Can. Lorenzo Gentile
L’Apostolo dei Galla
Vita del Card. Guglielmo Massaia
Cappuccino

/413/

Capo XXXV.

All’ombra del convento. — Missionario nello spirito sempre. — Scrive la storia delle sue missioni. — Una lettera alla sua famiglia. — Una visita a Torino e ad Asti. — Il cappello cardinalizio. — Un’avventura del suo bastone. — Solenne commemorazione alla Piovà. — Lapide commemorativa. — Quanto lo stimasse il Papa. — Al convento di Frascati. — Sua morte a San Giorgio a Cremano. — Trasporto della sua salma a Roma. — Nuovo trasporto a Frascati. — Epigrafe. — Monumento. — Ambasciata abissina alla tomba del card. Massaia. — Feste centenarie alla Piovà e a Frascati. — A Cigliano e alla Madonna di Campagna. — Il museo massaiano.

Tornato, come dicemmo, dal glorioso campo delle sue missioni, il nostro grande, ma anche più umile eroe, ritirossi, o meglio si nascose nel convento dei suoi confratelli in piazza Barberini. Quivi era ammirazione il vederlo, era delizia il trattare con lui, sopratutto sentirlo parlare delle sue care missioni africane. Si vedeva che il buon vecchio aveva lasciato il suo cuore laggiù, tra i suoi diletti Galla; che più? che avrebbe sospirato, pur così vecchio e pieno di acciacchi, che avrebbe sospirato di ritor- /412/ narvi. Nella lettera infatti di rinunzia al suo vicariato apostolico così in data 15 agosto 1880 scriveva al Prefetto di Propaganda: «... Con tutto ciò non intendo uscire da una missione che mi costò 35 anni di fatiche, ma intendo costituirmi sotto gli ordini del nuovo vicario apostolico in tutto ciò che il medesimo mi crederà ancora capace, perchè tengo un certo voto di morire sul campo di battàglia, e, come ella ben sa, non fu che costretto dalla forza pubblica che lo lasciai».

Ne eran solo parole: invero, quando nel 1884 si venne a sapere a Propaganda Fide che nella nuova colonia di Assab si desiderava un missionario, il nostro Massaia, dimentico dell’età e degli acciacchi, fece formale domanda per esservi inviato egli stesso. «Assab è sulla costa del mare, pensava; a me basta che mi mettano sopra una nave; le mie gambe sull’acqua camminano bene». Come il Papa sentì una simile richiesta, ne sorrise e per risposta pochi giorni dopo lo creava cardinale.

Nulla si curava il grand’uomo del rumore che il mondo levava attorno alla sua persona; nulla del gran dire che facevasi delle sue gloriose vicissitudini, delle sue straordinarie imprese; nulla del coro di lodi che scioglievasi concorde al suo nome, non solo per parte di ecclesiastici e di laici devoti, ma anche di liberali autentici e di politici senza fede, abbagliati com’erano anche questi dallo splendore che veniva dalle sue imprese. Riceveva spesso delle visite di uomini eminenti, ed egli, o fosse arte degli interlocutori, o inclinazione propria del cuore, o l’una e l’altra insieme, tosto entrava a discorrere dei suoi casi, ma con una semplicità che chiaro mostrava nulla volerne insuperbire.

/413/ Gli fu manifestata un giorno da taluno ammirazione per la sua intrepidezza in sì difficile impresa: ed egli colla più gran calma del mondo e con certa indifferenza, quasi si trattasse di cosa naturalissima, «oh sta a vedere, disse, che per fare un’opera buona bisogna cercare il luogo dove costi meno». I sacrifizi per quell’anima veramente grande non contavano; è volontà di Dio, c’entra la sua gloria e la salvezza del prossimo; avanti dunque e nessun timore; costi quel che costi. Ed oh quante volte l’abbiam visto nel corso delle sue lunghe missioni! E con questo spirito, con questa disposizione d’animo eroici quanti copiosi frutti raccolse! Son ben trentaseimila persone che egli battezzò di sua mano; ma chi può contare le altre che e colla predicazione e coll’esempio eloquente della sua vita ridusse all’ovile di Gesù Cristo?

Chi può dire quanto gran frutto abbia altresì ottenuto coll’apostolato famigliare e semplice della conversazione? Perchè era sua consuetudine di non lasciarsi sfuggire occasione di parlare di Dio, di gettare qualche buon seme nei cuori, nel trattare, nel discorrere, sia pur di cose indifferenti e con persone poco proclivi alla pietà. E questa regola che s’era imposta da sè stesso e che sempre, come si è potuto vedere, serbò nelle sue missioni, mantenne altresì nella posteriore sua vita del chiostro.

Presentandoglisi, ed era spesso, qualche personaggio, noi lasciava senza avergli insinuato qualche buon consiglio, detta qualche salutare parola; voleva anche allora, come gli era possibile, continuare il suo apostolato. E le sue parole, i suoi consigli trovavano facilmente la via del cuore, perchè sapeva condirli con qualche onesta arguzia, di cui era fe- /414/ condo il suo ingegno, con qualche spiritosa osservazione, gettata, pareva, lì a caso, ma che appunto per questo rivelano l’altezza della mente e la bontà del cuore di chi parla. — Del resto era l’uomo senza pretese, senza fasto, la semplicità cappuccinesca in persona; e come tale avrebbe volentieri sepolta nel suo animo tutta la storia lunga e dolorosa e, diciamo, anche più gloriosa, del suo apostolato, se un personaggio venerando, a cui non poteva non inchinarsi, non sottomettere la sua volontà, il Sommo Pontefice Leone XIII, non gli avesse imposto di farla nota per le stampe. Umile e ubbidiente anche in questo, si accinse dunque all’opera. Ma come fare se le memorie delle sue missioni ch’egli aveva scritte per servire di guida ai futuri suoi continuatori più non conservava, parte avendole perdute, parte essendogli state tolte dai suoi tiranni? Ma lo soccorreva l’ingegno e la memoria che pure in quella longeva età di settant’anni conservava potenti, e aggiungeremo, e non crediamo di errare, lo soccorreva anche più validamente una particolare grazia di Dio che sempre aiuta ed assiste quei che si prestano docili strumenti nelle sue mani.

