Can. Lorenzo Gentile
L’Apostolo dei Galla
Vita del Card. Guglielmo Massaia
Cappuccino

/263/

Capo XXIII.

In giro per la Francia. — A Roma. — Le feste di Marsiglia. — In Asti. — Accoglienze entusiastiche alla Piovà. — Nuovamente in Francia. — È domandato paciere fra Teodoro e gli Inglesi. — Mons. Daniele Comboni. — La grammatica amarico-galla. — Il collegio galla. — Partenza per l’Africa. — Una pioggia di locuste. — Fatiche pastorali in Suez. — La guerra fra Teodoro e gli Inglesi. — Notizie dell’interno. — Riscatto di schiavi. — Il ministro protestante Flad.

Ai primi di aprile del 1864 il nostro vicario apostolico salpava da Alessandria diretto a Marsiglia, dove giunto lasciava i due giovani abissini, che seco aveva condotto, nella casa dei Fratelli delle scuole cristiane, ed egli portavasi a Lione per trattare gravi affari col Consiglio della Propagazione della Fede e col provinciale dei cappuccini; e quindi volgeva a Parigi dove aveva da consegnare una lettera dell’imperatore Teodoro a Napoleone. Sbrigati questi affari, portossi a Roma, alla casa del suo Ordine, dove avendo un po’ di tempo libero attese a rifare la grammatica amarico-galla che avea perduto nel /263/ suo esilio dal Kaffa. In Roma venne a raggiungerlo il p. Domenico da Castelnaudory, costituito vicario apostolico dei Galla dopo la falsa notizia corsa della morte del Massaia. Costui era andato in Africa, ma là avendo sentito che il Massaia viveva tuttavia, era rinavigato in Europa.

Intanto a Marsiglia si stavan preparando feste solennissime per la consacrazione del nuovo Santuario della Madonna della Guardia che si leva sublime su un alto colle che domina la città sottostante. Per la ricorrenza si invitarono anche i prelati romani e molti accettarono, fra questi il nostro Mons. Massaia, ospite cinque giorni della famiglia Buissié. Dire l’entusiasmo di Marsiglia in quei giorni non è facile. Non d’altro si parlava da tutti che della bonne Mère, non ad altro si pensava che a degnamente onorarla, talché un protestante stupito ragionando col Massaia esclamava: Solo il cattolicismo può darci questi spettacoli meravigliosi! E ai preparativi corrispose la festa. Nel giorno della solenne traslazione della statua della Madonna dalla cattedrale al Santuario una folla enorme si riversava per le vie, si stipava sui balconi delle case, gremiva il pendio che mette al sacro monte, tutti con un solo pensiero nel cuore, con una sola parola sul labbro, la bonne Mère; la quale con un corteo di ben 50 vescovi, tra una moltitudine immensa, inginocchiata, acclamante, pregante, saliva benedicendo, come regina accompagnata, ossequiata dalla sua corte e dai suoi sudditi, a prendere possesso della sua nuova reggia. Fu spettacolo che intenerì ogni cuore cristiano e che mise il rovello nell’animo dei pochi massoni che indarno avevan tentato di impedire questa grandiosa manifestazione di fede. Un pranzo /264/ dato dalla magistratura della città a tutti i prelati e una splendida luminaria chiusero degnamente quelle feste che lasciarono imperituro ricordo nei Marsigliesi ed in quanti si trovarono presenti.

Lasciata Marsiglia, il nostro Massaia si dirigeva ad Asti dove alla stazione lo stava attendendo il canonico Polledro, suo compatriota, e buon numero di altri sacerdoti. La mattina seguente celebrò la Messa nella Cattedrale assistendovi tutto il clero della città, una folla numerosa di devoti e alcuni suoi compaesani venuti appositamente dalla Piovà per incontrarlo. Il parato più ricco dell’altare, come nelle feste di primo grado, e il suono maestoso dell’organo aggiungevano pompa alla sacra e divota funzione. Funzione che alla mente del Massaia ne richiamava un’altra, ma molto diversa, a cui aveva assistito trent’un anno prima, nel 1833, allorché si celebrarono i funerali per suo fratello maggiore Guglielmo, morto, come si è detto, curato della medesima cattedrale il 3 maggio di quell’anno.

