Massaja
Lettere

Vol. 3

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Al cardinale Alessandro Barnabò
prefetto di Propaganda Fide – Roma

F. 589rEminenza R.ma

* Roma 23. Maggio 1864.

Come l’Em: V. R.ma mi diceva di dare ad summa capita un’elenco di tutti i quesiti e dubbi occorrenti al ministero dei missionarii e sacerdoti del mio Vicariato, io mi sono applicato a farlo, tanto più che le ottenute risposte sin qui sono state troppo speculative, ed insufficienti a tranquillizzare la mia conscienza, e quella dei sacerdoti che continuamente domandano. Io gli espongo tutti tali quali sono, e prima di ripartire per la Missione riceverò tutte le risposte dirette e categoriche che Ella potrà ottenermi dalle rispettive congregazioni; occorrendo poi qualche cosa, per la quale la risposta dovesse andare molto in lungo, prima di partire bramerei almeno una risposta verbale, la quale se non altro valga a salvare la mia conscienza nelle risoluzioni prattiche che si prenderanno. F. 589v I quesiti sono i seguenti che espongo con tutta brevità.

1. Supponendo un poligamo che voglia convertirsi, si domanda se si possa concedere al medesimo libera elezione fra le mogli tutte maritate colle stesse solennità, oppure sia obbligato a tenere la prima per lo più vecchia, e meno amata da lui.

2. Nel supposto negativo, e che il medesimo non sia abbastanza forte per fare il sullodato sacrifizio di tutte le mogli per tenere la prima, si domanda se questo sia un motivo sufficiente per negargli assolutamente il battesimo, da lui bramato sinceramente, anche nel caso che dalla sua conversione vi fosse fondata speranza della conversione di molti, perché per lo più i poligami sono tutti grandi, e /87/ persone che si convertono mai sole e contraddette con la loro coda tirano sempre dietro una quantità alla rovina.

3. Nel supposto ultimo per prendere una via di mezzo, si domanda se non potrebbe aver luogo la disciplina antica della Chiesa di ammettere cotali neofiti [f. 590r] neofiti nel numero dei catecumeni per dar tempo al uomo di riflettere, ed aspettare la sua anima almeno in punto di morte, quando cesseranno tutte le difficoltà.

4. Passando dalla poligamia attiva alla passiva, e supponendo il marito ostinato nella sua infedeltà, e senza speranza di futura conversione, e che una delle sue mogli desideri di essere Cristiana si domandano i seguenti rischiarimenti.

1. Se qualunque delle mogli del sullodato, la quale cerchi di essere battezzata, possa godere del privilegio conceduto dall’apostolo S. Paolo alla moglie fedele con un marito infedele che acconsente di pacificamente coabitare, oppure questo privileggio sia alla sola prima di tutte le mogli ad esclusione di tutte le altre.

2. Nel caso che non sia possibile la coabitazione pacifica col marito ostinato nella sua infedeltà si domanda, se il missionario debba pretendere la separazione a costo anche del pericolo della morte stessa, a costo di non essere battezzata.

F. 590v 3. Nel caso poi che il privilegio dell’Apostolo fosse solo per la prima ad esclusione di tutte le altre, e che qualcheduna di queste ultime voglia essere cristiana, si domanda se si possa battezzare, restando passiva nella sua posizione di moglie vera schiava in effetto, disposta ad arrendersi solo alla forza, ma di mai cercare, oppure invece debba esiggersi ad ogni costo la separazione anche con probabile pericolo di morte.

Manca il n. 4 5. Le figlie, tanto nei paesi Galla che nei paesi Sidama, sono date in matrimonio senza previo nessun consenso delle medesime, anzi molte volte anche dissenzienti; qualche volta sono date d’ordine del principe senza nessun consenso dei parenti medesimi, e ben soventi senza nessun riguardo alla religione professata dagli uni e dagli altri; si domandano perciò i seguenti schiarimenti.

1. Se la figlia, così data in matrimonio debba piuttosto essere disposta a morire, che acconsentire anche solo passivamente di essere data ad un marito mussulmano, oppure idolatra, oppure poligamo.

2. Nel supposto di essere data ad un marito ancora libero, ma che essa assolutamente non ama e non vuole, si domanda [f. 591r] se, nel supposto di essere costretta colla forza, il missionario possa esortare questa infelice a fare di necessità virtù, e a dare il suo consenso per legittimare e convalidare il matrimonio per forza contratto, oppure sia meglio lasciarla nello stato di concubinagio passivo aspettando la possibile sua libertà futura.

