Libro dei Miracoli
di Santa Fede
Trad. Maurizio Pistone

Libro I

Latino →

6.

Vendetta del cielo contro coloro che volevano rubare il vino dei monaci

Ecco un fatto non meno meritevole di ammirazione: la bontà divina si è manifestata in protezione di Santa Fede nello stesso borgo citato prima, nel castello di Cassagnes1, ad otto miglia da Conques.

Tre anni fa il cavaliere Ugo, che comanda su quel borgo, comandò a due suoi servitori di prendere con qualche pretesto il vino dei monaci, che si trovava a Molières, una tenuta agricola a due miglia da quel castello.

I due si separarono, e andarono ciascuno per la sua strada a cercare per le campagne dei carri per trasportare il vino. Il primo, di nome Benedetto, ad un povero contadino, che lo esortava a non compiere la mala azione, rispose con queste parole blasfeme: Forse che Santa Fede beve vino? Stupido! Non sai che chi non beve vino non ne ha bisogno? Questo disgraziato non si rendeva conto di quello che diceva. Non sapeva che chi offende i servitori dei santi, offende gli stessi santi, anzi, commette ingiuria verso il Signore Cristo, il quale sente le offese che sono fatte nel corpo altrui, poiché i santi non sono altro che le sue membra consustanziali. E quando gli viene detto che il custode, a cui è affidata al chiave del magazzino, non c’è, si vanta di portare la chiave sulla punta del suo piede: non ci son porte così robuste, che lui non abbatta con un solo calcio! E dicendo questo con un gran calcio colpisce la parete della casupola in cui era entrato, mostrando con quale forza abbatterà la porta della cantina. Poi, spostandosi verso il magazzino, quando è ancora ad una certa distanza, di nuovo alza il piede, come se volesse di nuovo dare un calcio, piega il ginocchio: ed ecco che i nervi, contratti in quel movimento, perdono la capacità di muoversi, si irrigidiscono internamente, e con le membra contratte quel poveraccio casca per terra, la bocca si spalanca fino alle orecchie in un ghigno osceno; e la lordura schifosa che esce dal suo ventre indica chiaramente quanto sia profonda la sua sofferenza. Quell’infelice, miseramente tormentato, non resse più di due giorni tale miserevole vita.

Ora che abbiamo illustato la fine del primo, passiamo all’altro, di nome Ildeberto.

Costui portò via ad un povero contadino una spalla di porco. Non volle rendergliela né per le sue suppliche lacrimose, né per il rispetto verso i Santi, anzi disse gonfio di orgoglio: Farò abbrustolire per bene questa carne sopra le braci ardenti; boccone per boccone me ne riempirò la gola, insieme al vino dei monaci – come un falco, che dopo lungo digiuno trova una gallina grassa, e la rapisce violentemente dal cortile della cascina, la sventra con le unghie delle zampe, e dopo averla divorata, con rapide ali fende libero e felice l’aria dovunque lo porti l’istinto. Quel che segue fino alla fine nell’originale è in esametri Aveva appena finito di parlare, che quel parasita cominciò a darsi colpi sul capo, e poco per volta un forte dolore gli serrò le fauci, la gola tumida, il collo superbo. Il dolore non cessò finché, cosa terribile, il collo gonfiò fino a diventare più largo del capo. Si poteva vedere la gola insaziabile di quel ghiottone piena della fetida putredine di quell’improvviso malanno. E non campò più di tre giorni. Così il misero perì, castigato dall’ira del giudice celeste e imparò a divorare come un rapace una quantità smisurata di cibo, così Santa Fede seppe costringere quel becco goloso a divorare la sua stessa carne. Ora impara a sopportare la pena chi non volle imparare la misericordia verso i poveri, e chi non ebbe ritegno a opprimere i buoni e osò irritare i santi benefattori, viene ora miseramente sottoposto alle pene infernali.

Subito la fama dell’evento raggiunge il castello, narrando per ordine un così mirabile prodigio. Non per questo il nostro eroe rinuncia a ostinarsi nel suo proposito, ma esclama minacciosamente che andrà lui stesso a prendere il vino inebriante. La moglie, di nome Senegonda, cercando di trattenerlo, dice che quello è un crimine, un gesto detestabile, e da donna onesta lo esorta a non mettere in atto il suo intento di toccare la dispensa del vino dei monaci, perché non gli tocchi la condanna della morte improvvisa, né perisca colpito dall’ira della santa vergine. Ma cresce ancor di più la cieca bramosia del marito, che la aggredisce con ferocia e la ferisce a pugni. Mentre il sangue del volto le cola sul vestito, il signore si precipita giù con furia dal suo palazzo, e si precipita di persona a compiere l’impresa; ma mentre scende per i gradini sconnessi, spinto dall’ira, le gambe si piegano, i piedi scivolano; cade da un lato, e due costole si spezzano; le membra ferite si infettano; quell’infelice fa esperienza dell’ira divina, e sofferente riceve la ricompensa della sua colpa; i servi lo riportano indietro mezzo morto, e lo assistono a letto per tre mesi, con poche speranze di guarigione. Ma alla fine guarisce per i meriti dell’onesta moglie, e la donna fedele riporta in vita il marito ingiusto, esortandolo sempre a andare in pellegrinaggio al tempio della santa vergine. Alla fine lui si convinse ad andare presso la santa portando ricche offerte, e di ritorno non fu più ribelle.

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1. Oggi Cassagnes-Comtaux, a ca. 24 km a sud di Conques, è una piccola frazione del comune di Goutrens. La seconda parte del nome, Comtaux, indica che era stato sede di un castello dei conti di Rodez.
Il monastero di Conques aveva ricevuto in dono la proprietà di Molières nel 1001. Torna al testo ↑