Al banchetto dato in suo onore un numeroso stuolo di ragguardevoli personaggi ecclesiastici e secolari gli faceva lieta corona. Tutta la cittadinanza insomma volle in qualche modo mostrare all’intrepido apostolo dei Galla la sua ammirazione, la sua contentezza. La sera il clero lo seguì fino alla porta di S. Caterina ove una deputazione dei suoi compatrioti lo attendeva per accompagnarlo ad onore alla Piovà. Al suo arrivo tutta la popolazione gli mosse incontro; rintronavan gli spari dei mortai, echeggiava il suono della banda, lo squillo argentino delle campane si diffondeva per le campagne ad annunziare anche ai dintorni la gioia dei Piovesi di rivedere dopo tanti anni un suo figlio così benemerito /265/ della religione e della civiltà, l’eroe leggendario dell’Africa. Sempre seguito da quell’onda di popolo si portò in chiesa a ringraziare il Signore che dopo tanti anni di traversie, di pericoli, di patimenti indicibili gli concedeva di rivedere il luogo natale, la sua parrocchia, richiami di tante dolci memorie. Un affettuoso discorso di occasione chiudeva quella giornata di indimenticabile ricordanza per lui e pe’ suoi compaesani.

Dato un pensiero ai vivi, ne consacrava il dì dopo un altro ai morti col celebrare un solenne funerale pei defunti compaesani, fra i quali doveva con suo rammarico contare anche i suoi amati genitori e tanti suoi congiunti. Finalmente il terzo dì, dopo aver fatto e predicando e confessando e amichevolmente conversando quel bene spirituale che gli era stato possibile, fra nuove dimostrazioni di onore e di simpatia, ripartiva per Torino, quivi premurosamente salutato dal p. Davide da Pinerolo, suo antico discepolo, dal can. Ortalda e da altri sacerdoti suoi antichi amici e dalla pia contessa del Piazzo ospitato a festa nella sua casa.

Prima di partire per le missioni avendo fra Guglielmo, come già s’è notato, dimorato otto anni nel convento di Testona, vicin di Moncalieri, aveva come confessore stretto dimestichezza coi principi Vittorio e Ferdinando, e perciò ricordandosi il nuovo re del suo antico padre spirituale gli fece sentire il desiderio di rivederlo. Ma il nostro Massaia, disgustato del nuovo indirizzo che avevano prese le cose politiche in Piemonte, di persecuzione contro la Chiesa, senza volerne altro sapere, con tutto il suo codino, come scherzevolmente si esprime, se ne partì improvvisamente per Lione. Quivi si /266/ fermò alquanti giorni lavorando alacremente intorno alla sua grammatica ed al suo catechismo amarico-galla; e indi portossi a Parigi insiem con due giovani galla che aveva tolti dal collegio di Marsiglia.

In Parigi fu col Comboni, allora semplice sacerdote, a far visita all’imperatrice Eugenia perchè gli ottenesse dall’imperatore di poter fabbricare in Gerusalemme presso la chiesa francese di S. Anna un ospizio pei pellegrini etiopi; secondochè aveva concertato con Mons. Valerga, patriarca latino di Gerusalemme, nel suo recente viaggio alla santa città. Fu altresì col medesimo da Napoleone; al quale consegnò le lettere dell’imperatore Teodoro. Non va taciuta la franchezza apostolica dimostrata dal nostro Massaia in quell’occasione. Essendo il discorso caduto sui mussulmani dell’Algeria tra i quali erasi l’imperatore poco prima trovato, a un tratto questi volto al nostro Massaia, «E voi che siete mezzo africano, non è vero, disse, che ammettete anche voi che siano più docili i mussulmani che i cristiani? — Per timore della sferza, rispose il Massaia; ma V. M. deve ammettere che prima dei tempi nuovi le nostre popolazioni operavano con coscienza; ora che si è lor cantato e ricantato su tutti i toni che il popolo è sovrano, che si è parlato loro solo di diritti e niente di doveri, niuna meraviglia se ad ogni tratto ricalcitrano contro la legge; non fanno che seguire le tracce loro segnate». Queste libere parole fecero poi il giro di tutti i giornali con lode del nostro coraggioso apostolo.