3. Nel medesimo caso, si domanda se a quest’infelice nel suo stato passivo di violenza continua possano amministrarsi i sacramenti, oppure debbano negarsi, come a chi trovasi in occasione di peccare.

4. Per il pericolo che la figlia sia poi data in matrimonio ad un mussulmano, oppure ad un pagano, o anche ad un semplice poligamo cristiano, si domanda se sia prudente dare il battesimo alle bambine /88/ prima che sia determinata la persona a cui saranno date in matrimonio, e ciò tanto nell’infanzia, quanto nella pubertà quando altronde hanno le disposizioni necessarie a riceverlo, oppure debba aspettarsi che il matrimonio sia fissato.

5. Ciò che si è detto di una figlia ancora nubile, tanto più si deve dire dei schiavi tanto maschi che femmine, per i quali si domanda, se per il pericolo che i medesimi vengano venduti a padroni mussulmani o pagani con pericolo della loro fede, possa darsi il battesimo nell’infanzia, od anche in età adulta, fino a tanto che esiste un simile pericolo, e che il padrone non giura il contrario.

F. 591v 6. La schiavitù sia nei paesi Galla che nei paesi Sidama è una cosa talmente incarnata coll’organizzazione attuale di quei paesi, che nello stato attuale sarebbe quasi impossibile poter restare colà con casa e famiglia senza questo elemento; colà non si trovano servi con paga, e l’uomo che abbia casa deve pensare a fare tutto, incomminciando dalla parte agricola, sino all’ultimo ramo d’industria e di attività qualunque, perché non vi esistono publici stabilimenti o mestieri che si prestino per le provviste di qualunque genere; più lo schiavo è un’elemento che forma uno dei rami principali del commercio di tutti quei paesi, e può darsi persino che in certo modo è moneta o peculio con cui si fanno i più grandi contratti; persino il Principe quando paga, o regala qualcheduno lo obbliga a ricevere schiavi, e certe leggi del paese che impongono pagamenti, soddisfazioni, o simili, il calcolo parte sempre dalla supposizione dei schiavi, perché si suole obligare di tanti schiavi, oppure di tante bestie bovine. Tutto ciò contemplato si cerca.

1. Se in vista di tutto ciò debba ancora condannarsi il commercio passivo dei schiavi, cioè la compra, oppure la ricevuta dei medesimi a qualsiasi titolo, sia di compra, sia di pagamento, sia ancora di regalo, e ciò unicamente per i bisogni della propria casa, senza nessuna intenzione di rivenderli.

2. Nella grave necessità in cui può trovarsi una famiglia cristiana, o per il vitto, oppure per pagare alcuni debiti, si domanda se potrebbe [f. 592r] potrebbe dare in pagamento, oppure vendere uno schiavo indotto dal solo oggetto indicato e non da sentimento d’interesse, o di lucro.

3. Un negoziante Cristiano, il quale non è solito a comprare e vendere schiavi, una qualche volta recatosi in paese lontano per certi suoi traffici col prodotto dei quali mantiene la sua famiglia, per qualche sbilancio del commercio nei generi che lui cercava di comprare, oppure indotto dalla prepotenza di alcuni monopolisti anche principi, i quali han preso quasi per forza gli oggetti materiali del suo peculio, e poi lo obbligano a ricevere schiavi in pagamento, si domanda, se durando la volontà di rivendere questi schiavi gli si possano amministrare i sacramenti, quando promettesse di star saldo sempre nel sistema di non negoziare, oppure gli si debbano negare ad ogni costo.

7. Lo schiavo in facia alle leggi dei paesi Galla e Sidama, è una vera merce riconosciuta da tutti che equivale perfettamente ad un /89/ capitale di roba qualunque, sopra cui si ha il vero diritto di padronanza rivendicabile in giudizio in caso di perdita, e sopra cui si esercitano legalmente tutti gli atti e contratti, come nelle altre merci, si desiderano perciò a questo riguardo i seguenti schiarimenti.

1. Se noi religiosi missionari possiamo senza colpa trovarci presenti a simili contratti, giudizii, o simili atti publici, occorrendo il caso di essere chiamati, o come [f. 592v] chiamati, o come pacificatori, o come testimonii, o per altro bisogno; lo stesso debba dirsi dei cristiani che frequentano i sacramenti, i quali più ancora dei missionari si trovano ben soventi in questi casi.

