Libro dei Miracoli
di Santa Fede
Trad. Maurizio Pistone

Libro I

Latino →

7.

Discorso di ricapitolazione e di confutazione delle critiche1.

La parte finale di questo miracolo2, che è fatta, diversamente dall’usuale, in esametri, mi è stata chiesa e quasi estorta con violenza da un monaco di nome Arseo. Ma ho poi preferito scrivere questi versi in modo prosastico, per evitare che apparisse una dissonanza con il testo precedente, temendo di fare una cosa troppo strana se la scansione dei versi disturbasse la linearità della lettura3.

Avevo scritto questi miracoli nel periodo di tre settimane e quattro giorni della mia permanenza a Conques, e li avevo lasciati ai monaci, raccomandandomi caldamente di non far copiare un libro imperfetto e ancora immaturo, finché non l’avessi completato con l’inserimento di molte altre storie, e non l’avessi sottoposto al giudizio del mio maestro, in modo che dopo essere stato controllato e corretto potesse trovare una sua collocazione fra le scritture degne di credito. Quei miracoli insigni che avevo annotato molto rapidamente e succintamente su dei foglietti, così come mi erano stati riferiti da coloro che li avevano visti con i loro occhi, ora li ho completati con maggior ampiezza, più diligentemente e in forma più distesa; e questo non per aggiungere cose superflue, ma piuttosto per riassumere le molte cose che avevo sentito: sintetizzare nel modo migliore i fatti è la lode degli scrittori. Le cose che sto per scrivere verranno considerate degne della massima ammirazione dai lettori benevoli. Non vi è dubbi che resterà un’immensa quantità di fatti meno importanti; ma a che servirebbe riempire un’immensa biblioteca, se non a suscitare fastidio? Mi sembra quindi più sensato e ragionevole ridurre in breve spazio una ricca materia, e dare un breve resoconto di ciò che non si può per nessun motivo rimandare ad altra occasione. In una così breve permanenza a Conques per grazia di Dio mi è stato concesso di vedere cose per le quali non ho bisogno di altri testimoni; e di queste cose farò ordinata relazione. Ma prima di dilungarmi sul nuovo argomento, è necessario e quasi inevitabile che trattenga le redini per riprendere il discorso a proposito dei miracoli sopra esposti.

Infatti dalla nostra città di Angers erano appena partiti alcuni per recarsi a pregare in quella illustra e ricca città che un tempo si chiamava Anicium, ora Poggio di Santa Maria4. Lì i nostri concittadini incontrarono un eretico bestemmiatore che diceva di abitare in un paese vicino a Conques. Quando seppe che i nostri venivano da Angers, disse: Conoscete un certo Bernardo, che quest’anno è tornato da Conques, ah!, dove ha lasciato scritte tantissime menzogne su Santa Fede? Ma com’è possibile credere che degli occhi strappati possano essere ricostituiti, o degli animali resuscitati? Io so che Santa Fede ha compiuto molti miracoli diversi e insoliti, come fanno tanti altri santi. Ma in che modo, per qual motivo Dio avrebbe resuscitato degli animali? Nessuno che sia sano di mente può farsene una ragione.

Che uomo cieco e insensato! Che cuore di pietra deve avere quell’uomo, che ha trasformato in tenebra la sua luce interiore! Quell’infelice non ha saputo sciogliere nel battesimo l’uomo vecchio uscito dal ventre della madre, al contrario anche dopo la rinascita spirituale gli ha dato nuovo vigore. Costui se fosse vissuto ai tempi della passione del Signore, di sicuro con i Giudei avrebbe negato che Lazzaro sia stato resuscitato, o che l’orecchio sia stato riattaccato. Quest’uomo è veramente figlio del diavolo, nemico della verità, ministro dell’Anticristo. Non è di sicuro uomo di Dio, poiché non ascolta le parole di Dio; attraverso di lui il diavolo, invidioso dei buoni, si sforza sempre di insinuare il seme dell’errore, anche nel più piccolo tentativo di devozione. E non c’è da stupirsi se un uomo rozzo, privo di qualunque scienza, del tutto inesperto di ogni divina virtù, e quel che è peggio, spinto da perverso spirito di falsità nella sua mente perversa, incorra in un così grave errore, quando gli stessi Farisei e dottori della legge, che si vantavano di discendere dallo stesso santo sangue dei profeti, non riconobbero i segni e i miracoli del Cristo che a loro era stato promesso. Per quanto vedessero continuamente le manifestazioni della sua virtù, o le negavano totalmente, o con inutili sforzi tentavano di volgerle al contrario. Un siffatto omuncolo privo di senno può essere paragonato a quei perfidi miscredenti.