Ebbe ancora il Massaia parecchi abboccamenti col ministro degli affari esteri che l’invitò a intromettersi paciere tra l’imperatore Teodoro e gli Inglesi nell’inimicizia che tra loro era sorta. Il nostro /267/ Massaia rispose che trattandosi di un’opera di pace volentieri avrebbe accettato, ma non quale diplomatico, sì quale cappuccino, e quindi senza alcuna scorta, senz’altra presentazione che quella di ministro di Dio, disposto anche a rimanere ostaggio di Teodoro. La cosa però, qual che si fosse il motivo, non ebbe poi seguito.

Abbiamo ricordato di sopra il Comboni; è da sapere che questi era stato indirizzato dal prefetto di Propaganda al Massaia, perchè attingesse da lui informazioni sulla Missione dell’Africa centrale che gli si voleva affidare.

E il Nostro era in grado ed ebbe tutto l’agio di fornirgliene, perchè nei sei mesi che dimorò in Parigi sempre sel tenne seco quale segretario, lasciando poi di lui un elogio molto lusinghiero. E in verità alla prova dei fatti mostrò il Comboni di meritarselo; creato vescovo e vicario apostolico di quella missione, incredibile fu il coraggio con cui si accinse all’opera; ma sgraziatamente troppo presto la sua morte succeduta a Kartùm veniva a troncare le belle speranze che la Chiesa aveva concepito del suo zelo. Di lui è famoso il motto che caratterizza l’opera sua e la sua vita: O Nigrizia (1) o morte!

A Parigi il Nostro non si stette inoperoso, ma attese a stampare dalla tipografia imperiale la sua grammatica amarico-galla, opera pregevolissima e quanto mai utile, sia per i missionari che vogliono /268/ esercitare il loro ministero fra quei popoli e sia per quei popoli medesimi. Aveva composto in quella stessa lingua e collo stesso intento un catechismo che avrebbe bramato pur di stampare, ma poi, per cause indipendenti da lui, non se ne fece nulla. Riguardo alla suddetta grammatica, questa, nientemeno che un volume di 530 pagine, gli costò non poca fatica e per l’inesperienza dei compositori di quelle lingue e per la difficoltà intrinseca delle medesime, avendo l’amarica tra lettere dell’alfabeto, dittonghi e cifre numeriche (26) ben 293 caratteri, e la lingua galla od oromonico-galla non essendo fino allora mai stata scritta. E questo torna a tanto maggior lode del nostro Massaia, il quale per ciò si può riguardare come il primo fondatore della lingua galla. È giusto però osservare che in questo lavoro fu aiutato dal suo fedele amico, Antonio d’Abbadie. Un’altra opera che gli stava molto a cuore e di indubbia utilità per le missioni galla fu la fondazione di un collegio galla, collegio che egli promosse in tutti i modi, e che potè vedere aperto in Marsiglia ed anzi incominciato coi due giovani che s’era condotto dall’Africa, Abba Michael e Stefano.

Trovandosi poi un po’ malandato di salute pei tanti patimenti sofferti nelle sue prigionie e nei suoi viaggi si recò ai bagni termali di Bourbulle presso Mondor, ottenendone notevole giovamento. Nel ritorno passando pel Puy fu a visitare la statua colossale della Madonna col Bambino in bronzo, fusa pochi anni prima coi cannoni riportati da Napoleone I dalla Russia. Per avere un’idea di questa statua, che torreggia gigantesca su un’alta rocca, basti dire che il capo del Bambino è grande come una cameretta e che gli occhi della Madonna sono /269/ addirittura due finestre ovali; insomma una statua degna rivale del nostro S. Carlone di Arona.