Prese dunque nel convento di Roma a scrivere la storia delle sue missioni, e con un’alacrità, con una costanza, ammirabile altresì in un giovane; oltre a parecchie ore del giorno, come ci attesta il suo segretario privato, p. Giacinto di Troina, ne dedicava a questo lavoro parecchie della notte, perchè, coricatosi sull’imbrunire, alle tre dopo mezzanotte levavasi e ponevasi allo scrittoio, rimanendovi fino all’alba; celebrata la S. Messa, dopo un breve riposo preso sopra una sedia, nuovamente rimettevasi all’opera. Cinque anni, dall’81 all’85, impiegò in questa /415/ fatica e ne vennero fuori ben 12 volumi in folio, tutti vergati di sua mano; i tre ultimi venuti alla stampa dopo la sua morte.

Unico ristoro in mezzo a tante e sì assidue occupazioni lo scendere qualche volta sulla vicina piazza di Mignanelli a un po’ di familiare conversazione, e la visita di qualche illustre personaggio, che pure, come abbiam detto, non dovevano essere senza qualche intento spirituale.

Il 16 marzo 1881 il nipote Guglielmo, già citato e morto alcuni anni addietro, gli scriveva esprimendogli il suo vivo desiderio di rivederlo una volta in patria, desiderio al quale il santo zio rispondeva non potere per motivo di salute accondiscendere. E pregio il riportare la lettera perchè si veda anche meglio quali sentimenti animavano quel grande uomo, quale e quanto affetto nutriva verso i suoi parenti. Eccola testualmente dall’autografo che abbiamo sottocchio.

Roma, 20 marzo 1881.

Caro nipote in G. C. amatissimo,

Ho ricevuta la tua del 16 corrente con molto piacere unitamente al post scriptum del p. Guardiano di Revel ed al biglietto bellissimo della tua figlia Patrizia. Che Iddio vi benedica tutti e faccia in modo che l’anima vostra non si perda. Io avevo fissato di venire a Torino prima di Pasqua, ma avendone parlato col Papa non ha voluto ancora darmene la permissione; giova sperare che sarà per dopo Pasqua. In quanto al venire in patria sarà molto difficile, perchè non posso andare più a piedi, e faccio uno sforzo per poter celebrare la S. Messa, /416/ essendo sempre ancora molto debole. Ma se non vengo in persona verrò col cuore; Iddio è uno e quando sarai alla presenza di Dio io sarò sempre là con te, se non presente di corpo, presentissimo di spirito. Di spirito sono sempre presente a te come lo sono al tuo padre Domenico, che mai non ho dimenticato. Così dirai ai tuoi fratelli ed altri parenti ed amici che non conosco più di corpo, ma gli conosco di spirito. Dirai a tutti che io sono tutti i giorni in Piovà e quando andrete alla Chiesa io sarò là con voi avanti Dio. La carne nostra va calcolata come i pantaloni, i quali quando sono vecchi si mettono da una parte e non si calcolano più. Per me sono tutti eguali, quelli che sono morti e quelli che sono vivi, purché quelli che sono morti sian morti in grazia di Dio. Noi siamo assuefatti a calcolare il corpo, e quando non ci siamo presenti di corpo ci pare sempre di essere lontani, ma non è così, non è così, perchè il corpo è nulla, e l’anima è tutto. Figli miei, siate solamente buoni cristiani, perchè essendo buoni cristiani siete con Dio, ed essendo con Dio siamo sempre presenti nella medesima casa. Del resto non dubitate di me, sia che venga, sia che non venga, io sarò sempre con voi col cuore e collo spirito. — Fate una cosa, ogni sera dite un Pater, una Ave Maria, una Salve Regina, tutti assieme, davanti a qualche immagine, io collo spirito sarò con voi tutti e vi benedirò... Vi lascio ai piedi del Crocifisso nostro Signore, e benedicendovi tutti, sono sempre il tuo vecchio zio

† fra Guglielmo Massaia, Vescovo capp.

Come rileviamo da questa lettera, non aveva allora speranza di rivedere la Piovà, nè difatti la /417/ rivide, ma ben fu nei primi di luglio di quell’anno a Torino, presso i suoi cari confratelli del convento della Madonna di Campagna. In questo viaggio fece anche una sosta ad Asti presso il suo amico e compatriota, già addietro ricordato, il canonico cantore della Cattedrale, Polledro, fermandosi due o tre giorni e celebrando la santa messa il primo giorno nella Cattedrale, e il secondo nella chiesa del ritiro Milliavacca. E l’umile compilatore ricorda qui con gioia, come allora, studente dei primi corsi ginnasiali nel Seminario, ebbe la ventura di vederlo, non certo presago di avere poi un giorno a scrivere comechesia di lui.

