Massaja
Lettere

Vol. 3

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Al cardinale Alessandro Barnabò
prefetto di Propaganda Fide – Roma

F. 794rEminenza R.ma

Parigi 23. Settembre 1865.

Ho letto e riletto con tutta l’attenzione possibile l’ultima Sua lettera, ed anche le precedenti; ho cercato di tranquillarmi e spogliarmi dell’amor proprio, per quanto mi è stato possibile, ed esaminare la cosa avanti il crocifisso, come Ella mi diceva. A tutto ciò si aggiunsero i Superiori dell’Ordine, i quali si accorsero di quanto passò tra me e cotesta S. C., e viddero con dispiacere la questione di cui è caso; e molti miei fratelli ed amici religiosi mi saltarono alle spalle, chi con rimproveri, chi coi più obliganti consigli riguardo alla medesima questione.

Obligato dunque a risponderLe, dovrei incominciare per umiliarmi un tantino relativamente allo stile, con cui ho scritto; ma Ella mi conosce che io non sono tanto facile a convertirmi ed a pervertirmi di nuovo. Ciò che posso dire, è che sarò più umile, se Iddio mi farà questa grazia. In quanto a tutto il resto bramo che Ella tenga per base una massima ogni qual volta dovrà fare qualche calcolo sopra di me: un comando dei Superiori per me è più forte di un cannone, mi farà star quieto, mi ammazzerà, e mi getterà nel fango e nella polvere; la ragione è, perché, quanto bramo di dire liberamente la verità anche ai Superiori, altrettanto poi mi è cara la convinzione e disposizione di morire mille volte per la fede e per l’ubbidienza alla Chiesa e di ciò Ella ne ha avuto prove sufficienti per il passato senza che mi trattenga in proteste. Bramo perciò che V. Em: R.ma sia persuasa nella sostanza delle mie disposizioni di ubbidire ogni qual volta fosse il caso assoluto e senza replica della volontà di chi comanda. Questa mia protesta deve essere sufficiente per togliere ogni idea di rivolta, e di infedeltà [f. 794v] alla Chiesa ed ai Superiori, non che a togliere lo scandalo delle persone mal informate, e che non possono conoscere né la rettitudine delle mie intenzioni, /279/ né il complesso delle ragioni che mi fanno parlare. Se ho detto qualche cosa, è perché sono persuaso di poterlo fare come Vescovo vecchio con qualche esperienza, a cui deve essere concessa la parola nel consesso dei Seniori; il quale non si deve supporre obligato come una donna velato capite ascoltare solo in silenzio. Finalmente poi, se ho parlato, l’ho fatto ai Superiori immediatamente, e posso dire anche inter me et ipsos solos; perché V. Em: R.ma sa che io da principio voleva neanche che queste mie lettere passassero alla cancellaria, dove tutto diventa documento, ed è conservato ad perpetuam rei memoriam. Circa i punti estranei alla mia questione, posso assicurarLa che ho avuto la più retta intenzione di dire la verità; se mi sono sbagliato, oppure se ho ecceduto nel modo di esprimermi ne domando perdono; ma poi occorrendo che non sia andato totalmente fuori del vero, tocca a Lei il pensarci, ed io conosco di non aver diritto d’andar più oltre, ma dovrò star quieto.

Per ciò poi che riguarda le dimissioni date, Ella deve persuadersi non essere stato un semplice movimento di collera quello che mi ha fatto agire, ma una vera persuasione di non poter più continuare nella mia qualità di Superiore della missione. V. Em: R.ma ha bell’esortarmi a riflettere; ma io conoscendo il mio naturale, la mia forse importuna franchezza nel parlare, ed i miei sistemi in opposizione a certi sistemi pratici di cotesta S. C., anche lasciando da parte le mie ragioni, posso essere certo che la mia dimissione in fondo non deve essere odiata né da Lei, né tanto meno dagli individui di cotesta S. C. medesima; in caso contrario debbo ammirare la loro generosità e pazienza verso di me, ma ciò non mi dispenserebbe dal dichiararmi affatto impotente a continuare nella carriera, e dal pregarLa di dar corso [f. 795r] alla domanda fatta per essere posto in libertà; in caso diverso potrebbe darsi che mi risolva di far poi io stesso la domanda diretta al S. Padre; cosa che avrei risolto di non più fare.

Vorrei pure portare qui le ragioni che mi obligano a parlare così, ma il timore di andare troppo avanti, secondo il mio solito mi trattiene dal dire tutto; prego solo V. Em: R.ma di riflettere ai seguenti punti:

1. Come sono venuto in Europa coll’intenzione di finire presto i miei affari e poi ritornare subito a dar mano all’aratro; e come sono già scorsi due anni dalla mia partenza, e non ho ancora nulla di fatto; le cose della missione Dio solo può sapere come anderanno, ed io passo qui il mio tempo in lavori e questioni inutili. Forse nella missione si penserà che io me la godo qui, e prenderanno scandalo dal mio ritardo. In vista di tutto ciò cotesta S. C. dovrebbe spingermi a ritornar presto; invece tutto all’opposto vorrebbe vedermi ricominciare da capo i miei lavori; posso assicurarLa che per tutto ciò provo un vero rimorso avanti Dio, e sono coperto di onta in faccia al pubblico.