2. Occorrendo il caso che i schiavi di famiglie cristiane, o della missione stessa vengano a fuggire, si desidera sapere, se si possano cercare, e trovati costringere colla forza a rientrare in casa; o per lo meno tacere, quando l’ordine publico del paese, oppure gli amici facessero impegni giuridici e coattivi, anche senza previa nostra domanda; oppure al contrario siamo obbligati a restarcene in pace, senza cercargli, rifiutando anche i spontanei ajuti delle persone amiche.

3. Relativamente ai schiavi fuggiti, quando fossero cristiani, bramerebbe sapersi, in caso che si accostino ai sacramenti, se la loro fuga debba considerarsi di diritto, oppure debba pretendersi qualche compenso o restituzione in favore del loro padrone.

4. In caso negativo, si bramerebbe sapere ancora, se lo stesso debba giudicarsi dei schiavi piccoli, o nati, o solamente educati in casa, prima che i medesimi abbiano in qualche modo compensata la casa per il diritto paterno aquistato dalla medesima mantenendoli nella loro infanzia, cosa valutabile a prezzo.

5. Nel supposto che i schiavi debbano considerarsi naturalmente sui juris, ed una semplice usurpazione il diritto dei padroni qualunque [f. 593r] lunque siasi, resta a sapersi ancora se i medesimi possano in sicura conscienza considerarsi come padroni di tutti i prodotti delle fatiche ed industrie dei loro schiavi, con diritto di prendere tutto ciò che esiste nelle loro mani, tanto in vita che in morte; conseguentemente se debbano considerarsi i schiavi medesimi come ladri appropriandosi i medesimi prodotti e guadagni, e disponendone a loro talento ad insaputa o contro la volontà diretta dei loro padroni.

8. I schiavi in casa dei loro padroni; principalmente nei paesi Galla liberi, dove ciascheduno è come re in casa sua, mancando nel paese una legge coercitiva publica, e secondo il diritto publico del paese il padrone avendo il jus vitæ et necis sopra i proprii schiavi; riguardo ai padroni Cristiani si bramano le seguenti dilucidazioni.

1. Nel supposto che uno schiavo cattivo e molto rovinoso alla casa non si possa vendere quali debbano essere i mezzi coercitivi di simili individui? Per una parte non potendosi vendere lo schiavo, e per l’altra neanche mettere in libertà, in modo da esonerare la casa dalla risponsabilità che gli corre in facia al publico, perché non è riconosciuta la libertà dei schiavi, ed ogni eccesso commesso dal medesimo sarà sempre a carico della casa medesima, si bramerebbe /90/ sapere se il padrone possa servirsi del diritto che gli compete, in forza delle leggi in vigore nel paese, di condannare lo schiavo suddetto [f. 593v] alle carceri dure, o anche alla morte, se la gravità del caso lo domandasse.

2. Nel caso negativo, e che la casa del cristiano padrone dello schiavo mancasse di mezzi e di forza per custodire lo schiavo, affinché non commetta qualche grave crime da compromettere gravemente la casa risponsabile, si domanda, se almeno si potrebbe cedere questo schiavo in proprietà ad un ricco e potente a contenerlo con pericolo che poi venga venduto. La stessa missione si è trovata parecchie volte in questo caso, ed è stata costretta attaccarsi a questo ultimo ripiego, senza però cedere il dominio con un dono formale, ha dovuto per forza riconoscere l’appropriamento fatto da un potente di uno schiavo fortunatamente fuggito, a cui è stata rifiutata la ricezione per simili timori gravissimi.

3. Alcuni dei schiavi che fuggono potrebbe essere che fuggano unicamente per una passione momentanea o di collera, oppure altra passione simile, senza alcuna idea di lasciare la fede cristiana da loro professata, si bramerebbe sapere, se il solo titolo di paternità aquistata sopra simili individui non sia sufficiente per obbligare i medesimi a ritornare alla casa del suo padrone Cristiano, affinchè non resti esposta la loro fede in pericolo, nel caso che venissero poi venduti agli infedeli, nel modo stesso che si potrebbe obbligare colla forza lo stesso figlio di casa fuggiasco, anche per altri titoli solamente temporali; ciò si domanda, perché un simile atto poco compreso potrebbe in alcuni [f. 594r] essere di scandalo, e considerato come un’atto di padronanza sullo schiavo medesimo.

