Massaja
Lettere

Vol. 3

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A don Francesco Bourgade
rettore della Cappella reale di S. Luigi di Cartagine

P. 487Riverito e ben caro Signore,

* Versailles, 1 dicembre 1864

Ho ricevuto le vostre lettere sul Corano, ed è per me un dovere ben dolce il rendercene grazie. Il vostro dono mi tornava tanto più prezioso inquantochè da più di venti anni mi adoperavo nelle ricerche dei mezzi più appropriati a combattere e ad evangelizzare ad un tempo la setta musulmana, non meno nemica della società, che della civilizzazione cristiana, se adunque sino a questo momento ho serbato il silenzio, non era indifferenza per il vostro bel regalo, solamente io voleva leggere con attenzione i vostri scritti allo scopo di meglio apprezzarli, e di portare sul loro valore un giudizio con cognizione di causa, e di rendere all’autore il tributo di lode degno di un lavoro così importante.

Lascio adunque dall’un dei canti il sentimento della riconoscenza personale per non attenermi che al valore intrinseco degli scritti. Ed anzi tutto provo il bisogno di rallegrarmi con voi che avete, a mio avviso, raggiunto completamente lo scopo apostolico dell’opera vostra.

Vi toccava di strappare i lucidi panni che coprono schifose piaghe, poi di combattere gli errori grossolani che stanno racchiusi nel Corano, senza indisporre nello stesso tempo i seguaci. Senza dubbio che il compito era scabroso e si presentava irto delle più gravi difficoltà. Tutti coloro che esamineranno da vicino detta setta fanatica saranno forzati a convenirne. Orgoglioso di avere in suo potere un codice religioso, che da una parte, col mezzo di alcune pratiche puramente esteriori soddisfa al bisogno imperioso che è [p. 488] nell’uomo di una religione, mentre che dall’altra parte, consacra e santifica in qualche guisa la più triste e la più lamentevole corruzione del suo cuore. La setta musulmana vi attacca irrevocabilmente i suoi aderenti condannandoli ad una ignoranza che ha sovr’essi tutta la potenza di un sistema dommatico. Satolla ed abbruttita sotto un tal giogo ella diviene totalmente inacessibile a tutti i tentativi dell’apostolato, anche più santo e più coraggioso.

Ben pochi sono gli europei, anche tra i savi, che siano in grado di cogliere il vero carattere di detta setta misteriosa: ella vive troppo lontana dai nostri paesi, come dai nostri costumi per lasciarsi conoscere con qualche facilità.

Per tale motivo, caro sig. Abate, voi non dovete essere sorpreso se non incontrate nel pubblico europeo l’eco ed il favore che merita l’opera vostra, eccellente in se stessa, senza dubbio, ma che ha la disgrazia di trattare un soggetto estraneo alle nostre regioni. Ma posso predirvi per tempi non molto lontani più di simpatia per le vostre intraprese, e di entusiasmo per le vostre pubblicazioni nei paesi anche più lontani.

/172/ Nel 1849 io ritornava per la prima volta dall’Africa orientale ove il Corano ha fatto, e fa tuttora un male spaventevole, minacciando di chiudere per sempre ogni via al progresso cristiano e ad ogni commercio coll’Europa. Io desiderava trovare qualche opuscolo di propaganda contro l’islanismo, e trovandomi a Roma presso la congregazione appunto di Propaganda Fide, mi furono presentate le vostre Serate di Cartagine. L’opera usciva allora alla luce del giorno. Di ritorno in Africa mi sono affrettato a farlo tradurre in lingua ghez, ossia sacra, da uno dei miei Missionari, il P. Giusto da Urbino mio confratello nell’ordine dei Minori Cappuccini.

Questo libro conosciuto e diffuso sotto il nome di muphti fa molto bene. Sventuratamente la morte impediva il P. Giusto di tradurlo anche in lingua Amhara, ossia volgare. Conto di fare altrettanto degli altri due vostri libri che sono il compimento del primo, cioè la Chiave del Corano ed il Passaggio all’Evangelo, e ciò appena mi sarà dato di rivedere la Missione.