2. Ho fatto del clero indigeno per i bisogni tutti speciali di quella missione, la quale assolutamente senza dei medesimi non potrebbe camminare. Fatti questi sentiva coram Beo il vero bisogno /280/ e dovere di preparare loro qualche materiale per l’istruzione loro; essi medesimi conobbero questo bisogno e mi tendono la mano pietosa; attendono con impazienza il mio ritorno sperando che io arriverò fornito del necessario; invece io debbo ritornare colle mani vuote. Pensi V. Em: R.ma con che coraggio; quindi pensi con qual coraggio potrò ancora proseguire a fare dei clero indigeno; anzi pensi se non debbo avere rimorso per quello che ho fatto, vedendolo condannato da cotesta S. C. a restarsene privo per un tempo illimitato dei materiali d’istruzione.

F. 795v 3. Benché dotato di mediocrissima abilità, mi credeva tuttavia abbastanza capace di poter[lo fare] al bisogno suddetto, almeno nelle urgenze attuali; nel caso io era nella persuasione di dovervi provedere al più presto anche sacrificando un tantino lo spirito di esattezza; invece oggi debbo conoscermi incapace a tutto questo; mille dubbj sopra il fatto ed insegnato sin qui, con un’avvenire avanti gli occhj di dieci o quindeci anni in questo stato di cose, e tutto ciò a preferenza di esporsi al pericolo di vedere qualche virgola voltata al rovescio.

4. Sono sempre stato nella persuasione fin qui che la Chiesa siasi astenuta dal prescrivere un catechismo universale a tutto il mondo per lasciare libertà ai Vescovi di farlo secondo il bisogno dei luoghi; che anzi tale sia il dovere di ciaschedun vescovo, massime fra gli eretici ed idolatri, dove si debbono supporre errori e pregiudizii madornali da combattere, e dove il ministero, secondo l’ordine dato [d]a Dio al Profeta, deve incominciare dal distruggere e dallo sradicare. Eppure sento oggi tutto l’opposto, e mi si inculca il Bellarmino fatto per un terreno già purgato, piano, ed ingrassato. Io citava la stampa del catechismo di Monsignor Biancheri come imperfetto, perché appunto lasciava in pace tutti gli errori e pregiudizii del paese, anzi il Scisma medesimo; invece V. Em: si lagna del medesimo, non so per cosa, forse per l’imperfezione di lingua con cui è scritto, giacché errori non contiene; quindi vorrebbe che io pure tacessi e lasciassi in pace il diavolo con tutto il suo codice. In un suo Post Scriptum accorda di servirsi dei materiali nelle spiegazioni. Chi istruisce in detaglio, sono gli indigeni; dove prenderanno questi detti materiali per servirsene, chiusi da V. Em: in uno scaffale di ferro? di grazia, senza qualche libro di guida, non sarebbe ancor più pericoloso lasciarli parlare di materie sì delicate?

F. 796r Se V. Em: R.ma rifletterà a tutte le cose suddette, mi giova sperare che si persuaderà, come io assolutamente non mi senta più il coraggio di tenere la risponsabilità della missione. Io lascio volentieri alla S. Sede il giudizio delle questioni che possono toccare il dottrinale cattolico, ma per tutto ciò che riguarda la parte pratica, la disciplina, ed il modo di guidare la missione voglio essere io a cavallo; perché se il re pretenderà di guidare l’armata restando nel suo palazzo, la battaglia anderà perduta, e starà di mezzo la conscienza e l’onore del generale: la questione è più grave di quello che si pensa; stando il sistema che mi lascia intravedere nelle lettere Sue ultime, assolutamente io non saprei più come cavarmela; un caos /281/ mi si presenta per tutto ciò che ho fatto, ed un altro caos ancor più oscuro sul modo di cavarmela in avvenire; per una parte io non mi sento più il coraggio di ritornarvi con un tono di giudice per decidere le frequentissime questioni che accadono; per l’altra il sistema del clero indigeno non può più reggersi come sono le cose attualmente; epperciò, ripeto, sta in tutto il suo vigore la domanda da me fatta al S. Padre.