9. Secondo l’uso del paese, lo schiavo ha bensì delle concubine, ma rarissimamente ha una moglie sposata con qualche formalità che possa chiamarsi matrimonio, perché dipendendo in tutto la loro esistenza dal padrone che potrebbe vendergli da un giorno all’altro, non si suppongono fra di loro vincoli perpetui di società matrimoniale, tutto essendo precario; a questo riguardo si cerca perciò

1. Occorrendo che due schiavi che convivono in simile concubinagio passino al dominio di un padrone cristiano, resta a vedere, se si possa in conscienza tollerare simile concubinaggio, essendo ancora essi infedeli, oppure sia obbligato il padrone a separargli fino a tanto che siano fatti cristiani, e legittimamente maritati.

2. Un padrone Cristiano che abbia molti di simili schiavi così viventi in concubinagio vero, benché chiamato col nome di matrimonio, e che detto padrone volendo regolarizzare simili matrimonii a misura che i detti schiavi si trovano disposti a ricevere il battesimo, e maritarsi legittimamente, si bramerebbe sapere, se detto padrone nella nuova organizzazione di matrimonio cristiano, fra i molti dei due sessi possa sciegliere quelli che presentano maggior spirito cristiano, e maggiori speranze di mantenere l’unità ed indissolubilità matrimoniale, supposto sempre che i nuovi contraenti simpatizzino fra di loro, senza aver riguardo [f. 594v] riguardo agli antichi legami di matrimonio, o concubinagio che si voglia dire; possa quindi procedere /91/ in sicura conscienza a separarli colla forza; ben inteso che fra gli loro risulti nessuna disposizione di maritarsi reciprocamente con matrimonio cristiano.

3. In caso negativo, si bramerebbe sapere, se ciò non si potrebbe fare nel caso che una delle parti avesse buone disposizioni per essere cristiana, e per maritarsi cristianamente, e ciò unicamente per non fare una certa violenza ed apparente ingiustizia alla parte renitente che non si cura di essere cristiana, e per timore di dicerie che potrebbero aver luogo fra coloro che non sono ancora bastantemente istruiti.

4. Siano schiavi, o siano anche liberi i convertiti al cristianesimo, e maritati a uso del paese con matrimonio dissolubile, per lo meno relativamente al marito, si bramerebbe sapere ancora se sia più prudenziale e sicuro sposarli subito nel giorno del loro battesimo, oppure se si potrebbe sicuramente lasciargli nel loro statu quo, anche dopo il battesimo, per assicurarsi meglio che abbiano compreso in tutto il senso la massima evangelica sul matrimonio rapporto alla sua indissolubilità, almeno per qualche tempo.

F. 595r 10. La maggior parte dei quesiti fatti sopra il matrimonio, come dipendono dal supporre o non supporre valido il matrimonio contratto tra gli infedeli, tanto liberi che schiavi, se il matrimonio naturale per essere valido esclude le condizioni di solubilità poste nel contratto, o esplicite, o implicite e dall’uso del paese, allora restano sciolte la maggior parte dei quesiti suddetti, e bisogna convenire che nessun matrimonio è naturalmente valido fra quegli infedeli tanto liberi che schiavi, perché tutti sono dissolubili, anche quelli fatti colle maggiori sollennità conosciute in paese, almeno per parte del marito; se poi per matrimonio naturale s’intende solo la coabitazione pacifica di qualche tempo tra i due contraenti o coabitanti, allora non solo dovrebbe rispettarsi il matrimonio dei liberi, ma anche dei schiavi medesimi, perché sempre si suppone che abbiano coabitato qualche anno in amore reciproco senza nessuna idea di separazione. Ciò che abbiamo detto delle condizioni di solubilità, il medesimo si dica dell’unità matrimoniale: se il matrimonio naturale affinché sia valido esigge essenzialmente che sia un contratto escludente qualunque condizione o espressa o tacita di bigamia, anche per questa ragione bisognerebbe dire che fra quei gentili, tanto liberi che schiavi non vi esista matrimonio naturale valido, perché queste condizioni sempre vi sono, almeno per la parte del marito, e queste almeno tacite, non essendovi colà persona, la quale non tenda a prendere una seconda moglie [f. 595v] nel caso di poterlo fare, epperciò chiaro che dovrebbe dubitarsi del medesimo. Come però io non sarei abbastanza al caso di decidere questa questione, si bramerebbe sapere, se, attese queste due circostanze possa supporsi fra i Galla un matrimonio naturale valido da servire di base per la soluzione di tutte le questioni fin qui esposte.

