Massaja
Lettere

Vol. 3

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Al cardinale Alessandro Barnabò
prefetto di Propaganda Fide – Roma

F. 823rEminenza R.ma

* Marsilia 27. Gennajo 1866.

Il R.mo Procuratore Fabiano mi mandò il famoso manoscritto col ritorno del M. R. P. Vice Prefetto Taurino. Ho letto attentamente le osservazioni o censure del consultore di cotesta S. C. in N.º di quarant’una. Di queste otto al più toccano direttamente il dottrinale; le altre sono quasi tutte difficoltà dipendenti dalla parola della lingua indigena mancante di espressione teologica, come sarebbe Pater fons divinitatis invece di principium divinitatis ma in lingua non vi è affatto questa voce principium, ne un’equivalente qualunque, perché la lingua è affatto estranea a tutti i ragionamenti metafisici, ed in prattica la voce più espressiva che ho potuto trovare è quella di fons, quale nel caso nostro non è totalmente estranea ai SS. Padri. Tale pure è il caso della maggior parte di tutte le osservazioni fattemi dal dotto consultore. Come questo testo latino non era per stamparsi, ma solo per mettere l’esaminatore al corrente dell’espressione usata, nella traduzione, invece di servirmi della parola teologica ho voluto scegliere quella che più era alla lettera col testo Galla; questo mi ha portato una quantità di correzioni di più.

Affinché si persuada poi che io nudamente voleva e pretendeva il giudizio, l’ho fatta esaminare ancora da molti altri, in specie dal M. R. P. Carlo Filippo da Pojrino Esprovinciale di Piemonte; questi in materia di dottrinale è stato perfettamente d’acordo col consultore, ma in tutto il resto mi è stato [f. 823v] molto più severo, e ne ha trovato oltre le 70. inesattezze della natura suindicata, quali però non ha esitato a passarle, quando fu da me istruito della povertà della lingua per esprimersi teologicamente, a passarle, dico, per il solo testo Galla. Io sono certo che lo stesso consultore, quando fosse stato da me instruito e prevenuto di questo, sarebbe stato più indulgente.

Qui V. Em. R.ma mi permetterà di richiamare momentaneamente la questione antica, non riaccenderla di nuovo, ma per spiegarla, e togliere lo scandalo di alcuni, i quali hanno creduto in me un’ostinazione, la quale non esiste. La mia questione è mai stata quella di rifiutare la censura della Chiesa, come nell’ultima Sua dell’11. Decembre pare volermi indicare con queste parole, = e decidere nella sua saviezza se possa permettersi la stampa di detto catechismo senza che sia antecedentemente corretto = Credo che il minutante che ha scritto questo, aveva dimenticato le mie lettere precedenti, nelle quali ho sempre protestato la mia disposizione completa di acettare tutte le correzioni, facendoLe osservare persino, come io stesso aveva provocato l’esame per assicurarmi del dottrinale. La mia questione era solo una lagnanza per avermi cangiato gli esaminatori, e ciò per tre ragioni; la prima, perché i nuovi esaminatori /340/ non erano abbastanza informati da me sulle difficoltà sopradette. La seconda, perché il manoscritto non era abbastanza esatto e presentabile a persone, le quali non sono obligate a sapere le mie strettezze di tempo, e le circostanze che mi indussero a fare un lavoro economico. La terza finalmente, perché prevedeva un’anno di ritardo, come è accaduto, e quindi la mancanza di tempo per ultimare il lavoro; se il consultore avesse capito le mie strettezze, non avrebbe certamente tenuto presso di se dieci mesi il manoscritto.

Debbo ora rispondere brevemente ad alcune espressioni che ho trovato nel preambolo delle osservazioni fatte dal Consultore [f. 824r] medesimo, il quale si esprime in questo modo = mihi valde imperfectus visus est tum quoad fundum, tum quoad formam. Siquidem quoad fundum plura sese offerunt emendanda ac reformanda; quoad formam non videtur apta methodus ac dispositio singularum partium ex quibus componitur =

Circa primum quoad fundum, vellem scire a doctissimo consultore an quaestio sit solum de observationibus in suo libello notatis, de quibus supra, vel quaestio sit de aliis materiis reformandis ab eo non notatis.

Circa secundum, nempe circa formam, fateor quidem non esse secundum formam ordinariam aliorum catechismorum, sed circa convenientiam eiusdem, sequentia doctori meo observanda submitto, videlicet.

1. Opusculum meum non est catechismus, sed epitome continens, ultra catechismum elementarem, etiam praecipuas quaestiones quas scire debent catechistae ut respondeant difficultatibus ordinariis, quia primum et unicum opusculum est in tali lingua pro instructione eorum; etenim inserui catalogum festorum et dierum jejunii, impedimenta matrimonii, et alia hujusmodi praeter morem, imo, etiam modum audiendi missam, quod certe in caeteris catechismis non invenitur.

2. Quod spectat ad ordinem materiarum, volui illis materialibus populis proponere formam explicationis praeceptorum Dei et Ecclesiae propter varias rationes: 1. Ne effugiat praeceptum divinum quod in pluribus materiis extra decalogum invenitur, uti certum est, quodque apud nos speciali semper dissertatione probari debet, ex quo oritur necessitas infiniti voluminis moralis nostrae parum commoda illis regionibus, saltem pro nunc. 2. Quia hic ordo optime se praestat dilatationi et restrictioni in practica instructione.

Ciò posto, oserei pregare l’Em. V. R.ma a voler comunicare questa mia al Consultore che ha esaminato il mio manoscritto per averne dal medesimo ulteriori schiarimenti per ogni caso che occorresse potermi occupare della stampa del medesimo; cosa, la quale dipenderà da cotesta S. C., la quale [f. 824v] presentemente e perfettamente informata delle circostanze e dei bisogni della missione, come pure delle domande da me fatte, ed alle disposizioni della quale io intendo rimettermi.

Del resto, Eminenza, io ho creduto che Ella assolutamente non volesse la stampa di questo opuscolo, e neanche mi passava più in /341/ mente che volesse mandarmelo colle osservazioni così benigne. Le instanze ripetute di tradurre il Bellarmino, senza mai lasciarmi travedere ciò che si faceva in Roma rapporto al manoscritto, fece che io non l’ho più guardato affatto, mi sono occupato della grammatica, e del Bellarmino, che tengo appena incominciato; nel corso di tutto quest’anno avrei potuto riformare il mio opuscolo, e dargli tutt’altro aspetto, quando solamente avessi impiegato qualche momento di sopravvanzo dagli altri lavori.

La ringrazio poi infinitamente della gran bontà con cui Ella ha voluto ancora pensare a me, mentre mi credeva trovarmi piuttosto agli antipodi del di Lei cuore e considerazione. Iddio contraccambi la di Lei generosità con delle consolazioni migliori di quelle che Le ho dato io col mio stile più barbaresco che altro. Mi giova però sempre sperare, che Ella non attribuirà la mia facilità di parlare a nessuna cattiva disposizione del cuore, poiché a quest’ora deve conoscermi qual sono, mezzo barbaro, è vero, ma sempre disposto a morire mille volte per quella ubbidienza che unica mi tiene nella durissima, ma nel tempo stesso dolcissima in Cristo, posizione di Suo Servo fedele

Fr: G. Massaja V.o missionario