Il diavolo, che aveva tentato in tutti i modi di impedirmi di andare a Conques, non era riuscito a distogliermi dal mio proposito grazie all’intervento divino. Ma una volta riprese le forze, si mise in mezzo, in modo che non solo gli sprovveduti, ma io stesso, che mi ero fatto assertore insuperabile di queste verità, per l’abile arte della sua frode non potessi più fare una relazione dei restanti miracoli o che mi perdessi d’animo. Ma in questo dobbiamo ringraziare l’Autore della verità, che il diavolo non abbia trovato altri che un ignorante privo di ogni nozione del bene da destinare a questo compito di empietà. Ciò sembra l’effetto di una accorta disposizione del sommo Creatore, per rendere ancora più pronti i fautori della verità a cacciare la perversione eretica.

Come vorrei poter affrontare una così brava persona a Conques! Chiamo a testimone Dio, che è autore di ogni verità, di fronte al cui occhio nessuna falsità può restare nascosta: avrei ragione facilmente di costui, che più giustamente si potrebbe dire Fariseo che cristiano, se solo avessi un pubblico in buona fede. Il suo discorso sciocco, pieno d’ogni contorta malizia, anche se è la cosa più immonda e detestabile, mi spinge tuttavia, se lo Spirito Santo si degnerà di guidare il mio cuore di peccatore, ad illustrare cose che per un semplice cristiano sembra che manchino di ragione e di necessità, anzi, potrebbero apparire incredibili; spiegare cioè perché io non abbia raccontato la resurrezione di esseri umani, che hanno un valore molto più alto, mentre agli occhi del Creatore gli animali dovrebbero essere meno importanti. Ma è assai più necessaria e ragionevole la resurrezione di animali, che sono stati creati solo per l’uso umano, mentre gli uomini sono stati chiamati ad avere la vita eterna, essendo la vita presente null’altro che un esilio, un transito verso la futura; essi, dopo la morte, devono riposare nella speranza della resurrezione, né si devono affliggere i buoni, per costringerli a tornare vivi in questo tormentoso esilio della vita. Per questa speranza Davide, reso profeta dallo Spirito Santo, esclamò pieno di gioia, prevedendo il futuro: Per questo si è rallegrato il mio cuore ed ha esultato la mia lingua, anche la mia carne riposerà nella speranza.5

Del resto, possiamo avere maggior certezza della resurrezione degli uomini, se vediamo rinascere dalla morte gli animali, che agli uomini sono assai inferiori. Per questo, se i cadaveri umani a causa del deplorevole stato della religione non sono degni della resurrezione, come leggiamo fosse al tempo dei santi padri, non di meno ai tempi nostri la nostra fede nella resurrezione verrà rinnovata, così che l’autorità della Scrittura non venga disprezzata come favola. Anzi, se l’umana creatura vedrà che solo i vili animali vengono risollevati dalla morte, e non essa stessa, che è immagine di Dio, comprenderà quanto è decaduta dall’antica bontà, ma non del tutto esclusa dalla sollecitudine divina, se ad essa si mostra così miracolosamente la possibilità della resurrezione della carne. E se Dio avesse fatto un tale miracolo non per altro motivo se non quello di aiutare i pellegrini, privati dell’aiuto dei loro animali, certamente questo motivo si potrebbe accettare ragionevolmente e necessariamente come sufficiente.

Quindi non c’è nulla di irragionevole in ciò. E se l’ignorante di cui parlavamo prima fosse convinto di questa necessità e ragionevolezza, ma pure gli mancasse il sostegno dell’autorità, sappia che non raccontiamo fatti al tutto nuovi, ma che si possono trovare in libri cattolici. Così noi crediamo che un toro sia stato resuscitato dalle preghiere del beato Silvestro6. E se il nostro ignorante non sapeva per quale motivo Dio fece ciò, vada a scorrere le antiche pagine. E se questo grezzo non riconoscerà neanche questa verità, sappia di essere un animale a confronto dei sapienti, e del tutto indegno di disputare dei motivi dell’agire divino. E se vogliamo riferire un fatto più inaudito e stupefacente della resurrezione del bue, parlerò di un certo Berengario di Reims7, medico dalla mente perversa, che bestemmiando aveva paragonato San Martino di Tours ad un asino; e che per giustizia divina era stato lui stesso trasformato per un certo tempo in asino. Sulla sua tomba per nostro ammonimento sono scritti questi versi irridenti:

Gli uomini facciano un lamento funebre con versi d’asino

se uno stesso midollo può vivere un due forme.

Seguono altri versi, composti dal monaco Azolino, discepolo del sapientissimo Gerberto.

Ma di Berengario nulla si può dubitare del tutto, né affermare del tutto. Di ciò di cui ora si parla, per me non c’è nessuna ambiguità, ed è difficile non credere, perché l’ho appreso non da una scrittura falsa e apocrifa, ma con fede intemerata dalla bocca di mille testimoni oculari, e ci credo non meno che se l’avessi visto con i miei stessi occhi.