Come poi V. Em: R.ma certamente ama il bene della missione, potrebbe darsi che al sentire queste mie ultime ragioni giudicasse di lasciare stampare il manoscritto colle correzioni opportune. Affinché la questione non si prolunghi più oltre per nuovi progetti insussistenti, anche in questo caso credo bene farLe presente due inconvenienti. Il primo è quello del tempo necessario per simile lavoro, il quale porterebbe molto lontana la decisione dei nostri affari; su di ciò però basti a me averlo fatto presente, disposto a lasciarmi anche guidare. Il secondo inconveniente molto più grave, è quello di stampare il manoscritto dopo tutte le questioni passate [f. 796v] con pericolo che si dica poi in avvenire che l’ho stampato contro la proibizione di cotesta S. Congregazione. Quindi molto più ho una certezza morale che tale opuscolo nella missione stessa non goda più tutta la riputazione necessaria per fare il bene che si desidera. Non solo l’opuscolo, ma l’autore stesso dovrà aspettarsi di vedersi rinfacciate tutte queste storie. Per la qual cosa non mi risolverei certamente più di stamparlo senza una lettera che mi metta al coperto da ogni cosa. V. Em: R.ma ha creduto una mia malignità e testardaggine l’aver detto subito da principio, che detto opuscolo non si sarebbe mai più stampato, ma io invece ho detto questo, perché ho preveduto ogni cosa dal momento che il manoscritto suddetto è stato consegnato al P. Perrone.

Quando V. Em: ha avuto dei motivi di dubitare del mio manoscritto e dello stesso giudizio fatto dagli esaminatori dell’Ordine, se mi avesse scritto una lettera confidenziale, oppure solamente che avesse fatta la confidenza al R.mo Fabiano, non sarebbe neanche stato il mio onore rifiutare l’esame di un’altro esaminatore, anzi dello stesso P. Perrone. Solamente io mi sarei riservato di mandarne una coppia più corretta, e colle correzioni fatte dagli esaminatori dell’Ordine. In tal caso il lavoro non avrebbe fatta tanta trista figura, e le osservazioni del P. Perrone certamente minori, io le avrei acettate, né si sarebbe tanto aggravata la cosa. Ora che è sortita una lettera di proibizione quasi formale di stamparlo con iscorno di tutti, sta di mezzo l’onore di tutti noi, del catechismo stesso, e della S. C. medesima, se retrocede; cosa che io stesso al Suo posto non lo farei tanto facilmente.

Per tutte queste ragioni io credo meglio, ed anche più decoroso per cotesta S. Congregazione che mi si concedano le dimissioni. A tutto questo, poi si aggiunge che io ho un carattere molto [f. 797r] forte e sciolto; dirò di più, manco del capitale necessario di virtù e di prudenza pratica per sapere combinare il dovere (troppo sacro in un Vescovo) di dire la verità quando si presenta il caso di opposta

/282/ convinzione, con il rispetto e maniere dovute. La mia permanenza di venti anni fra popoli di educazione primitiva ed elementare, mi ha reso troppo semplice ed estraneo a tutte le complicate convenienze dell’educazione europea. Dimodoché continuando io nella mia carica di Vicario Apostolico, obligato ad entrare coi Superiori in detagli d’amministrazione e di disciplina, per la quale io [ho] un certo presentimento di avere in mio favore una certa esperienza locale di più, sarò sempre esposto a simili collisioni, ed esposta la S. C. medesima a continue lagnanze. Per l’amor di Dio mi lascino dunque in santa pace libero da detto peso divenutomi insopportabile, e stiano certi che lascierò ogni questione, e darò anche la vita, se oc[cor]re, per gli interessi di cotesta S. Congregazione e del S. Padre.

Sono poi in attenzione che si dia qualche movimento per cercare un nuovo Prefetto. A questo riguardo, per non ripetere quello che ho scritto ultimamente, mi contento di ricordarglielo. Io aspetto questo per proporre alcuni piani conciliativi sulle cose da farsi nelle attuali circostanze di quella povera missione; del resto restando loro quieti io farò anche così, e chi ne sta di mezzo sarà l’opera di Dio.

È arrivato qui Monsignor Bell il nuovo V.o Ap.o dell’Abissinia; ho conosciuto questo prelato in Egitto, ma non ne aveva concepito di lui idea così favorevole, come l’ho concepita attualmente, dopo qualche conferenza che abbiamo fatto; mi parve di vedere in lui persino la fisionomia di Monsignor Dejacobis; le sue buone disposizioni, il suo fervore, il rispetto per il suo venerando defunto antecessore, tutto [f. 797v] tutto annunzia che Iddio pare avere in lui preparato un cuore tutto fatto per continuare l’operazione incominciata dal venerabile defunto Dejacobis – che peccato che l’Abissinia si trovi nelle più sfavorevoli circostanze!

Non aggiungo più altro a questa mia già abbastanza lunga lettera; Le bacio la S. porpora e con tutta la venerazione godo rinnovarmi.

D. Em: V. R.ma

sempre figlio in G. C.
Fr: G. Massaja V.o