una dichiarazione dell’Abate Coppier contro l’avvocato Bartolomeo Serra (non lo intitola conte, forse per protestare, che Albugnano non si poteva infeudare, essendo stato con quella condizione dato ai Marchesi di Monferrato dagli antichi Prepositi), perchè mentre l’Abate si trovava in Annecy, il detto avvocato Serra avea fatti piantare olmi sulla torre, e l’Abate li fece togliere. Il Serra per altro era stato investito nel 1722 del feudo d’Albugnano.

Negli Archivi del Regno si trova un consulto anonimo, col quale si prova che l’Abazia cade sotto la disposizione dell’indulto di Nicolò V concesso a favore di Casa Savoia.

In una delle quattro camere che compongono la piccola casa posta lateralmente alla facciata della chiesa della Madonna di Vezzoiano, come dissi in principio di queste memorie, le quali camere sono in parte diroccate, si vede ancora dipinto sul muro l’arma dell’Abate Coppier, e rappresenta tre coppe, una in punta e due in fascia, non si scorgono più i colori, lo scudo è sormontato dal cappello Abbaziale. L’Abate Coppier Francesco morì in gennaio 1740.

/106/

Carlo Vittorio Solaro di Govone 1743.

Sua Eccellenza l’Abate Carlo Vittorio Solaro di Govone, Torinese, era figlio del conte Ottavio de’ marchesi di Breglio. Fu elemosiniere del Re e decimoterzo cancelliere dell’Ordine Supremo della SS. Annunziata alli 8 dicembre 1743, morì ai 31 maggio o 1 di giugno del 1750. I Solari d’Asti, di Chieri e di altre parti del Piemonte hanno per arma:

Bandeggiato: tre pezzi, scaccheggiati a tre file d’oro e di rosso; e tre pezzi d’azzurro. Cimiero un lioncorno nascente. Alcuni però mettono le corna di cervo.

Motto: Tel fiert qui ne tue pas.

Ludovico Merlini 1753.

Il cardinale Ludovico Merlini nacque nel 1690 a Forlì. Nel 1749 fu consacrato arcivescovo d’Atene in partibus infidelium e mandato colla qualità di nunzio pontificio alla Reale Corte di Torino. Nel 1759 Nel testo: fu in senza trattino in fin di riga
vedi Correzioni
fu innalzato alla sacra Porpora, e morì nel 1762.

Nella chiesa del monastero delle Monache Agostiniane del Crocifisso in Torino, abitato poi dalle Suore del Sacro Cuore, la quale chiesa era della Nunziatura, vi era una lapide indicante, che S. E. Monsignor Merlini l’avea consecrata ai 30 di settembre del 1749: la detta iscrizione fu pubblicata nel Pedemontium Sacrum, vol. 2, pag. 713. Questa chiesa fu ridotta ad usi profani, quando vi fa installato il Ministero della Guerra nel 1860.

Negli Archivi generali vi è una nota dei Nel testo: partico-ari
vedi Correzioni
particolari debitori di canoni verso l’Abbazia di cui era prov- /107/ visto il cardinale Merlini. I Merlini di Forlì hanno per stemma: d’oro ad una torre di rosso merlata, sopra la quale un’aquila di nero coronata dello stesso, come si legge nel Marchesi, Supplemento istorico dell’antica città di Forlì.

Carlo Emanuele Solaro 1770.

L’Abate Carlo Emanuele Solaro era figlio primogenito del Conte Luigi Francesco Solaro di Battifollo e di Moretta, e di Isabella Roero di Pralormo.

Fu primo elemosiniere del Re, priore di S. Salvatore, presso Torino. S’intitolava abate e conte di Vezzolano di nessuna diocesi.

Morì ai 6 febbraio del 1786.

D. Lupo Viarizio Giovanni Battista da Bersano, già economo della Parrocchia di Albugnano, era nel 1784 vicario temporale dell’Abazia, e morì alli 28 aprile del 1785 in età d’anni 52 e fu sepolto a Vezzolano.

Vincenzo Maria Mossi di Morano 1786.

Chiude la serie illustre dei Prepositi ed Abati di quest’insigne e vetusta Prepositura ed Abadia un egregio prelato S. E. Monsignor Vincenzo Maria Mossi marchese di Morano e di Torrione, Patrizio vercellese e casalese, personaggio dotto ed intelligente di belle arti, mecenate degli artisti, membro di varie società scientifiche e letterarie.

