Massaja
Lettere

Vol. 3

/328/

430

Al padre Domenico Gouttes da Castelnaudary OFMCap.
ministro provinciale di Francia – Roma

[F. 1r]Padre mio

Marsilia 7. Gennajo 1866.

Io sono persuaso nel più intimo del mio core e colpito nel tempo stesso d’averLe dato tanti disturbi. Più persuaso poi ancora che Ella debba realmente sentire una pena per i dispiaceri che reca a me. L’antica nostra amicizia e fratellanza momentaneamente turbata, ma non estinta, deve di necessità produrre questo. Il dispiacere reciproco però si cangierà in consolazione sincera, e maggiore ancora, quando saranno aggiustate le cose nel vero senso e ciascheduno di noi avrà appreso a rispettarsi reciprocamente. All’opposto gli inconvenienti amministrativi serviranno a perpetuare la discordia, ed a rovinare totalmente l’opera di Dio.

La Sua lettera che ho ricevuto l’altro jeri conteneva delle espressioni che non mi piacevano, [f. 1v] ma conteneva ancora delle formule, le quali potevano essere ben interpretate, motivo per cui ho voluto risponderLe in modo tutto pacifico e conciliativo. La Sua lettera del 2. Gennajo arrivatami jeri al contrario è piena di belle espressioni fatte per inviluppare il pretto piano antico immaginato dal P. Taurino e sostenuto col suo oracolo. Si parla in essa dello stabilimento in convento, e si parla della vendita dello stabile a questo effetto comprato, due cose che in nessun modo possono stare.

Riguardo allo stabilimento in Convento Ella mi dice di aver ottenuto il permesso di cedere al collegio la parte dell’infermeria, cosa facilissima ad ottenersi presso un tribunale lontano, esponendo le cose solamente dal lato di mezzogiorno e nascondendo il lato nord. Caro P. Provinciale, ha detto al P. Generale, che per il passato non ha potuto sussistere la stessa infermeria? che vi fu mai la pace tra l’infermeria ed il Convento? che vi erano continue lagnanze persino [f. 2r] in città per le offerte fatte all’infermeria ed assorbite dal Convento? che vi erano continue questioni a questo riguardo? ha detto al P. Generale che Ella ha intenzione di cedere al collegio un pezzetto di giardino minimo, il più malsano, ed in vista di tutti i palazzi? gli ha fatto osservare, come non potrebbe cederne di più senza pericolo di opposizione dalla parte dei religiosi? Ha fatto osservare al Padre Generale, come nel piano stesso del P. Taurino dovendosi fare un comitato in città per raccogliere limosine al sostentamento del collegio, questi avrà gli occhj aperti dove anderanno le limosine, e gli stessi amministratori del collegio saranno i primi a far lagnanze? Bisognerebbe che il P. Generale conoscesse tutto questo, ed altre difficoltà che già scrissi in altre mie lettere, per poter dire che abbia dato un permesso ragionato. Io non voglio scrivere al P. Generale, perché giammai potrei indurmi a farLe un’opposizione formale presso i Superiori dopo averle dato tante marche di /329/ stima e di affezione, ma se la facessi non sarei imbarazzato a far ritrattare la permissione data.

[F. 2v] P. Provinciale Carissimo, Ella ha abbastanza talento per comprendere tutte le difficoltà da me surriferite; non è che le ignori, ma unicamente un prorito di sostenere il pontiglio, Ella dopo aver finto di accordarmi qualche cosa, ritorna appunto al piano primo, ed al solenne giuoco fattomi nella Sua partenza per Roma. Come non può rispondermi un jota alle difficoltà che io facio, Ella prende la via di distruggere l’idea del collegio. Le Sue lettere battono sempre direttamente sull’impossibilità di fare il collegio, sulla difficoltà di far venire i giovani, e sul bisogno di ritardare, per aspettare che io sia lontano, e far poi come vuole; se Ella scrivesse solo a me, ma si incomincia [a] parlare qui in città e distruggere l’idea del collegio per puro spirito di opposizione. Dio bono! non è Ella che mi ha messo in campo? tutte le difficoltà che ora fa non sono state già esaminate prima? A preferenza di cedere nel puntiglio si perda il piano del collegio, così fa parlare lo spirito di passione. Chi ci impedisce di andare adagio, facendo in forma [f. 3r] quello che si fa? chi ci obliga a fare un gran stabilimento e non una piccola casa, purché si facia separata? Oggi possiamo incominciare, l’andarvi dentro, si farà a suo tempo, ma di quest’oggi si devono stabilire le basi, e senza di queste non anderemo d’accordo.

