Massaja
Lettere

Vol. 3

/259/

399

Al cardinale Alessandro Barnabò
prefetto di Propaganda Fide – Roma

F. 771 rEminenza R.ma

Parigi 10. Luglio 1865.

Riflettendo meglio alla domanda da me fatta in due mie lettere precedenti, trovo che la medesima non è stata fatta secondo gli usi che non conosco; forse l’Em: V. R.ma vuole aspettare una mia rinunz[i]a formale al S. Padre, e fin là avrà giudicato meglio seppelire l’affare, e dar luogo all’esaltazione della mia testa riscaldata; in questo supposto io dovrei lodare la Sua calma tutta paterna, come diffatti la lodo, essendo veramente tale il solito ripiego che si deve prendere quando si ha da fare con una testa calda.

Per parte mia poi debbo dirLe che ho fatto tutto il possibile per calmarmi, ma sono obligato a confessare la mia debolezza, non mi è riuscito; ecco passato un mese dall’ultima mia, ma pure ogni volta più si riscalda la mia immaginazione ogni qualvolta penso a questo affare; non posso diggerire, come V. Em: senza interpellarmi, o almeno interpellare le persone che mi rappresentavano a Roma, abbia voluto cassare l’esame precedente fatto da persone state delegate ad hoc, e dare una smentita così solenne a me povero vecchio, ed a tutto l’Ordine mio, per assoggettare questo lavoro fatto con tutta l’economia ad un’esame così rigoroso; se Ella mi avesse fatto avvertire, io poteva ancora prendere il partito, o di non stamparlo più, oppure di lavorarlo un poco meglio, ed in tal caso vedendomi così rispettato, avrei forse acettato più facilmente qualche modificazione o consiglio dell’Em: V. R.ma, ma dopo una bastonata simile, quale moderazione doveva aspettarsi? Forse che io non conosco, come senza previo esame è stato stampato in Propaganda medesima [f. 771v] il catechismo del fù Monsignore Biancheri publicato contro la /260/ volontà dello stesso Vicario Apostolico? catechismo pieno di miserie, stato poi abbandonato da tutti e condannato alle fiamme? Perché dunque tanto rigore con me? Perché sono Superiore della missione, e Superiore che ho avuto tanto da tribolare? questo dispiacere mi è stato più sensibile che non le sette o otto prigionie sofferte. Bisogna ben dunque che ci fossero delle gravi ragioni per indurre V. Em: a prendere una misura così degradante per me e per gli esaminatori precedenti. Fatto questo, almeno avessero fatto giustizia ai sforzi di un povero missionario che ha inteso di far del bene, soddisfazione non negata in tutti i dicasteri umani e civili, ma niente di tutto questo, neanche una parola si è meritato il mio lavoro; bisogna ben dire che abbia avuto luogo una certa prevenzione.

Dietro queste, e tante altre ragioni che tralascio per brevità, e per non affliggerLa di più, a fronte della mia buona volontà di lavorare sino alla morte, vedendo che il mio impiego attuale non è più conciliabile colla pace del mio cuore, e che la mia posizione di Superiore mi espone al pericolo di collisione continua con coloro, che pure conosco dover rispettare, e voglio rispettare, io mi credo in diritto di domandare le mie dimissioni nella mia qualità di Vicario Apostolico della Missione Galla come diffatti la domando in virtù della presente.

Come poi potrebbe darsi che vi sia l’uso di domandarla direttamente al S. Padre, Le unisco qui l’umile supplica, che prego di presentare al medesimo, se tale sarà l’uso, con quelle raccomandazioni che Ella giudicherà a proposito di aggiungere. Come poi ho un voto semplice e privato che [f. 772r] mi lega alle missioni; se Sua Santità motu proprio mi dispenserà, accetto la dispensa, ed allora oserei pregare V. Em: medesima di aggiungere una parola alla S. S., ed è di dispensarmi da tutti i legami vescovili, e concedermi di passare il resto dei miei giorni nello stato di semplice religioso, come io era, col privilegio di ritirarmi, o nella mia Provincia, oppure in un’altra, dove possa avere un poco di tranquillità nella vita privata; in tal caso La prevengo, che io domando niente, e voglio niente, ma cederò persino le mie vesti, riservandomi di fare la consegna di ogni cosa, al primo cenno che la cosa sia finita. Nel caso poi che S. Santità non giudichi a proposito di dispensarmi dal voto, allora mi metterò alla disposizione di quel Superiore che mi vorranno dare.