11. Avvi fra i Galla il dovere della vendetta, come diritto sanzionato dalle leggi del paese di vendicare il sangue stato sparzo nella propria casta, dimodoché quando è stato ucciso o ferito uno di una

/92/ casta, tutti gli individui della medesima devono giurare un’odio mortale a qualunque siasi individuo della casta nemica, coi quali non possono trovarsi di fronte senza tentarsi reciprocamente la vita, a costo di perdere i diritti di società colla loro casta e divenirne loro stessi nemici. Cessa questo diritto di vendetta, quando coll’intervenzione dei comizii di varii capi di caste è stato fatto il giudizio, ordinata la soddisfazione pecuniaria di uso, e fatta quindi la pace – Se non esistesse questo diritto alla vendetta, mai si procederebbe all’aggiustamento e giudizio, pare perciò che detta vendetta abbia solo per scopo di ottenere la soddisfazione pecuniaria di uso, e che si debba considerare sotto l’aspetto solamente di un diritto reale; perché essendo quei paesi republiche, nelle quali i diritti e proprietà sono sostenute non da leggi generali del corpo della società, ma dalla forza privata, e da certe abitudini convenzionali delle caste e degli individui della medesima, bisognerebbe confessare essere le medesime necessarie per ordine publico, altrimenti, nessun [f. 596r] più sarebbe sicuro in casa sua, e le proprietà sarebbero attaccate ogni momento; bramerebbe sapersi perciò

1. Se un tale diritto alla vendetta non possa chiamarsi vera guerra, tra le due caste, oppure un semplice odio privato.

2. Nel supposto che fosse una semplice guerra di diritto tra due pretendenti non dovrebbe considerarsi come un’odio personale, epperciò si bramerebbe sapere se simili persone debbano essere fuori del caso contemplato dal vangelo riguardo all’odio, ed il cristiano possa in sicura conscienza osservare il sullodato contegno coi suoi nemici, come suole accadere nei casi di guerra tra due paesi, epperciò in tale stato possano amministrarsi i Sacramenti.

3. Nel supposto poi che simile contegno debba considerarsi come contenente un’odio personale proibito dal Vangelo si bramerebbe sapere, se una semplice protesta di un penitente, il quale assicura di non avere nel cuore nessun astio contro nessun individuo della casta nemica disposto, e bramoso di potergli esternare tutti i segnali di amicizia, subito che saranno composte le cose di diritto, e che per altra parte prometta di non cercare il caso di rissa con nessuno dei nemici suddetti, ma di schivarli per non trovarsi nel cimento o di doversi battere, oppure d’inimicarsi la sua casta rifiutando di battersi, possa il confessore assolverlo, ed accordargli la Santa comunione. Lo scrivente sarebbe [f. 596v] di parere che il caso suddetto non debba considerarsi come odio personale, perché dal momento che segue la pace, le due parti si incontrano senza veruna ripugnanza, prova, essere una semplice legalità o formalità; diverso sarebbe il caso delle persone più prossime parenti dell’ucciso, le quali per lo più sogliono forse mantenere qualche risentimento e rancore nel cuore.