Permettetemi ancora, caro Signore, di rallegrarmi con voi di [p. 489] tutti i vostri lavori in lingua araba, sovratutto di avere avuto il felice pensiero di pubblicare le opere precitate in lingua araba. Lasciate solo che vi dica siccome l’arabo sembra prestarsi meno del turco allo scopo che volete raggiungere. È assai minore il numero di coloro che parlano l’arabo a fronte di quelli che parlano il turco, ed il fanatismo dei primi, come pure i loro pregiudizi inveterati li trattengono dalla lettura di tutt’altro libro che non sia il Corano. D’altronde la lingua turca è la lingua diplomatica dell’Oriente, e dell’impero ottomano. Se i vostri libri fossero tradotti in questa lingua, sarebbero divorati, sovratutto dalla classe dei turchi eretici, meno fanatici, e più abituati a leggere tutta sorta di scritti: questi si avvicinano più a noi che gli arabi i quali se ne stanno lontani sotto ogni rapporto.

Coraggio adunque, signor Abate, voi cercate la salute dei musulmani per mezzo dei libri, io per mezzo della parola. Son vissuto più di diciotto anni nell’alto piano dell’Africa orientale al sud dell’Abissinia, ove ho trovato più milioni di pagani, non ancora infetti dall’islamismo. Queste popolazioni intelligenti, di razza semitica, sono pure le sole in tutto il continente africano, che siano suscettibili d’educazione cristiana e della civilizzazione europea. Io le credo destinate ad un gran compito fra le altre nazioni dello stesso continente, sovratutto contro la setta di Maometto.

Dopo la lotta di dodici secoli sostenuta dall’Abissinia cristiana contro l’islamismo che cerchia dette popolazioni da ogni lato, si è riuscito ad impedirne la diffusione in tutti gli altipiani. Sarei lieto di potere contribuire con tutte le mie forze a formare una nazione cristiana, che unita all’Abissinia, potesse comporre un regno di dodici o quindici milioni d’abitanti, e sono sicuro che sarebbe in grado di portare un colpo mortale all’opera formidabile del falso profeta.

Situato nel centro dell’islamismo, ed in faccia alla Mecca, donde si propaga dapertutto il fanatismo e l’odio del nome cristiano, detto regno sarebbe ad un tempo d’un grandissimo aiuto all’avvenire della /173/ civilizzazione e del commercio dell’Europa in quelle contrade, verso le quali tutti gli sguardi sono rivolti dacché il taglio dell’Istmo di Suez dallo stato di speranza passò a quello di realtà.

P. 490 I nostri antenati per venire a capo di tale meravigliosa impresa avevano sperato sulle colonie degli Indiani. La cieca politica dell’ultimo secolo decorso venne a paralizzare in dette contrade la missione provvidenziale del cattolicismo, dovuta all’iniziativa della Spagna e del Portogallo.

Con favorire in una maniera più che imprudente l’islamismo, essa gli procacciò i mezzi per prevalere contro di noi, e se gli Indiani non diventano ben presto russi il partito musulmano tornerà a dare di che studiare all’Europa.

Ecco il perchè la nostra speranza per la civilizzazione di quei paesi è tutta nell’Africa orientale, ricca contrada, di un clima delizioso, abitata da popolazioni piene di intelligenza, e di un carattere suscettibile di educazione europea. Pienamente convinto che un grande avvenire le aspetta, mi sono dedicato intieramente a detta impresa, e se la Provvidenza non mi permetterà di vederla coronata da felice successo, avrò almeno, morendo, la consolazione di averla tentata alla gloria di Dio ed alla salute di quei popoli, che abbraccio nelle viscere della carità di Gesù Cristo.

Gradite, ecc.

† Guglielmo Massaia, Vescovo
Vic. Ap. dei Gallas