A Corte ebbe la carica di elemosiniere del Re, vicario della Cura Regia, pro cappellano maggiore delle regie armate, e dal 1825 circa fu cancelliere dell’Ordine Supremo della SS. Annunziata sino alla morte, /108/ nella quale carica e dignità gli successe monsignor Luigi Fransoni, vescovo in allora di Fossano, quindi arcivescovo di Torino.

Nel 1786 ebbe l’Abbazia di Santa Maria di Vezzolano di nessuna diocesi; nell’anno dopo prese solenne possesso della medesima, prima nella chiesa di Vezzolano, quindi seduto sopra una sedia a bracciuoli, fa portato sullo spianato dell’antico castello, detto la torre, vicino alla chiesa parrocchiale di Albugnano, come feudatario e conte di detto luogo. Affittò il gran tenimento d’Oviglia presso Riva per L. 12500 annue al sig. Francesco Cardellino, essendo fidejussore il conte Ignazio Berlia di Vasone, e ciò oltre i proventi delle cascine in Albugnano, che per altro essendovi molti boschi, in allora erano di non gran reddito. La Comunità di Albugnano li pagava annualmente Lire 175,10.

Riceveva pure qualche canone per beni enfiteotici a Volpiano ed a Montiglio.

Si noti però, che sulla mensa abbaziale gravitavano molte pensioni che il Re assegnava, col permesso del Papa, a persone benemerite dello Stato e della Chiesa, poichè in allora non erano grassi li stipendi, e così la Chiesa veniva in aiuto dello Stato. I pensionati erano il cavaliere Vittorio Amedeo Avogadro di Quinto, D. Giacomo Gatti, sacrista della Real Cappella della S. Sindone, poi cappellano regio, il cav. Rous comandante di Tortona, il cav. Rossi governatore del forte della Brunetta a Susa, il teologo Francesco Augusta, il D. Giuseppe Finoli, preposito di Villafalletto, il conte Valperga di Maglione, il sig. Gaetano Cigna, D. Francesco Belletrutti, il cav. D. Ignazio Bozzolino, il cav. D. Giuseppe Blavet, l’abate /109/ Eugenio Graziani di Castellamonte, e cav. Giuseppe Sifrino Salvatoris Deprato, brigadiere nelle regie armate.

Nel 1796 a proposta del Re, l’Abate Mossi fu eletto dal Papa, consecrato in Roma, vescovo di Alessandria della Paglia, diocesi che resse con molto zelo, alla quale però dovette rinunziare, quando la stessa, con molte altre, venne soppressa dal governo Napoleonico nel 1805 e fu incorporata a quella di Casale.

Pio VII però lo nominò arcivescovo di Sida in partibus ai 26 di giugno del 1815, avendo rinunciato a quel titolo il cardinale Carlo Francesco Caselli.

Così pure dovette rinunciare all’Abbazia di Vezzolano, quando questa, come tutte le altre, e coi conventi e monasteri, sul principio di questo secolo fu soppressa.

Monsignor Mossi, siccome amante di belle arti, si crede che abbia donato alla sua Badia alcuni quadri di buon pennello, forse due dei quali si ammirano nella chiesa parrocchiale d’Albugnano. Nei suoi palazzi e castelli avea raccolto un cospicuo numero di capi lavoro in pittura, non risparmiando a spese ed a fatiche. Legò questa sua preziosa pinacoteca alla reale Accademia di Belle Arti, detta poi Albertina, perchè riordinata dal Re Carlo Alberto, acciocchè servisse di studio agli allievi ed ai dilettanti, e recasse lustro alla città di Torino (1f).

Quest’illustre e degno prelato terminò la sua mortale carriera in Torino alli 31 di luglio del 1829 nella grave età d’anni 87 e mesi 3. Venne esposta la sua salma per tre giorni nel palazzo di sua residenza, ed /110/ alli 3 di agosto, fatte le solite abluzioni e preci dal venerando Capitolo Metropolitano per la levata del cadavere, venne trasportato nel suo castello di Tor- /111/ Vedi le → Aggiunte rione presso Morano, e quindi tumulato nel sepolcreto di sua famiglia, ove aspetta tutt’ora una lapide che lo ricordi ai posteri, e segni il luogo ove fu deposto.