Data e ricevuta a sua volta questa consolazione dai suoi amici, il buon cappuccino restituivasi a Roma, alla quiete del suo caro convento. Ma in parte da questa quiete, da questa volontaria oscurità veniva a toglierlo il sommo gerarca, il quale a dargli una testimonianza della sua alta stima nel concistoro del 10 novembre 1884 lo creava Cardinale col titolo dei santi Vitale, Gervasio e Protasio. E ci volle un comando per indurlo ad accettare quella dignità. «Io sono un mezzo selvaggio, disse in quell’occasione, perchè tanti anni ho vissuto in mezzo ai selvaggi e tra essi avrei bramato di finire i miei giorni... Che ha fatto il S. Padre? E in che cosa potrò servirlo? Sono un vecchio che poco più potrò vivere in questo mondo; non sono buono a nulla e neanche le gambe non mi possono più sostenere. Però sono riconoscente alla bontà del Papa che nella mia persona ha inteso di onorare il mio ordine Cappuccino, il mio Padre Generale (e si volse ad abbracciarlo piangendo) e la grande opera delle Missioni... Che cosa è mai la terra? Ah pregate /418/ tutti per me e domandate che questa nuova dignità che di un povero vescovo di selvaggi fa un Cardinale di S. Chiesa non debba pagarla con cento anni di più di purgatorio»! E non potè più parlare per la commozione. — Sembrò che proprio a queste parole volesse rispondere Leone XIII quando due giorni dopo, prima di imporre la berretta al nuovo Cardinale gli rivolse questo splendido elogio: «E voi, venite, o figlio di S. Francesco, voi, il cui nome fecero glorioso e venerando le diuturne ed immense fatiche sostenute fra barbare genti per la propagazione della fede; con lo splendore della porpora diffonderete più viva la luce di quella vita apostolica di cui foste nobilissimo esempio, mostrando al mondo, che lo disconosce, quanto bene possa meritare della civiltà anche un umile alunno del chiostro animato dal soffio della carità e della religione di Cristo».

In tale occasione è da ricordare un grazioso aneddoto. Essendosi, com’è d’uso, recato a far visita di ringraziamento al Papa, chi lo introduceva gli disse di deporre il bastone in anticamera; ma egli «non sia mai, rispose argutamente scherzando, che io abbandoni nella prosperità chi mi fu fedele amico nella sventura». E andò così avanti col suo famoso bastone; veramente famoso, che gli si volle più volte pagar molto caro o cambiar in altro prezioso, ma egli non volle mai saperne. Ed aveva ragione; quanta storia ricordavagli quel bastone, quel fido compagno e testimone delle sue fatiche; diciamo di più, quel rappresentante della sua persona, poichè quando doveva per coscienza opporsi alla volontà di teste incoronate, mandava il suo bastone, e que- /419/ sto, non meno che lui stesso, diremo, era stimato in quel caso!

Tornando ora alla sua nomina a Cardinale, la Piovà (1a) che gli aveva dati i natali non poteva rimanere indifferente alla dignità di un suo figlio, che in parte ridondava anche ad onore proprio, e però il Municipio pel suo Sindaco, Stefano Carmagnola, plaudente il parroco e vicario foraneo, D. Solaro, e tutta la popolazione, stabilì un comitato che studiasse il modo di commemorar degnamente un fatto tanto importante e glorioso.

Questo, composto di 20 membri, sotto la Presidenza onoraria del deputato d’Asti, Carlo Borgnini, deliberava di dedicargli una lapide, ed a questo effetto apriva una sottoscrizione che raccolse tosto le firme di illustri personaggi, ecclesiastici e laici, di Mons. Giuseppe Ronco, Vescovo di Asti, del principe Eugenio di Savoia Carignano, di canonici, parroci, sindaci, dei membri della Società Geografica italiana, per tacere di tanti altri. Il dì 8 giugno 1885 alla presenza dei numerosi parenti del Cardinale, della popolazione festante e coll’intervento del sindaco del luogo, del pro-sindaco d’Asti, cav. ing. Vincenzo Adorni, dell’assessore per le scuole civiche, Comm. Pompilio Grandi, del consigliere provinciale, Dott. Carlo Massaglia, e d’altri molti, tra i concenti della banda musicale di Chieri, si apponeva al muro esterno del palazzo comunale una lapide, disegno dell’ing. Riccio di Torino, recitando il discorso inaugurale con una competenza tutta sua /420/ il Prof. Carlo Vassallo canonico arciprete della Cattedrale d’Asti, e preside del Liceo Alfieri (1b). Si chiuse la solenne festa per cura e a spese del munifico prevosto Solaro con un banchetto di più che /421/ cento commensali, i cui brindisi ed elogi al festeggiato, benché superlativi, raramente come allora, furono scevri da adulazioni e da iperboli. Il discorso del dotto e eloquente professore fu poi dato alle stampe e da esso, come dai cenni che lo precedono, togliemmo appunto le suaccennate notizie. Non possiamo citarlo, perchè sarebbe un anticipare le lodi che ci riserviamo di tributare in fine all’eroe, solo diciamo che l’oratore fu degno del soggetto. Quello però che non possiamo omettere è la bella epigrafe che crediamo dettata dallo stesso. Eccola:

Al Cardinale
Guglielmo Massaia
gloria italiana
per sette lustri
nunzio dell’Evangelio
lume di civiltà
fra i popoli dell’Etiopia
Piovà
sua patria
pone con riverente affetto
nel LXXVI anniversario di sua nascita
VIII giugno MDCCCLXXXV

Così la Piovà onorava questo suo illustre cittadino; ed anche Asti, come città capoluogo, gli dedicava, sia pure non delle più belle, una via. Ed era doveroso dopo l’esempio dato dal Vicario di Cristo, /422/ coll’innalzarlo alla più alta dignità ecclesiastica, di principe di Santa Chiesa.