Dopo un’anno e mezzo di pazienza sempre aspettando che si venisse alla nomina di un Prefetto, persona che potesse convenire con me per aggiustare le cose dell’interno in favore della Provincia, Ella per un puntiglio di gelosia mi fece la nomina, e così tolse ogni speranza di poter aggiustare le cose come tante volte io aveva promesso: così Ella ha tradito la provincia, e tradito la missione; vuol obligarmi ad esporre a Propaganda le ragioni che ho per parlar così? Vuol obligarmi a far torto ad una persona rispettabile in tutto il resto, come è il Vice Prefetto? Non contento di questo vorrebbe ancora far andare a monte l’affare del collegio, l’unica operazione che presenti qualche riuscita attualmente; così inaugurerebbe bene la sua qualità di Prefetto per distruggere.

[F. 3v] Venendo ora a parlare di proposito dello stabile comprato per lo stabilimento, Ella dice bensì o faremo così, o faremo così, ma poi lascia travedere di volerlo vendere, e qui si parla più chiaramente di questo dai di Lei interpreti o consiglieri ad oggetto di disanimare tutti e farmi un’opposizione. Ebbene sappia che detto locale, o sarà collegio, oppure la Scrittura privata deve ritornare al fiduciario che l’ha ottenuta con questo patto, e così Ella, che parla tanto di economia per un’amministrazione che non le aspetta, vorrebbe daneggiare l’opera di Dio di cento mille franchi netti per sostenere il Suo pontiglio. Ho detto che deve ritornare nelle mani del fiduciario, perché così credo sia la buona morale, ben sapendo io le promesse che ho fatto prima di ottenerne la segnatura; se poi il Segnatario di sua volontà vorrà darlo, sarà una sua generosità, ma ciò non salverebbe me dal tradire un grave dovere di giustizia.

Finiamo ora questa lunga questione già abbastanza menata; Ella /330/ dice che spera di accordarsi con me venendo, [f. 4r] ed io tutto all’opposto La consiglierei a finirla prima di venire. Se Ella conviene con me di fare lo stabilimento fuori, mi ottenga l’ubbidienza da Propaganda per il P. Bonaventura, eppoi per tutto il resto stia certa che si accorderemo. Le ripeto ciò che Le scriveva nella mia ultima lettera, mi lasci fare, ed io darò alla Provincia più di quello che Ella crede. In caso contrario, Ella legga la mia lettera a S. Em. il Cardinale, la quale ancora deve trovarsi nelle mani del R.mo Fabiano, e dalla medesima conoscerà quai sono i miei diritti; quando Ella gli riconoscerà a titolo d’accordo sarò più generoso di quello che Ella crede.

Come poi io non voglio farLe un’opposizione restando qui in un suo convento con pericolo di far partito, è probabile che io mi risolva di lasciar Marsilia per recarmi a Nizza convento della mia Provincia; di là o che otterrò le mie dimissioni, oppure che ritornerò a Marsilia meglio inteso con Lei.

Finquì Ella ha avuto la mia amministrazione dei fondi che tengo qui in Europa, Ella saprà dove sono; potendo darsi di averne bisogno di una parte, abbia la bontà [f. 4v] di scrivermi in proposito, e dare le Sue istruzioni alla persona che gli tiene in deposito, affinché siano versabili, quando io crederò il caso. Ella ultimamente mi diceva che vi dovevano essere 30. mille franchi; di questi qualche milliajo di franchi è denaro raccolto da Lei prima della nostra riunione; Ella tenga conto a parte di questi; a questi io guarderò di aggiungere qualche altra somma per il caso che il Vice Prefetto voglia partire prima di me. Ella però non ignora che io come Vicario Apostolico tengo nell’interno otto Sacerdoti e qualche centinajo di persone da mantenere; non potrei perciò ciecamente lasciare tutto questo capitale a persone, le quali finora mi hanno dato nessun segnale di amore e di sollecitudine per tutti i medesimi. Nel caso che Roma acettasse le mie dimissioni, allora Roma mi dirà a chi è devoluto il pensiero di quei pupilli che si trovano colà; fin là sono certo che questo dovere riposa sopra le mie spalle, come riposa sopra le mie spalle il dovere di attaccarmi a tutti i mezzi possibili per ottenere la conversione dei popoli a me affidati.

Mi perdoni lo stile, ma meglio parlar chiaro, per essere poi amici alla lunga. L’abbracio nel Santo crocifisso. Le [Le] sono tutto

Suo Aff. mo

Fr: G. Massaja V.o Capp.no