/112/ Così terminò questa vetusta e nobile Abbazia di Santa Maria di Vezzolano, la cui origine si perde nell’oscurità dei tempi. I suoi pingui possessi furono a vile /113/ prezzo venduti: li ricchi paramenti che ne ornavano la chiesa furono asportati altrove, ed alienati, per togliervi l’oro e l’argento; si fuse l’argenteria, si /114/ dissiparono le tappezzerie, di cui si ha viva memoria dai più vecchi del paese, che ne lamentano lo iniquo sperpero (1g).

Simile ai tigli di famiglia più scapestrati, che in breve ora dissipano malamente le ricchezze dai loro avi con grande cura per secoli accumulate, la rivoluzione, che tutto sconvolge, tutto distrugge, divora specialmente i tesori ed i possessi che la Chiesa a vantaggio non solo dei suoi ministri, a decoro del culto, ad onore di Dio e dei suoi eletti, ad incremento d’ogni scienza e delle arti, onde risplendono le città e le ville, ma sì bene a pro del popolo tutto, ed a speciale utilità dei poveri con paziente lavoro per secoli e secoli avea adunate.

Quante chiese, quanti monasteri ed altri ecclesiastici istituti, che racchiudevano memorie e monumenti preziosissimi con danno immenso, irreparabile della religione, della storia, delle scienze e delle arti vennero distrutti e dispersi. E pur troppo questo vandalismo indegno di un popolo, che si vanta civile, continua, e chi sa fino a quando, con disdoro del nome italiano! (2b).

/115/ Ma se fu soppressa l’Abbazia di Vezzolano, se vennero dissipati i suoi pingui possessi, sia però lode al vero, non venne mai meno nei popoli di questi paesi la divozione verso la Vergine Santissima, e memori che i loro avi da tanti secoli non mai ricorsero invano alla loro potente proteggitrice, accorrono tuttodì a questo Santuario, specialmente nelle pestilenze e nelle siccità, come lo attestano i moltissimi ex-voto appesi a quell’altare, ed in modo speciale il gran quadro che i divoti Castelnovesi offrirono ultimamente per la cessazione di crudo morbo, o di qualche siccità, ben sapendo che non si è abbreviata la mano della Regina di Vezzolano a loro favore, ed a vantaggio di chi divotamente a Lei ricorre (1h).

(1a) Giuseppe Ferrero era figlio di Sebastiano IV conte Della Marmora, e di Canosio, ecc., commendatario di S. Fede di Cavagnolo, e della contessa Ottavia Solaro di Moretta. Nacque in Biella 1627 addì 27 ottobre; fu laureato in ambe leggi a Parma nel 1651; cameriere d’onore, referendario apostolico, prelato domestico, ed assistente al soglio Pontificio, nel 1639 prior di Capriasco, come si è detto, nel 1678, abate dei Santi Vittore e Costanzo in Val di Maira, di nessuna diocesi, e nel 1680 cavaliere di Gran Croce dei Santi Morizio e Lazzaro. Morì in Torino nel 1701 ai 30 agosto, e venne tumulato nella chiesa parrocchiale di S. Eusebio, detta di S. Filippo. Si crede che sia succeduto al padre nel priorato di S. Fede di Cavagnolo; era fratello di Tommaso Felice primo marchese Della Marmora e cavaliere della SS. Annunziata e nipote di Guido che fu cameriere secreto di Urbano VIII, e gentiluomo del cardinale Maurizio di Savoia, prior di Chy, rettore della cappella di S. Sebastiano nel castello di S. Sebastiano, diocesi d’Ivrea, rinunciatagli da Francesco Adriano Ceva fondatore della casa dell’Ospizio de’ Catecumeni in Torino, cameriere pontificio, poi cardinale. Il detto Guido era pure priore di Capriasco ed alla sua morte avvenuta in Biella ai 22 di gennaio 1639 venne investito il Giuseppe del priorato. Alcune di queste notizie le ho desunte, da carte dell’Archivio Arcivescovile, ed altre dall’ac- /96/ curata genealogia dei Ferrero di Biella, fatta dal cardinale Teresio della Marmora coll’aiuto dell’abate Torelli Agostino, e posta nella vita del cardinale Bonifacio Ferrero nella biografia piemontese del Tenivelli. [Torna al testo ]