Ma alla stima pel nostro Massaia s’aggiungeva nel Papa anche l’affetto e, diremo, la venerazione: ne sia prova questo. In occasione della beatificazione del cappuccino fra Felice da Nicosia, essendosi il nostro recato a venerare, com’è d’uso, il nuovo beato nella basilica vaticana, sopravvenne in quel punto il Papa ed avanzandosi questi verso l’altare del beato, il Massaia che si trovava vicino fece uno sforzo (che pativa male alle gambe) per alzarsi dal suo scanno ed inginocchiarsegli; ma il Pontefice lo prevenne e, fattolo amorevolmente sedere, s’intrattenne affabilmente con lui, presente tutta la sacra corte, ammirata non meno dell’amorevolezza del Vicario di Cristo, che della umiltà del nostro cardinale.

Il quale benché vecchio, benché sofferente delle gambe e alla spina dorsale, talché ogni movimento non era senza dolore, benché soggetto ogni tanto a pericoli di congestione cerebrale, attendeva tuttavia con gran lena a scrivere l’opera sua poderosa. Questa, incominciata nel convento di piazza Barberini, come s’è detto, continuò poi nel collegio di Propaganda Fide, dove fatto cardinale aveva preso alloggio, e nel convento di Frascati.

Anche allora, sebbene principe di S. Chiesa seguitò a vestire le ruvide lane di S. Francesco portando, unico distintivo, il zucchetto rosso. Nell’estate, quando in Roma si svegliano i forti caldi e pericolosi, conducevasi per rinfrancare un po’ la salute, a Frascati, nel convento dei suoi confratelli, detto della Ruffinella. Ma neppure qui rimaneva ozioso; attendeva a scrivere, scrivere, ritirato /423/ gran parte del giorno nel suo modestissimo alloggio; una cameretta pel letto, una per l’oratorio privato ed una per lo studio insieme e pel ricevimento dei forestieri; quest’ultimo un tratto di corridoio diviso dal resto con un paravento. Ne punto migliore era il suo arredo; un antico scrittoio d’abete, un seggiolone ricoperto di tela sbiadita a colori, e, pei visitatori, un sedile incavato nel muro.

E quivi riceveva i più alti personaggi, quivi nel 1884 ricevette il ministro di grazia e giustizia, on. Tommaso Villa e il colonnello Oreste Baratieri, venuti ad offrirgli, a nome di Re Umberto, la grande onorificenza di cavaliere dei Ss. Maurizio e Lazzaro, onorificenza che nella sua caratteristica umiltà cappuccinesca non volle accettare.

Che doveva farne delle onorificenze mondane chi delle sue opere aspettava il premio unicamente da Dio?

Da Frascati nei tre ultimi anni di sua vita, trovandosi molto accresciuti gli antichi acciacchi, residuo delle sofferenze sostenute nelle missioni, portavasi a respirare aria più pura nel napoletano, nel villaggio di S. Giorgio a Cremano, presso un suo amico e devoto ammiratore, il Sig. Luigi Amirante, il quale colla sua famiglia, tutte ottime persone, recavasi ad onore di ospitarlo e prestargli quelle maggiori cure che potesse.

E quivi doveva anche coglierlo la morte; perocché colpito da un improvviso accesso di paralisi cardiaca, nonostante le amorevoli cure de’ suoi ospiti e del medico Modestino del Gaio, ricevuti prima con edificante pietà i santi sacramenti, alle ore 6 antimeridiane del 6 agosto 1889 rendeva la sua bell’anima a Dio, La sua bell’anima che saliva /424/ al cielo incontrata dal numeroso esercito delle anime che egli nel lungo periodo delle missioni, della sua laboriosa e santa vita, aveva mandate a salvamento; saliva al cielo, ci è lecito con ogni fondamento sperarlo, a cingere quella corona immortale di gloria che co’ suoi molti meriti s’era acquistata.

La notizia della sua morte fu appresa con costernazione non pure da’ suoi confratelli, ma eziandio da quanti lo conoscevano e n’avevan sentito parlare, credenti non solo, ma anche liberali e scettici, contando devoti e ammiratori nell’uno e .nell’altro campo. Il suo corpo fu esposto in una sala del convento per dare sfogo all’ammirazione dei fedeli e dei non fedeli, celebrandosi intanto per più ore del giorno ininterrottamente la S. Messa ad alcuni altari per l’occasione ivi eretti.

Intanto il Papa fece sentire la sua volontà di dargli sepoltura a Roma, in Campo Verano, nel luogo riservato al Collegio di Propaganda Fide. E la salma con rincrescimento dei cappuccini e della cittadinanza di Frascati venne dunque onorevolmente trasportata a Roma.

Era stata rinserrata in triplice cassa, inchiusovi un documento membranaceo commemorativo del defunto, sottoscritto dai principali superiori dell’Ordine e dai più intimi famigliari del cardinale. La cassa esterna portava incisa questa semplicissima epigrafe:

Spoglie mortali
del Card. Guglielmo Massaia
cappuccino
apostolo dell’Africa orientale
morto in San Giorgio a Cremano
il 6 agosto 1889