Il nostro apostolo fece ancora, sempre in servizio delle missioni, altre visite al ministro degli esteri, ogni volta accolto eoll’onore della presentazione delle armi, siccome personaggio di grande autorità. Sbrigati altri affari ed infine rinfrancato l’animo negli spirituali esercizi, pieno di zelo mosse un’altra volta verso la lontana Africa, imbarcandosi a Marsiglia. Dopo otto giorni di navigazione, sullo scorcio d’aprile 1866 il nostro Massaia approdava a Giaffa, donde, al solito, a piedi, si indirizzava verso la città santa. Non mai trovò sì duro il camminare a piedi come questa volta, perchè su tutta quanta quella campagna era caduta una vera pioggia di locuste che coprivano addirittura il terreno, cosicché era costretto a calpestarle con sua grande noia e disgusto.

Questo esercito di piccoli nemici aveva letteralmente distrutta la vegetazione, divorate le erbe, resi brulli delle loro fronde gli alberi. Allorché si alzavano a volo, marciavano in falangi tanto serrate che per poco non oscuravano il cielo. Il governo aveva dato ordine di distruggerle, e tutti erano affaccendati a empierne dei sacchi per poscia bruciarle e gettarle in mare; i mussulmani però se le conservavano per arrostirle e mangiarsele, perchè, dicevano, sono un manicaretto molto delicato; non sapremmo con quale gusto.

Altra cosa degna di nota durante la sua fermata in Gerusalemme fu l’aver assistito in qualità di vescovo alla consacrazione di Mons. Bracco fatta dal patriarca Mons. Valerga. Trattandosi di una funzione al tutto straordinaria per quei luoghi, attratti dalla curiosità intervennero non solo i catto- /270/ lici, ma anche gli eretici e gli scismatici e, quale guardia d’onore, una squadra di soldati turchi.

Lasciata Gerusalemme, il nostro Massaia, si imbarcò per Alessandria e di qui pel Cairo mosse a Suez, dove, trovata una ventina di giovani abissini addetti ai lavori del taglio dell’istmo, fermossi alcuni giorni per provvedere ai loro spirituali bisogni. Fece loro per otto giorni come un corso di istruzione religiosa, trattenendoli altresì con sè a pranzo e a cena, tutto a sue spese. Obbligato il Nostro a lasciarli, non è a dire qual rincrescimento provassero quei poveretti: gli baciavano piangendo le mani ed i piedi, lo scongiuravano tornasse presto a rivederli; avrebbero anzi, se fosse stato lor possibile, voluto seguitarlo; e due di essi infatti, essendosi egli accorto ch’erano insidiati dai Turchi, li condusse in Aden.

Neppure in questa traversata tralasciò il suo apostolato, ma veniva occupando quasi tutto il tempo nel tenere ai suoi nuovi alunni delle istruzioni sulla religione; istruzioni a cui prendevano parte anche molti signori e signore, non senza qualche loro spirituale vantaggio. In Aden intese la rottura tra l’imperatore Teodoro e gli Inglesi, rottura provocata da questo fatto. Il signor Stern, inglese, in viaggio per Genga dove risiedevano alcuni missionari, così detti evangelici, recava con sè lettere per la protezione dell’abuna Salama, come si è detto, creatura protestante, o meglio dei protestanti inglesi. Or essendo, come pure abbiam visto, l’abuna Salama, pe’ suoi disordini, stato incarcerato da Teodoro e le lettere per costui essendo state scoperte, il signor Stern venne fermato e chiuso in prigione. Il che avendo sentito il signor Cameron, console inglese a Massaua, tosto si portò da Teodoro per fargli le /271/ sue rimostranze; e Teodoro per tutta risposta mise in carcere anche lui. Onde il governo inglese, offeso nella sua dignità nazionale, indisse guerra a Teodoro; e questi che nella sua ignoranza credevasi il più potente monarca del mondo, l’aveva senz’altro pensare accettata. Per questo era un continuo andare e venire di navi inglesi da Aden a Massaua donde dovevano incominciare le operazioni militari.