(1b) II suo fratello il reverendo ed illustre D. Paolo, morì a Vezzolano nel 1645. [Torna al testo ]

(2a) Eugenio Maurizio di Savoia, nato alli 2 maggio del 1633 in Ciamberì, dal principe Tommaso stipite della Gasa di Sa- /97/ voia Carignano, ora regnante, e di Maria di Bourbon, erede della contea di Soisson, la cui madre Anna era una gentildonna piemontese della nobile famiglia Astigiana dei Montafia, signori di quel castello. La famiglia volendone fare un prelato, gli ottenne l’abbazia di S. Maria di Casanova nel 1642, quella di S. Benigno di Fruttuaria con provvisione apostolica dei 24 luglio 1642, ebbe quindi quella di S. Ponzio di Nizza nel 1649. Ebbe probabilmente colle pingui abbazie suddette nel 1648 quella di Vezzolano. Ma essendovi morto il 4 gennaio 1656, suo fratello Giuseppe Emanuele e dovendo lui ereditare i vasti feudi della madre in Francia, mentre il primogenito Emanuele Filiberto (sordo e muto) succedeva in quelli del padre, risolvette nel detto anno 1656 di dimettere l’abito ecclesiastico per impugnare la spada. Andò perciò in Francia, ove fu con onore accolto da Luigi XIV, che gli diede alcuni governi di provincie, e vi ebbe campo di distinguersi e segnalarsi in fazioni militari. Il cardinale Mazzarino in allora onnipotente ministro gli fece sposare la sua nipote Olimpia Mancini di Roma, ai 2 febbraio 1657. Morì questo principe in Wna non so se è errore per Unna Wna nella Vestfaglia ai 7 di giugno del 1673, e venne sepolto nella Certosa di Gaillon in Normandia, ove aveano i loro sepolcri gli antichi conti di Soisson.

Esso fu stipite della famiglia di Savoia Soisson in Francia, che si estinse nel 1736. Ma il suo vanto principale si è quello di essere stato padre del celebre liberatore di Torino nel 1706, assediato dalle falangi francesi e terrore dei Turchi, i quali egli sbaragliò in molte battaglie.

Avendo il Re Luigi XIV eretta nel 1662, in signoria e du- /98/ cato la piccola città di Ivoix, a 23 kilometri da Sedan, a favore del suddetto Eugenio Morizio, principe di Carignano, la detta città cominciò a chiamarsi Carignan. [Torna al testo ]

(1c) In questi testimoniali l’abbazia è detta, con evidente errore, dell’Ordine di S. Benedetto, e di niuna diocesi. [Torna al testo ]

(1d) Alcuni dicono che il viceré di Sardegna dal 1723 al 1726 sia stato l’abate Alessandro Doria del Maro. [Torna al testo ]

(1e) Il detto Giovanni Battista Serra dovea essere professore di leggi straordinario nella Università ed avea già acquistata una parte del molino suddetto chiamato anche del Maltempo nel 1671 e n’ebbe investitura nel 1674 come feudo nobile. [Torna al testo ]

(1f) Gli Amministratori di quell’Accademia in segno di /110/ gratitudine decretarono al munifico donatore una statua. Fu modellata questa statua sedente in scagliola dal nostro grande scultore barone Pietro Marocchetti (nato in Torino alli 4 di gennaio 1805, morto in gennaio del 1868), e fu uno dei suoi primi lavori, come fu uno degli ultimi il gruppo di statue di bronzo nel monumento di Carlo Alberto nella piazza da questo sovrano nominata, inaugurato ai 21 luglio 1861, però il suo capolavoro è la statua equestre di Emanuele Filiberto, anche in bronzo in Piazza di S. Carlo. Ma il modello della statua del Mossi rimase in istucco sino a questi ultimi tempi, quando per cura dell’egregio Direttore in capo dell’Accademia venne scolpita in marmo a Carrara, e in novembre del 1870, fu collocata nell’atrio del palazzo della medesima colla seguente epigrafe:

A Monsignor Vincenzo Maria Mossi di Morano
che l’anno MDCCCXXIX donava
la sua pinacoteca
la Regia Accademia Albertina
riconoscente.