/425/ Ma sapeva sempre male ai Frascatesi di vedersi tolto quel prezioso pegno, tanto più che ne avevano una specie di diritto, avendo più volte il Massaia espresso il desiderio di essere seppellito vicino alla cappella del convento della Ruffinella, lungi dal rumore mondano, dal fasto pagano dei moderni cimiteri. Ma chi si sarebbe fatto eco di questo desiderio presso chi di ragione per il trasporto della venerata salma da Roma a Frascati? L’egregio sig. Gioachino Farina, che pel card. Massaia nutriva un affetto filiale e una vera venerazione si assunse l’incarico di tentare la difficile impresa. Ne parlò coi principali personaggi dell’ordine cappuccino, con lo stesso generale, con alcuni cardinali; ma tutti ad una voce gli dichiaravano la cosa d’impossibile riuscita. Non scoraggiossi per questo il Farina, ma tanto s’adoprò presso il card. Rampolla, che ottenne d’avere un’udienza dal S. Padre, al quale espose il suo desiderio e la sua domanda. E il Santo Padre, vista la conferma giurata della volontà espressa in vita dal card. Massaia, accondiscese finalmente alla domanda. Lieto del permesso avuto, il signor Farina s’accinse tosto, coadiuvato da un comitato e specialmente dal segr. P. Giacinto da Troina, ad attuare il trasporto della venerata salma col maggior decoro possibile. Il giorno 11 giugno 1890 pertanto il sacro corpo era levato dal tumulo e con gran solennità, su carro di 1a classe, apprestato dallo stesso municipio di Roma, e salutato da un plotone di guardie municipali veniva con accompagnamento di molti illustri personaggi dell’ordine cappuccinesco e del laicato e di un rappresentante del municipio di Roma trasferito a Frascati. Giunto alle porte della città fu ricevuto dal Vescovo amministratore, dal /426/ Sindaco, cav. Gaetano Valenti, dalla Giunta, dalle più ragguardevoli famiglie cittadine e da un’onda di popolo commosso insieme e festante. Portato nella chiesa dei cappuccini quivi alla presenza di tutta quella moltitudine, veniva cantata la Messa di esequie dal P. Provinciale dei cappuccini, Gabriele da Guercino; dopo di che la salma venne calata nella nuova cripta fatta edificare dalla principessa di Sarsina accanto ad una cappella di detta chiesa.

Sulla tomba fu posta la seguente epigrafe latina dettata dall’illustre p. Angelini della Compagnia di Gesù.

Villelmo Massaiae Cardinali
ex Ordine Capulato Francisci Patris
cuius animi magnitudo
impervias afrorum regiones religioni reclusit
sole sub ardenti lustravit
dynastarum furorem fregit insidias elusit
minas exilia carcerem rerum omnium egestatem
infra se duxit
posteritatem spectans XXXV annorum larores
libris commisit
vitae tot inter discrimina traductae
finem attulit annus MDCCCLXXXIX
VIII Idus Sextiles Octogesimus ex quo lucem
hauserat Plebatae apud Alexandriam statelliorum
heic ubi quiescit in Christo
monumentum constitutum est

Ant. Angelini S. I.

/427/ La quale epigrafe tradotta in italiano suona:

Al Card. Guglielmo Massaia
dell’Ordine dei Cappuccini
la cui grandezza d’animo
le impenetrabili terre africane schiuse alla fede
percorse sotto gli ardori d’un sole tropicale
il furore dei principi spezzo le insidie eluse
minacce esilii prigionie privazioni d’ogni cosa
nulla stimò
mirando ai posteri le fatiche di sette lustri
consegnò agli scritti
la vita trascorsa fra tante peripezie
metteva fine il 6 agosto 1889
ottantesimo dacché vedeva la luce
alla Piovà presso Alessandria (1c)
qui dove riposa in Cristo
fu posto questo monumento

Tornando al racconto, il 6 agosto 1890 nella cattedrale di Frascati vi fu messa da requiem celebrata da Mons. Canestrari, amministratore di Frascati, con intervento dei canonici, degli alunni di Propaganda Fide e di numeroso popolo. La musica fu eseguita dai cantori delle cappelle Gregoriana e Giulia e dopo il canonico Forchielli lesse un elaborato discorso commemorativo del defunto. Alla Messa come al discorso assistevano oltre ai padri dell’Ordine e a molti personaggi ecclesiastici, le autorità civili e militari di Frascati, il principe e /428/ la principessa Lancellotti, la principessa Borghese, lo scultore del Monumento al Massaia, comm. Cesare Aureli, i rappresentanti della società geografica italiana, della società africana di Napoli e della società antischiavista, prof. Della Vedova, comm. Laganà e cav. Simonetti, e altri molti che sarebbe troppo lungo enumerare (1d).

Con questo non finiva l’ammirazione pel Massaia; era appena sceso nel sepolcro, che già parecchi personaggi del clero e del laicato, e di Roma e di Napoli e di Palermo e d’altri luoghi costituivansi in comitato per raccogliere offerte onde innalzare un monumento che eternasse la memoria del grande missionario. Anche questa volta iniziatore e promotore instancabile fu il sig. Gioachino Farina efficacemente coadiuvato dal p. Giacinto da Troina e dal Sig. Anastasio Reali.

In breve si raccolsero i fondi necessari, 16 mila lire; che la proposta trovò favorevolissima accoglienza tra ogni ceto di persone, e nei civili e religiosi istituti, non solo in Italia ma anche all’estero. L’opera fu affidata al valente scultore romano, comm. Cesare Aureli, il quale veramente corrispose all’aspettazione. Egli ci ha ritratto il Massaia seduto su un modesto seggiolone nella sua posa caratteristica di semplice cappuccino e nel suo umile saio, col suo inseparabile bastone a fianco, la penna in /429/ una mano e un libro (il libro delle sue Memorie) squadernato nell’altra. La grandezza nell’umiltà; ecco il concetto che ti fai nel contemplare il monumento; ciò che fu appunto il Massaia.