12. Kafa è un paese di nome Cristiano, ma di fatti gentile; si dice Cristiano, perché ha cinque o sei Chiese, cioè due di S. Giorgio, tre di S. Michele, ed una di S. Gabriele. Il culto di queste Chiese consiste nel concorrervi il popolo nei giorni delle loro feste a portare una piccola candeletta con un granello di incenzo e qualche bestia /93/ da sacrificarsi, o scannarsi che si voglia dire in vicinanza della Chiesa. Le candele coll’incenzo sono ricevute dal prete alla porta della Chiesa, e quindi accese le candele avanti al Sancta Sanctorum, nel qual tempo il prete incenza per gyrum la Chiesa ed il popolo, dicendo ad alta voce prete e popolo insieme Esciò maarena Cristos, che vuol dire D.[omi]ne Christe miserere nobis, da loro però non inteso, perché preghiera venuta dall’Abissinia; fatto ciò il Prete sorte fuori, e sulla porta della Chiesa gli vengono presentate tutte le bestie che devono essere scannate, e lui deve riceverle toccando almeno la corda delle medesime colla sua mano; fatto ciò ciascheduno si reca al luogo destinato, e si scannano colà tutte quelle bestie da uno che si dice diacono, per lo più un servo del prete, [f. 597r] che deve essere celibe per quest’officio, e la carne si divide in parti eguali tra i Patroni, i fabricieri, ed i Preti in parti eguali; il grasso della bestia per lo più è abbruciato sul fuoco come specie d’olocausto, a cui però il prete non interviene; Questa è tutta la religione di Kafa, dove affatto non si parla ne di battesimo, ne di nessunissima altra funzione religiosa; Nel giorno dell’Epifania si benedice il fiume e tutto il mondo va a lavarsi nel medesimo, e quelli che vogliono essere cristiani vanno dal prete, il quale mette loro al collo un cordoncino bleu, e questo serve loro di battesimo. Quando incontrano il prete bramano di essere spruzzati di aqua benedetta; digiunano mercordì e Venerdì, la quaresima d’Avvento, e la quaresima di Pasqua, e quindeci giorni prima dell’Assunta: ecco tutta la religione dei Cristiani di Kafa; quando il cristiano muore, se è povero porta delle candelette, un poco di birra, ed un poco di pane con qualche sale al prete affinché facia le esequie nel terzo giorno, nel settimo, nel duodecimo, nel ventesimo, e nel trigesimo; se poi è ricco per queste esequie deve dare qualche vacca, od anche schiavo a giudizio dei vecchj, ed allora il prete deve recarsi a fare le esequie sul sepolcro del morto. In tutta questa storia si conosce che vi è del superstizioso, resta a vedersi perciò.

1. Se il Prete Cattolico, indotto da spirito di tolleranza, onde non distruggere questi elementi, quali col tempo potrebbero essere utili alla missione, possa [f. 597v] recarsi alle chiese nella sua qualità di Prete, funzionario publico conosciuto in paese come tale.

2. Se possa ricevere le candele, bruciare l’incenzo, come funzione religiosa fatta da gente che non è Cristiana, se non di nome, tanto più che anche in questo non mancano di avere molte superstizioni miste nelle loro idee tradizionali; supponendo che si possa, come azione per se stessa non cattiva.

3. Se possa ricevere le bestie destinate ai sacrifizii, benché si protesti contro i medesimi, ed il prete cattolico vada alle Chiese e non si rifiuti unicamente per non perdere la circostanza di quelle adunanze per potervi predicare contro queste superstizioni.

4. Se possa fare le esequie di uso a tutti questi Cristiani di nome non battezzati; ben inteso, esequie di uso nel paese, consistenti nell’accendere una candela, e leggere qualche orazione arbitraria, e ciò per poter godere quelle adunanze per potervi predicare.

/94/ 5. Nel supposto che non possa fare questa larva di esequie, si cerca se potrebbe almeno ricevere la quota delle esequie suddette, lasciando ogni funzione religiosa, per il pericolo che ricevendo ciò, con protesta anche di riceverlo solo come decima, pure avvi sempre ancora il pericolo che si credano come fatte le esequie, perché diffatti esiste realmente questo pericolo.

6. Se possa aspergere questi Cristiani coll’acqua benedetta secondo il loro uso, come funzione religiosa di uso antico, ed appartenente all’antico sistema, e ciò anche dopo che già è stato predicato in paese la vera fede [f. 598r] fede, ma con poco frutto, ed a quelli in specie che rifiutano il ministero cattolico, o almeno non si curano ne del battesimo, ne di altro, e ciò per il pericolo di confermargli nelle loro vane speranze antiche. Da principio si è usata qualche tolleranza sulla speranza che dopo ascoltando le istruzioni, dopo si sarebbe ottenuto qualche cosa, ma ad eccezzione di alcuni, la più parte continua a pretendere di continuare sempre nel sistema antico, e come a misura che incomincia a conoscersi in paese la verità, cessa la buona fede di prima, resta a vedersi, se dietro la pertinacia che incomincia manifestarsi, si possano ancora considerare come in buona fede. Si osservi che alcuni colà, non solo non sono disposti ad essere buoni cattolici, ma sperano di adescare gli stessi preti e corromperli, massime i grandi, e le persone di politica; videndum se si possa tollerare qualche cosa per guadagnare terreno nel popolo basso sempre più di buona fede e meglio disposto.