Vedi Ateneo Religioso, N. 52, 26 dicembre 1870, ove ne feci parola.

Monsignor Mossi alzava per arma uno scudo d’oro ad una rupe ossia monte d’argento, movente dalla punta sormontato da un drago di verde, armato e lampassato di rosso e coronato di nero; supporti, due draghi di verde, come portava il suo zio Ottavio Isidoro (figlio di Francesco Gioanni Tommaso e della contessa Paola Cristina Falletti di Barolo), elemosiniere del Re, e nel 1771 Mastro di ceremonie dell’Ordine supremo della SS. Annunziata abate di S. Mauro di /111/ Pulcherada, ove fu sepolto con onorifica iscrizione nel 1775, essendo deceduto ai 19 di dicembre d’anni 70 (A).

Dal marchese Giovanni Pio Ludovico Mossi, luogotenente colonnello nel Reggimento di Casale e Gentiluomo di camera del Re (nato 19 novembre 1709, fratello del suddetto abate), che sposò nel 1734 ai 12 di gennaio Barbara Giovanna figlia del Conte Francesco Anguissola, castellano di Parma e dalla sua moglie Contessa Costanza Pallavicini, dama della Duchessa Enrichetta, vedova di Parma (B), nacque terzogenito Vincenzo Marco Maria ai 25 d’aprile del 1742 in Casale, ove nella Chiesa cattedrale ricevette le sacre cerimonie, essendo stato battezzato in casa per pericolo di morte. Si noti bene questa data del 1742, onde si viene a correggere i calendari che lo danno nato nel 1752 e forse da quest’errore ne venne pure che nell’obituario della metropolitana torinese fu scritto che morì d’anni 77, che tanti solamente ne avrebbe contati se fosse nato nel 1752, ma la fede di battesimo è bastantemente chiara e non si può dubi- /112/ tare che sia nato dieci anni prima; essa si conserva negli Archivi del signor marchese Pallavicini Mossi, senatore del Regno, per cortesia del quale e del suo egregio bibliotecario D. Gaetano Kerbaker, già priore di Villanova di Mathi, mi furono gentilmente aperti, e qui noterò ancora altre memorie, che dalli stessi archivi potei ricavare.

Vincenzo Maria Mossi venuto a Torino entrò nella sacra milizia e fu aggregato a questo Clero. Ottenne la laurea dottorale in ambe leggi ai 14 di maggio del 1773 ed ai 19 di maggio del 1775 quella di Teologia, e nell’istesso anno fu eletto rettore laureato della Regia Università. Al primo di giugno dell’anno seguente ricevette il sacro Ordine del presbiterato nella chiesa parrocchiale di S. Giovanni Battista della Costa di Cumiana, essendo ivi, in visita pastorale, Monsignor Francesco Lucerna Rorengo di Rorà, arcivescovo di Torino. Nel 1777 era elemosiniere del Re, e da Monsignor Vittorio Maria Costa d’Arignano, con patenti del 24 maggio 1784 fu eletto suo vicario ed officiale generale della Reale Corte; in quell’istess’anno con R. viglietto dei 19 ottobre fu nominato governatore del Reale Collegio dei Nobili.

Con bolle delli 7 dicembre del 1786 fu dal grande Pio VI provvisto dell’Abbazia di Santa Maria di Vezzolano, per nomina fatta dal Re.

Nel 1796 fu eletto vescovo di Alessandria e consecrato alli 10 luglio in Roma, da cui mandò la sua prima lettera pastorale, in latino, al clero e popolo d’Alessandria. Ai 30 agosto dell’istess’anno prestò giuramento al Re nel castello di Moncalieri. Ma essendo stata la detta diocesi per decreto di Napoleone unita a quella di Casale circa il 1805, fu obbligato Mons. Mossi a rinunciarvi, passando a vita privata; ma ai 26 di giugno del 1815 venne da Pio VII creato arcivescovo di Sida. In quel suo involontario ozio coltivò li /113/ buoni studi, favorì le belle arti, riedificò il suo castello di Frassinetto da Po, compose un pregiato opuscolo Sulla verità e divinità della religione cristiana. — Torino, Chirio e Mina MDCCCXXIV, in 8° di pag. 147, testimonio quest’opera dei suoi profondi studi teologici, non meno che nelle scienze positive, le quali vengono in aiuto a combattere gli errori dei materialisti ed increduli.