Questo fu inaugurato solennemente il 12 ottobre del 1892 (1e). La tomba del Massaia divenne presto meta di pellegrinaggi di devoti e ammiratori: nel settembre 1889 l’ambasciata abissina, condotta da ras Makonnen; nel 1907 un’altra ambasciata abissina, condotta dal principe Masciascià; nel maggio 1919 la missione etiopica, guidata dal principe Gettaciù, al cui seguito vi era Mangascià Wubiè, attualmente Ministro Plenipotenziario d’Etiopia presso il Re d’Italia; nel 1924 ras Tafari Makonnen, erede del trono d’Etiopia, oggi Negus dell’impero etiopico e nell’agosto 1929 il principe Kebbedè Mangascià col suo seguito. Questa ultima missione dopo una visita al re e al Papa, al quale per bocca dell’ambasciatore aveva rivolto un nobile indirizzo di ossequio e di devozione, accogliendo l’invito del signor Gioachino Farina portossi a visitare la tomba dell’apostolo dei Galla. L’accompagnava l’addetto militare italiano cav. Quarto, il cav. Mochi pel ministro degli Esteri e il giovane egittologo Giulio Farina (2a). Dopo aver ammirato la chiesa e il monumento, del quale il signor Gioachino Farina diede spiegazioni che vennero tradotte dagli interpreti, salirono a vedere l’alloggio abitato dal grande Missionario. Singolarmente commosso dimostrossi /430/ Masciacià nel constatare come tanta grandezza del Massaia fosse andata a finire in una umile cella di monaco.

La grande eredità di affetto e di ammirazione che aveva lasciato dietro di se il Massaia non poteva lasciar passare inosservata la ricorrenza del 1° centenario della sua nascita. Il signor Gioachino Farina, che per le sue alte benemerenze nell’onorare la memoria del grande Missionario, ai primi di gennaio del 1909 veniva decorato dal Papa della croce di cavaliere, e indi di commendatore di S. Silvestro, ebbe una geniale idea, di ripetere cioè alla Piovà le feste e le onoranze tributategli già in Frascati. Sorse così dietro suo impulso un comitato romano e nazionale, comporto di illustri personaggi del clero e del laicato, a cui corrispose un comitato della Diocesi d’Asti. Il centenario si voleva riuscisse degno del grande commemorato; ma i mezzi?

Il card. Cassetta con una munificenza davvero principesca se ne assunse egli le spese; l’illustre comm. Aureli si offrì gratuitamente a rappresentarci un’altra volta nel marmo le sembianze dell’immortale cappuccino. E il 19 settembre 1909 si inaugurava alla Piovà, nella chiesa parrocchiale, che lo vide rigenerato a Cristo, il monumento al Massaia, monumento che per la forma e il magistero dell’esecuzione fa degno riscontro al precedente: chi ha lette le sue memorie o questo compendio, al mirarlo deve dire: è lui. (1f)

Nello stesso giorno il comitato di Frascati faceva /431/ murare una lapide commemorativa sulla casa paterna del Massaia. Questa, mercè l’interessamento del parroco D. Giuseppe Mellica, è ora stata dichiarata monumento nazionale.

Alla grandiosa manifestazione eran presenti, oltre a un immenso popolo, concorso da tutte le parti della diocesi, il card. Richelmy arciv. di Torino, che ne tessè l’elogio durante la funzione religiosa, Mons. Valfrè di Bonzo, arciv. di Vercelli, mons. Tasso vescovo d’Aosta, mons. Re, vescovo d’Alba, mons. Carlo Vergano, vicario capitolare, in rappresentanza del vescovo eletto monsignor Spandre, molto Clero, e i padri Guardiani di Frascati e della Madonna di Campagna di Torino, l’illustre comm. Farina, anima e primo ispiratore e promotore delle feste, i deputati Borsarelli e Gazzelli, le rappresentanze di 40 società coi loro vessilli, e altri molti, tra cui l’autore di queste memorie.

Al banchetto di oltre 400 commensali parecchi furono gli oratori che inneggiarono alla memoria del grande ed umile cappuccino, il deputato Borsarelli, il deputato Gazzelli, che già prima aveva arringato il popolo con un nobile discorso, l’avv. Scala ed altri. Chiuse la giornata una splendida luminaria.

Le feste religiose e civili, per quel che riguarda la parte locale per merito del solerte prevosto D. Mellica, secondato anche dalla giunta municipale e dal popolo, riuscirono oltre ogni dire solenni e non indegne del grande commemorato.

Alla commemorazione della Piovà doveva tener dietro la domenica seguente, 26 settembre, quella di Frascati. Il comitato pei festeggiamenti era posto sotto l’alto patronato di S. M. la Regina madre e aveva per presidente effettivo l’on. Aguglia, onora- /432/ rio il card. Satolli, vescovo di Frascati, vicepresidente il comm. Farina e membri il p. Paolo Sarandrea, guardiano del convento di Frascati e il sig. Giuseppe Minuti. Le feste riuscirono solenni oltre ogni aspettazione. Vi prese parte un Principe di S. Chiesa, il card. Cassetta, tutte le Società cattoliche di Roma e del Lazio in numero di cento, coi loro vessilli, parecchie bande, le autorità cittadine, uno stuolo di illustri personaggi del clero e del laicato. Oltre 4 mila persone sfilarono nel corteo; il p. Semeria colla sua solita caratteristica eloquenza tenne il discorso commemorativo; un centinaio di cospicui personaggi di ogni ceto si riunivano indi a banchetto nelle sale del convento. Un’altra solenne dimostrazione doveva aver luogo il 10 ottobre per opera delle società sportive cattoliche del Lazio, che sarebbero andate a deporre sulla tomba del Massaia una corona di bronzo, omaggio della cittadinanza cattolica romana; ma la massoneria, già troppo irritata pel trionfo religioso del 26 settembre, promosse una dimostrazione anticlericale in Frascati per lo stesso giorno; cosicché ad evitare guai, smesso il pensiero del convegno giovanile, la corona venne recata in forma privata.