13. Si trova in Kafa una casta chiamata Mangiò, detta nei paesi Galla Wàta, ed in Abissinia Wojto: questa in Kafa è talmente immunda, che non può entrare nelle case delle persone onorate, e neanche nel cortile loro; non può mangiare ne bere coi vasi che mangiano le persone onorate, e neanche toccare i grani che sono maturi e battuti, perché tutto diventerebbe immondo; ancora non si è incominciato per nulla ad istruire detta casta, perché conversando con loro il missionario diventerebbe immondo, e più nessuno parlerebbe con lui, [f. 598v] e basterebbe che entrasse una volta in Chiesa per diventare questa immonda, circa questo si ricerca.

1. Se tutti questi inconvenienti e pericoli possano essere motivo sufficiente al missionario per non cercare d’istruire questa casta?

2. In caso di essere cercato per il ministero se possa rifiutarsi?

3. Si trova una famiglia di questa casta schiava della missione, ed al servizio della medesima, ma non sarebbe per avventura peccato, se il missionario in vista dei suddetti pericoli lasciasse d’istruire detta famiglia?

14. In tutta quella missione manca il vino per le messe, e presentemente neanche si trova più a comprare il zebibo: si è piantata la vite, e questa incommincia fare qualche grappolo, ma come in paese non ce n’è gli uccelli la finiscono ed è pochissimo quello che si può ottenere, non più di quattro o cinque bottiglie ogni anno; ho fatto il decreto con cui ho limitato ad un solo cucchiarino da caffè il vino per la sola consacrazione, e per la proporzione ho ordinato una sola goccia di aqua, servendosi per l’abluzione di vino leggiero fatto col /95/ zebibo vecchio e dubbioso; se ho fatto male, me lo faciano sapere, perché altrimenti la missione sarebbe costretta lasciare le messe anche qualche giorno di festa.

15. Nella benedizione del fonte battesimale, che dobbiamo fare ogni volta, per non consummare molto olio santo coll’infusione, ho ordinato [f. 599r] che si facia invece l’unzione della superficie dell’acqua col dito pollice; anche ciò se è male me lo faciano sapere.

16. Si usa nelle Chiese per incenso: una gomma di un’albero che dall’odore e dal colore sembra vero incenso; ma come io non conosco bene l’albero dell’incenso comune, potendo darsi che sia un’altro diverso da quello che si trova nei paesi Galla, anche qui se sono stato temerario, bramerei d’essere avvertito.

17. Circa il digiuno e le feste ho ordinato di osservare in tutto gli usi abissinesi ed il calendario di detta nazione; ben inteso per il solo esterno, non per la celebrazione dei misterj in chiesa e nel divino officio che si fa dai chierici; se ho fatto male mi castighino prima che io fugga.

18. Tengo ancora alcuni Preti, i quali sono autorizzati a dire la Messa della Madonna ut in die ad Nives, e recitano lo stesso breviario, perché non ancora ben addestrati a tutto il resto, ed anche perché mancano messali e breviarii; io gli ho autorizzati, epperciò mi colgano fino a tanto che sono qui se avvi del male.

19. In tutto il resto avverto che colà si segue in tutto e per tutto il rito Latino per le ragioni che ho scritto già a lungo, e che lascio scritte nelle mani di questo Procuratore Generale Fabiano da Scandiano; se avvi qualche cosa in contrario potranno leggere la diffesa che ho fatto sopra i riti; non bastando, sarebbe bene che c’intendiamo prima di partire.

F. 599v 20. Con ciò pongo fine a tutte queste mie questioni. Non so se mi riuscirà di rientrare nei paesi del Vicariato, perché le strade sono chiuse, e non so cosa mi riuscirà di ottenere per aprirle. Nel caso che occorra di partire; sappiano che io tengo coppia di tutti questi quesiti, quali farò conoscere ai missionarii; V. Eminenza R.ma calcoli come se io in prattica prendessi sempre la parte affirmativa e la più larga, e poi se vi è qualche cosa di contrario si spieghino, altrimenti io considererò come risposta data; scrivo così, non per mancanza di rispetto, ma perché so che Roma, massime sopra certi punti non può rispondere sempre come vuole, perché ciò che potrebbe essere semplicemente tollerato, rispondendo diventerebbe oracolo da cui si possono dedurre altre conseguenze più larghe. Io dunque non ricevendo istruzioni contrarie io resterò tranquillo e non cercherò più altro, disposto ad ubbidire agli ordini che mi daranno.

Fr: G. Massaja V.o di Cassia
V.o Ap.o dei Galla