Sono pure in pregio le diverse sue omelie, circolari ed istruzioni stampate nel corso del suo ecclesiastico governo, e lasciò inedite diverse dissertazioni apologetiche e di controversia.

Quest’illustre e dotto prelato che fu l’ultimo abate di Vezzolano, fu pure l’ultimo della sua illustre ed antica famiglia originaria di Vercelli e stabilita quindi in Casale di Monferrato; la quale oltre li predetti feudi di Morano, Torrione, Frassineto, avea anche quelli di Penango, Gozzano, Patro, Chioccaro e Terrugia.

Mons. Mossi fece fare alcuni ristauri all’Abbazia dal celebre regio architetto, Mario Quarino di Chieri nel 1788, ma non ho potuto conoscere in che consistessero. Ebbe per vicari dell’Abbazia D. Anton Maria Robiola e Don Casalegno che fu anche economo. D. Antonio Bello era cappellano alle cascine d’Oviglie. Oltre il predetto monumento, in una sala dell’Accademia Albertina vi è un busto del Mossi, sopra il zoccolo si legge:

Vincenzo Maria Mossi di Morano
Arcivescovo di Sida esperto
questa pinacoteca raccoglieva
generoso all’Istituto patrio di Belle Arti donava
a. MDCCCXXVIII.
I Reggitori della R. Accademia Albertina
ammiratori Sc. inimitabile
l’errore non compare nelle Correzioni
dell’imitabile esempio
alla veneranda memoria di lui decretavano
un monunento marmoreo qui erigendo

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(A) L’abate Ottavio Mossi ebbe la laurea in ambe leggi nell’Università di Cagliari, ai 30 giugno 1371, essendo promotore il prof. Antonio Cao, e fu pure in quella città ascritto alla sacra milizia dal suo zio materno Raulo Costanzo Falletti dei Marchesi di Barolo, arcivescovo di Cagliari, primate di Sardegna e Corsica, il quale poi, alla morte del suo fratello Vicerè di Sardegna, marchese Girolamo di Castagnole delle Lanze avvenuta alle 5 luglio 1735, sostenne anche per qualche tempo quella sublime carica. Nel castello di Barolo se ne veggono i ritratti. [Torna al testo ]

(B) Del marchese Giovanni Pio Mossi si hanno le seguenti tesi stampate: Conclusiones logicae metaphisicæ quas. Io Pius Mossus Marchio Morani Unitorum academiæ secundus Assessor Sc. publice
l’errore non compare nelle Correzioni
pubblice defendendas proponit in R. Tauriensi Nobilium Collegio Societatis Iesu. Taurini
 1717. [Torna al testo ]

(1g) Solamente ancora rimane una croce col Cristo in bronzo dorato, sulla quale poggia il globo mondiale, che serve pure d’orologio, e si espone sull’altare, quando celebrasi qualche festa a Vezzolano.

Quando esisteva la Badia, il prevosto o l’abate deputavano un loro vicario ad amministrare la Parrocchia d’Albugnano e la provvedevano dell’occorrente. Nella soppressione venne dotata la detta parrochiale d’una cascina, che faceva parte dei possessi della Badia. [Torna al testo ]

(2b) Gli esempi palpitanti della distruzione di non poca parte di Parigi, e de’ suoi principali edifizi e monumenti /115/ della gloria francese, operata dai suoi medesimi figli in un modo il più bestiale e feroce, esempio unico e terribile nelle storie di quella città, che si vanta d’essere la capitale del mondo incivilito, sono la prova la più convincente, che senza religione non vi può essere vera civiltà, ma solamente una larva della medesima, la quale si dissipa al menomo urto delle passioni, si converte anzi nella più inudita barbarie, che fa servire le più utili invenzioni delle scienze positive ad istrumento di distruzione: chi dice il contrario, o è pazzo o ingannatore.

Dio voglia che questo terribile esempio ridondi in profitto alle altre nazioni. [Torna al testo ]

(1h) Questo divoto quadro fu dipinto da Giuseppe Rollini da Intra, già allievo dell’Oratorio di S. Fracesco di Sales, per la cessazione del cholera nel 1866. [Torna al testo ]