Altre due commemorazioni del grande apostolo si tennero in quell’anno; entrambe coll’inaugurazione di un ricordo marmoreo, una a Cigliano che lo vide celebrare la prima Messa e lo ebbe qualche tempo sacerdote operoso, e l’altra nel convento della Madonna di Campagna in Torino, ove il Massaia iniziò la sua carriera religiosa e compì il suo tirocinio.

A maggiormente illustrare la memoria dell’intrepido apostolo dei Galla, e perpetuarne il ricordo il /433/ comm. Farina, che nell’onorare il Massaia è sopramodo ricco di attività e di geniali idee, allestiva nel convento di Frascati un museo massaiano che raccoglie gli oggetti più preziosi, (preziosi pel significato) che appartennero all’insigne missionario o che riguardano la sua missione (1g).

Infine, quasi ad allietare lo spirito dell’invitto missionario che ivi aleggia e riceverne ispirazione e conforto in un’opera che fu il supremo costante sospiro della sua vita, l’evangelizzazione degli infedeli, presso l’antico convento si venne edificando un grandioso seminario internazionale delle missioni estere cappuccine (2b), seminario, di cui si pose la prima pietra il 28 gennaio 1912 e di cui si doveva fare l’inaugurazione nella ricorrenza del 25° anniversario della morte del Massaia, cioè nel 1914; inaugurazione che fu poi fatta dopo la grande guerra.

E seguitando nelle onoranze al card. Massaia, il comm. Farina non si tenne pago al molto che già aveva fatto per onorarne la santa memoria. «Si adoperò, scrive il p. Lodovico da Colognola nel periodico «Il Massaia», perchè al Massaia fosse tributato il massimo degli onori, fosse, cioè, annoverato fra i grandi della Religione e della Patria con l’erezione di un busto al Pincio, famedio di Roma e d’Italia. Il busto di marmo bianco, pregievole opera del Prof. Prini, raffigurante l’austera e pensosa /434/ fronte del porporato illustre, fu inaugurato il 5 maggio 1929 da sua Ecc. il Governatore di Roma, principe Francesco Boncompagni Ludovisi, alla presenza di tutte le autorità, di una folla di notabilità e di ogni ordine di cittadini. Nel pomeriggio dello stesso giorno si tenne a Frascati nel Politeama Tusculano una solenne commemorazione del card. Massaia. Essa riuscì veramente imponente. Vi parteciparono cardinali, Ministri del Governo, vescovi, autorità, notabilità dell’alta aristocrazia e della società. Vi aderirono S. S. Pio XI, S. M. il Re, il Capo del Governo, on. Mussolini, il Negus d’Etiopia, Tafari, il Principe Ereditario, il Duca degli Abruzzi».

L’esempio di Roma fu seguito da Torino, città di adozione del card. Massaia. La Giunta Diocesana dell’Azione Cattolica promoveva una commemorazione, che veniva tenuta nel teatro del Collegio S. Giuseppe il 22 giugno 1929. Mons. Umberto Rossi rievocava con una splendida conferenza ad un numeroso e scelto pubblico la nobile figura del Missionario Cappuccino, traendola dalla sua opera «I miei 35 anni di Missione nell’alta Etiopia». Il comitato di cui fu l’anima la contessa Rosa di S. Marco, costituito dalle più spiccate personalità torinesi, stabilì di porre un busto di bronzo sul Monte dei Cappuccini. Il busto, opera dello scultore Prini, fu decorato di una epigrafe, dettata da S. E. Paolo Boselli (1h). Il busto e la lapide, affissi al muro del convento dei Cappuccini a fianco della Chiesa, furono inaugurati il 29 giugno 1929 alla presenza di tutte le autorità e di una massa di popolo /435/ esultante. Il Negus d’Etiopia, conscio dell’opera benefica, svolta tra il popolo d’Abissinia dall’infaticabile Cappuccino, ha voluto decretare alla sua memoria la più alta onorificenza dell’Impero, il gran cordone della Stella d’Etiopia, e per mezzo del R. Ministro d’Italia in Adis-Abeba rimetteva al comm. Farina le insegne con la pergamena giustificativa, la medaglia d’oro commemorativa della sua incoronazione e una collezione delle monete d’oro dell’Impero, da conservarsi nel Museo di Frascati.

/436/ Il Capo del Governo italiano, S. E. Mussolini, Ministro delle Colonie, rievocando a S. M. il Re gli eccezionali servigi resi alla Patria dall’insigne Missionario Cappuccino nella opportunità delle commemorazioni massaiane, celebratesi a Roma e a Torino e come coronamento di esse, si è compiaciuto partecipare al comm. Farina la sovrana degnazione di motu proprio del 31 Maggio 1929, con la quale è conferita alla memoria del card. Massaia la Commenda Coloniale della Stella d’Italia rimettendone le insegne da conservarsi nel Museo di Frascati, che si intitola al suo nome venerando. L’Ordine dei Minori Cappuccini, grato e riconoscente al comm. Farina che per 40 anni si è prodigato per far conoscere il grande apostolo, per ottenergli i migliori onori, fino ad immortalarlo nell’aureola eterna di Roma, promotore fervido di tutte le manifestazioni massaiane dal 1889 ad oggi, gli consegnava a mezzo del Rev. P. Generale una pergamena finemente lavorata.

S. E. De Bono, Ministro per le Colonie, lo ha decorato della Stella d’Italia con decreto di S. M. il Re, dandogliene partecipazione con una lettera molto lusinghiera, in cui esaltava la di lui instancabile attività per l’interessamento appassionato pel Museo etiopico «Card. Massaia».