Mi permetta ora l’Em: V. R.ma una piccola lagnanza per giustificazione del passo fatto; l’affare o storia attuale del catechismo è la quarta, in cui io mi trovo inceppato da cotesta S. C. in operazioni, alle quali nelle mie viste io dava tutta l’importanza. La prima è l’affare dei regolamenti da me fatti per i monaci indigeni: bisognoso di disciplinare questo clero indigeno, mi era riuscito d’insinuare nei medesimi lo spirito del monachismo, ho ottenuto un movimento che prometteva molto, ed era appunto quello che era necessario per stabilire il celibato e la disciplina nel clero indigeno; mando a Roma quei regolamenti, perché amo di far nulla senza farlo conoscere ai Superiori; Roma sta tre anni senza rispondermi, ma almeno avesse osservato un grave silenzio, ma tutto all’opposto, alcuni del clero /261/ indigeno abissinese venuto a Roma ha potuto conoscere e sentire che si rideva in Roma del mio operato, e l’eco del disprezzo arrivò sino ai paesi Galla a disanimarmi tutti nello spirito concepito. La seconda storia è quella del rito: mi era riuscito di eccitare negli allievi indigeni una vera passione di studiare il latino, in Roma si fa la questione del Rito etiopico senza neanche interpellarmi, e si decide, l’eco della decisione arriva ai paesi Galla per l’oracolo degli emoli abissinesi che si ridevano dei miei, ed ecco raffreddato l’impegno di studiare il latino. La terza storia è accaduta ultimamente. La missione [f. 772v] moriva di fame nell’interno, e da cotesta S. C. partiva una lettera a M.r Delegato d’Egitto con cui proibiva di spedire denari, senza dubbio, con buone intenzioni, ma senza esperienza, noi colà abbiamo mangiato le buone intenzioni di Propaganda. Iddio si servì di questo mezzo per determinarmi a venire in Europa a lottare... La quarta finalmente è quella del manoscritto, nel quale io aveva radunato un poco di tutto per soccorrere i bisogni più urgenti; questo è già stata la causa di un ritardo della mia partenza, cosa gravissima, e si vorrebbe che stia ancora un’anno a tradurre il Bellarmino; Eminenza! con tutte queste guerre, chi può andare più avanti? questa povera missione ha tribolato cinque anni prima d’incominciare; dopo si sono sollevati tutti i demonii dell’inferno, mussulmani, pagani, eretici, deboli missionarii, non vi mancava più che la S. Congregazione, colla quale ne posso ne debbo lottare, perché è ultimo tribunale che rappresenta Iddio; dunque mi dichiaro vinto dopo essere stato sempre vincitore, e mi ritiro; la mia ritirata è troppo necessaria per la pace mia, e diciamolo anche, per la pace di cotesta S. C., la quale è impossibile che possa aver pace con me, perché in alcune cose la penso diversamente; fino a tanto che si trattava di combattere cogli infedeli, spero d’averlo fatto fedelmente, e sarei disposto a farlo ancora, ma combattere con Roma, mai e poi mai; io non posso prostituire le mie persuasioni; ripeto che mi rimetto in materia di dogma, ma nel resto credo poterne sapere qualche cosa colla sperienza alla mano; mi ritiro per scrivere più pacatamente le mie osservazioni, quali in tempo più utile presenterò, non al publico, ma alla Santa Sede medesima per quel bene che Iddio vorrà; per ora tocca a me aver pazienza e darmi vinto.

Arriva in questo momento la lettera dell’ Em: V., alla quale dopo una seria meditazione risponderò; per ora chiudo la presente domandandoLe perdono del dispiacere che Le arreco immancabilmente, ella però avrà abbastanza di cuore per mettersi un momento nel mio sacco, ed immaginarsi il dispiacere che debbo provare anche io; Le bacio la mano e Le sono sempre

Divot.mo servo e figlio
Fr: G. Massaja V.o