Ma forse qualcuno potrebbe dubitare di quest’autorità. E va bene; ma io non ho bisogno di altra autorità se non quella di Dio, che potrà stare bene al posto di quell’altra. E se noi non crediamo a nulla, se non a ciò che si può affermare con argomenti simili, vuol dire che cerchiamo di costringere l’onnipotenza del sommo Artefice entro i limiti della ragione umana. E Mosè non avrebbe creduto a Dio che gli prediceva che avrebbe diviso il mare, se avesse avuto bisogno del confronto con miracoli simili. Infatti fino a quel momento Dio non aveva mai diviso il mare. Invece Mosè credette che Dio avrebbe diviso il mare prima che ciò fosse fatto. E noi ora lo crediamo, anche se prima di allora nulla di simile era stato fatto. E che assurdità ci potrà essere, nel fatto che Dio, col diritto della sua volontà, per i meriti dei suoi santi fa qualcosa che non s’è mai visto prima, poiché è scritto: Il Signore fece tutto quello che voleva, in cielo, in terra in mare e in tutti gli abissi8.

Non si può dunque dubitare per nulla che colui che è onnipotente per mezzo di Santa Fede abbia restituito alla vita degli animali morti, per la salvezza delle anime e conforto della fede, dal momento che per la salvezza dei corpi e per il sostentamento delle necessità umane affidò quegli stessi animali a Noè nell’arca, perché non perissero nel cataclisma. Riguardo alla resurrezione dei muli, se non è sufficiente questo per controbattere alle obiezioni dei rivali, non sarebbe sufficiente neppure vedere coi propri occhi. Infatti per chi ha l’animo cieco anche la vista del corpo è abbrutita.

Riguardo coloro ai quali furono strappati gli occhi, io stesso li ho visti riformati nella loro fronte; e se qualcuno non crede a me, che sono cristiano, vada, e veda; loro stessi glielo attesteranno, un’intera provincia lo confermerà, e in quel luogo deporrà gli argomenti dell’incredulità. Io li ho visti, li ho invitati a pranzo, ho dato loro del denaro, e non c’è stato giorno che non mi abbiano confermato la verità di queste narrazioni. Di loro potrei ancora aggiungere moltissimi altri miracoli. Ed ogni volta che si lasciano trascinare da interessi mondani, subito sono trattenuti dalla volontà divina, o perché uno degli occhi si oscura, o perché una parte del corpo si debilita, e sono costretti a fermarsi. Ed anche Witberto, come ho detto prima, così soggetto alla libidine, ogni volta che commette atti impuri con la sua puttana, sente su di sé la severità della giustizia divina.

Ma crepi quel miscredente che per un giorno intero mi ha tenuto fermo, mentre volevo occuparmi d’altro, e mi ha allontanato dal filo della narrazione. Riportiamo i fili del discorso a quel punto da cui siamo stati distolti, e riprendiamo la narrazione odinata dei miracoli.

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1. Da questo capitolo inizia il testo scritto dopo il secondo viaggio di Bernardo a Conques. Torna al testo ↑

2. Nel Liber Bernardo solitamente usa il termine miracula per indicare i vari capitoli della sua narrazione; per indicare i fatti prodigiosi compiuti dalla Santa usa preferibilmente il termine virtutes, a sottolineare che, più dell’evento in sé, gli interessa mettere in risalto le qualità e i meriti della Martire che sono all’origine della sua azione taumatrgica. In questa traduzione ho solitamente usato i termini più comuni. Torna al testo ↑

3. Nel ms. Sélestat quella sezione in esametri è scritta normalmente, separando i versi. Torna al testo ↑

4. Le Puy-en-Velay, sede di un’antichissima chiesa dedicata a Santa Maria. Torna al testo ↑

5. Ps 16 (15), 9. Torna al testo ↑

6. Bernardo accenna solo di sfuggita a questo miracolo, che all’epoca era piuttosto noto.
Silvestro I, papa dal 314 al 335, secondo questa leggenda aveva partecipato ad una disputa con alcuni sapienti ebrei di fronte all’imperatore Costantino e all’imperatrice madre Elena. Uno questi sapienti, un certo Zambri, definito come magus, sosteneva che il Nome segreto del suo Dio era talmente pauroso e potente che faceva morire qualunque essere vivente lo sentisse. Per farne la prova, viene portato un taurus ferocissimus; Zambri gli si avvicina, e gli sussurra nell’orecchio quel nome; e il toro cade morto per terra. Allora Silvestro pronuncia nell’orecchio del toro il nome di Gesù Cristo, e immediatamente l’animale si rialza in piedi.
La storia, che è rappresentata in un affresco nella chiesa dei SS. Quattro Coronati a Roma, faceva parte di una complessa rielaborazione sulla figura di questo papa, con lo scopo di esaltare il rapporto fra l’imperatore Costantino e la chiesa romana.
Gli Actus Silvestri che riportano questa leggenda sono pubblicati in Sanctuarium seu vitae Sanctorum di Bonino Mombrizio, Parigi 1910; la leggenda del toro compare nel vol. II alle pagg. 526-528. Torna al testo ↑

7. Di questo personaggio, e dell’Azolino nominato subito dopo, non abbiamo notizie. Torna al testo ↑

8. Ps 135 (134), 6. Torna al testo ↑