Pensando di approfittare di quelle occasioni il nostro vescovo recossi dal governatore inglese, Merowether, per ottenere un posto sopra le sue navi dirette a Massaua, e questi, veramente gentilissimo, gliel concesse gratuito, non solo per lui, ma per quanti con sè recasse e per quante volte gli occorresse. Con uno di questi piroscafi il nostro missionario fu adunque a Massaua, dove trovò Mons. Bel succeduto al Biancheri, il quale già aveva dato mano alla sua missione colla fondazione di un piccolo seminario di indigeni. Qui ricevette dal suo coadiutore, Mons. Cocino, notizie importanti sull’interno; che i Uollo Galla, scosso il gioco imperiale, s’eran dati a Worchitu, antica moglie di Aly-Babola; che il Tigrè era stato conquistato da Waxum Govesié; che lo Scioa erasi dato a Menelik, abbastanza saggio e forte governante; che l’impero di Teodoro s’era di molto assottigliato e il suo prestigio scaduto tanto che egli stesso per trovare sicurezza era stato costretto a ricoverarsi coi soldati rimastigli fedeli nella fortezza di Magdala; e infine che pei sospetti dei due belligeranti rendevasi difficile assai il penetrare nell’interno. In quanto alla missione gli si davano notizie abbastanza confortanti; i missionari, senz’essere troppo molestati dai mussulmani, avevano potuto con frutto continuare il loro ministero; abbiso- /272/ gnavan però grandemente di denari e di oggetti sacri per l’altare. Ma come avrebbe potuto il nostro Massaia far loro pervenire queste cose? Accordossi con mercanti. Quanto al danaro, e quanto alle lettere, che correvano molto pericolo di essere sequestrate, ne fece un duplicato, dandone una copia agli stessi mercanti e l’altra mandando per corriere speciale.

Intanto egli in Massaua attendeva a comprare giovani galla da spedire al collegio di Marsiglia, perchè, sebbene di diritto, negli Stati ottomani, come era Massaua a quei tempi, la tratta degli schiavi per intervento delle potenze europee fosse stata abolita fin dal 1856, di fatto però continuavasi ad esercitare a tutto spiano. Acquistatane una decina, per alcuni giorni li venne istruendo nella nostra santa religione e quando li vide ben disposti, li fece battezzare da Mons. Bel in Umkullu, facendo da padrini il console Munzinger, un bravo cattolico svizzero, e alcuni altri Europei.

Tornando al nostro Massaia, avvertito per lettera che ogni cosa al collegio di Marsiglia era pronta per ricevere i giovani, li dispose alla partenza, e, ascoltata la loro confessione e comunicatili, li accompagnò sul battello che doveva portarli in Europa.

Il piroscafo che aveva condotto quei suoi cari neofiti a Suez, di ritorno a Massaua aveva tra gli altri passeggeri trasportato il dottor Flad, ministro protestante, inviato dal governo inglese presso l’imperatore Teodoro affine di ottenere con ricchi donativi la liberazione dei signori Stern e Cameron da lui, come abbiamo visto, incarcerati. Or mentre il Flad stava aspettando l’occasione propizia di partire, sempre pieno di incertezze e di timori sull’esito del suo viaggio e sulla sorte della sua famiglia che /273/ aveva lasciato in ostaggio presso il terribile imperatore, veniva spesso a consolarsi dal nostro buon missionario; ed un giorno tra l’altro gli disse tutto commosso: Bisogna essere schietti e confessare che nelle prove dolorose della vita la parola del sacerdote cattolico scende come balsamo nel cuore degli sventurati. Noi ministri protestanti non abbiamo questo dono.

Belle parole a lode della nostra santa religione in bocca di un ministro protestante, e più belle ancora quelle che pronunciò in un’altra occasione: Se non fosse dei legami della famiglia, anch’io mi farei cattolico, perchè riconosco che la religione cattolica è la sola vera.

(1) La Nigrizia è il titolo d’un periodico mensile illustrato, edito in Verona dai Figli del Sacro Cuore, che dà conto dell’opera delle loro missioni. Lo consigliamo a quanti amano una lettura edificante, amena, istruttiva (rivolgersi alle Missioni Africane in Verona). E così pure consigliamo la lettura della vita del grande Comboni, pubblicata testè dalla stessa Congregazione. [Torna al testo ]