(1a) In dialetto La Piouvà, in latino Plebata, la pieve; ragione per cui ci pare di doverlo accompagnare coll’articolo, come facciamo. [Torna al testo ]

(1b) Il can. Vassallo dava poi comunicazione al cardinale delle onoranze tributategli e il cardinale gli rispondeva con una lettera, finora, potremmo dire, inedita, perchè comparsa soltanto sulla Gazzetta Piemontese nel suo numero del 23 settembre 1885.
Eccola nella sua integrità:

Frascati, 3 settembre 1885.

Revmo signor Canonico,

Ho ricevuto quanto ella mi annunziò nella sua pregiatissima lettera del 20 agosto, e le sono grato tanto dei preziosi opuscoli quanto delle gentili espressioni con cui me li ha inviati. V. S. Revma conosce abbastanza le ragioni che mi imposero silenzio, quando cortesi e cari signori proposero un monumento per onorare la mia povera persona, e non ultima fu quella che l’uomo prima di morire potrebbe forse smentire i meriti che si vogliono eternare. Dopo il fatto è cangiata per me la scena e mi corre l’obbligo di esternare a quanti vi hanno così generosamente contribuito la mia gratitudine e riconoscenza. Ho tardato a compiere questo dovere perchè non sapevo a chi particolarmente rivolgermi per fare presso tutti le parti mie. Ora che V. S. Revma mi fa conoscere essere stato delegato dall’illustre Comitato di darmene notizia mi rivolgo con piacere a lei affinchè si compiaccia di essere mio rappresentante e mio interprete presso tutte quelle gentili persone. Ella manifesterà a ciascuna quanto abbia gradito l’affettuoso pensiero e le generose premure e che terrò sempre scolpita nel cuore la memoria della lapide che mi hanno fatto scolpire per onorare il mio nome. Tuttavia desidero che si sappia non essere io infine che un povero cappuccino, un missionario di Gesù Cristo; qualunque altra dignità o supposto merito non sono per me che maggiori debiti verso Dio e presso gli uomini, e chissà quanto dovrò piangerli in Purgatorio.

Se inoltre tanti vogliono insieme coll’Illmo Comitato e la S. V. lodare e premiare le deboli fatiche della mia vita apostolica, protesto che non ho mai inteso servire la Chiesa e la Patria col fine di piacere a chicchessia e di farmi un nome o procurarmi onori presso la società, ma solo per adempiere il mio dovere e giovare alle anime redente da Gesù Cristo. Un nome qualunque non sarebbe per me che un bel fiore olezzante per un giorno, ma inutile per l’eternità. Ed a questa eternità conviene che ormai pensi di /420/ proposito perchè i settantacinque anni che porto addosso mi avvisano che è vicino il giorno del rendiconto.

Ella poi, signor Canonico, si abbia particolari ringraziamenti per tutto ciò che ha fatto e si riceva, insieme cogli Illmi Signori del Comitato, i miei fraterni amplessi e la mia benedizione, mentre con tutto affetto mi dico

della S. V. Revma
devmo Fra Guglielmo Cardinal Massaia.

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(1c) Sarebbe stato più proprio dire presso Asti, giacchè la Piovà appartiene alla diocesi e al circondario d’Asti; ma non intendiamo farne colpa all’autore. Il perchè di questa osservazione è facile capire. [Torna al testo ]

(1d) A questi autorevoli giudizi sul Massaia e sull’opera sua subito dopo la sua morte, vogliamo aggiungerne uno recente, di persona autorevolissima. L’on. Federzoni, ex ministro delle Colonie e ora degno Presidente del Senato, in una lettera all’autore di queste Memorie scriveva tra l’altro: «L’Italia onora in Guglielmo Massaia il sacerdote di Cristo e l’assertore tenace della civiltà latina, espressa e diffusa da Roma». [Torna al testo ]

(1e) In quell’occasione il Municipio di Frascati decretava alla memoria del Massaia una medaglia. [Torna al testo ]

(2a) Il signor Giulio Farina è figlio del prelodato commendatore Gioachino Farina e da qualche anno è succeduto al compianto senatore Schiaparelli nella direzione del museo egizio di Torino. [Torna al testo ]

(1f) Il senatore Tabarrini come vide la statua del Massaia esclamò: «Essa è manzoniana; e se fosse viva, come pare, qualunque altezza umana le si getterebbe fra le braccia». [Torna al testo ]

(1g) Al museo volle concorrere anche Menelik coll’inviare due denti di elefante di straordinaria lunghezza (m. 1,28 ciascuno), e, recentemente, S. M. l’imperatrice Zeoditù. [Torna al testo ]

(2b) Per le missioni estere cappuccine veggasi: «Il Massaia», periodico mensile, illustrato, che si pubblica a Roma (via Boncompagni 71). [Torna al testo ]

(1h) Ecco la bella epigrafe:

Guglielmo Massaia
da Piovà
cappuccino Cardinale di Santa Chiesa
apostolo dell’Africa nel secolo XIX
compì eroicamente
per oltre sette lustri
in terre prima impenetrabili
prodigi di vittoriosa missione
e ne affidò il poema
a pagine lucenti di scienza e di carità
segno di nuove vie e nuove conquiste
per la civiltà cristiana
i Torinesi ammiratori devoti
posero ricordanti
che egli con serafico ardore
alla Madonna di Campagna
e fra i Cappuccini su questo Monte
di gloria e di letizia francescana
pregò pensò temprò l’animo
agli ardimenti ed ai martiri
divinamente ispirato

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