Massaja
Lettere

Vol. 3

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Al cavaliere Antonio Thomson d’Abbadie
esploratore dell’Etiopia – Parigi

F. 109rMonsieur D’Abbadie

Alessandria 7. Maggio 1866.

Ho ricevuto la Sua lettera ultima del 26. Aprile, e mi dichiaro colpevole di tutti i rimproveri indiretti che Ella mi fa, ma se la confessione sincera del peccato ha qualche merito per il perdono, io confesso ora candidamente di essermi servito di certi giri collo scopo quasi diretto d’ingannarla; la ragione era per schivare una separazione troppo secca, la quale mi sarebbe stata troppo dolorosa. Come vede il troppo attaccamento alla Sua persona ed alla persona della sua compagnia Mad.ma d’Abbadie è stata la causa che ho fatto qualche mistero sulla mia partenza. Ora siamo separati, ma di corpo solamente, l’unione dello spirito è completa e si perfezionerà quando ci riuscirà di gettare nel fosso il peso insopportabile della carne per volare a Dio: stiano alla presenza di Dio e saremo sempre insieme.

In quanto alla correzione dei stampati Ella facia come Iddio l’inspira è una gran [f. 109v] carità che Ella fa a me ed alla missione quella di assistere questo mio lavoro, perché altrimenti sarei stato obligato a perdere ancora un’anno lontano dai lavori del mio apostolato, e dai miei cari Galla.

Sono arrivato in Alessandria felicemente il 25. Aprile, giorno di S. Marco (che bella coincidenza) mai ho fatto un viaggio di mare così tranquillo; il 26. Ella pensava a me e mi scriveva, ed io pensava a Lei, forse nell’ora medesima, ed ho parlato molto di Lei. La mattina circa le dieci, cioè circa le otto e mezza di Parigi io mi trovava con M.r d’Lesseps parlando del mare rosso, dell’Abissinia, e dei Paesi Galla, materia inseparabile dal nome di d’Abbadie. Mentre mi trovava col Signor d’Lesseps venne il Signor Frassino di Marsilia cognato del Signor Basin, persone che hanno grandi interessi sull’istmo. M.r d’Lesseps volle impegnarmi a fare un giro col suddetto per vedere i lavori dell’istmo, e siamo partiti per porto Saïd con intenzione di percorrere tutto il canale sino a Suez.

Come questi lavori appoggiano molto l’avvenire delle mie speranze sul mare rosso ed alto [f. 110r] piano etiopico ho sempre sentito un gran bisogno di vedergli, onde sciogliere da me stesso ed a modo mio l’enigma di questa colossale operazione, della quale se /365/ ne parla da un polo all’altro del mondo attuale, e di cui se ne parlerà nei secoli avvenire ancor di più. Obligato a partire domani mattina per Gerusalemme, ho troppo poco tempo per trattenermi in specialità, avendo oggi ancora molte altre lettere da fare e preparare il mio viaggio; Le dirò perciò solamente qualche mia idea generica, affinché Ella nelle conversazioni abbia di che rispondere ai Suoi amici di Parigi.

I lavori dell’Istmo sono molto più avvanzati di quanto io credeva e credono molti dei nostri europei ancora attualmente. Secondo il mio debole giudizio questi lavori sono talmente avvanzati, che una sola catastrofe politica potrà sospenderne per qualche tempo il compimento, e sospesi sottentreranno altre nazioni a completargli rubando così la corona immortale dovuta alla Francia, non che i prodotti per ogni titolo dovuti alla compagnia. Lasciando da una parte i lavori già fatti in tutto il corso dell’istmo [f. 110v] da Porto Saïd sino a Suez, i quali sono colossali quasi dovunque, i soli preparativi esistenti, secondo il mio debole calcolo, possono equivalere alla metà dell’opera compita. Ella non può formarsi un’idea o calcolo approssimativo della quantità sorprendente di macchine tutte colossali che si vedono sparse in tutto il corso di questo canale. Ciò è ancor poco, ma il più sorprendente sono le città, i paesi, e le stazioni tutte create di nuovo e necessariissime per trattenere una gran quantità di popolo lavoratore in deserti inabitabili. Se debbo dirLe il vero, questo fu quello che mi sorprese più di tutto, e qui appunto deve trovarsi l’inganno di alcuni, i quali hanno veduto meno progresso di quanto vi sia in realtà in quest’opera. Il solo Porto Saïd, come città che non conta ancora li 2. anni di età. fabbricata sopra quelle sabbie deserte, è qualche cosa di ammirabile; come porto fu costruito in una rada di sabbie flottanti, fra due anni al più sarà una maraviglia del mondo. Cosa debbo dire quindi di Cantara, di Ghirsi, di Ismaelia e di Suez? cosa debbo dire poi delle stazioni che non potrei tutte numerare [f. 111r] le quali in sostanza sono tutti villaggi più o meno grandi, e tutte nuovamente construite in un deserto dalla compagnia? Io credo di averLe detto abbastanza per provarLe la proposizione da me gettata sul principio di questa mia; del resto potrei aggiungerLe, che da Porto Saïd sino a Suez ho viaggiato trentadue ore sempre sopra il canale famoso, cioè, sul canale marittimo da Porto Saïd sino ad Ismaelia, e sopra quello di aqua dolce da Ismaelia a Suez. È vero che il canale marittimo non è ancora della profondità dovuta per il passaggio di legni o navi di marina in grande, e che non potrà esserlo ancora per qualche tempo, ma, secondo me, è molto che vi sia e che la gran questione sia solamente ridotta al lavoro materiale di approfondimento. È vero altresì che la metà del canale marittimo da Ismaelia sino a Suez è ancora in secco; giova però notare, che questa parte è la più facile e la meno spendiosa, poiché trovandosi da quella parte il terreno molto più basso, e nella maggior parte sotto il livello del mare, quando i tagli e le dighe saranno finiti, sarà finita l’operazione, perché /366/ [f. 110v] non vi resterà che lasciare libero il corso all’aqua per dar vita al gran colosso. D’altronde il solo canale di aqua dolce navigabile all’araba anche da questa parte, e già capace di servire per qualunque trasporto non è una gran cosa? Non è pure una gran cosa l’aver dato a tutta quella grande estensione di deserto una quantità d’aqua dolce sufficiente per l’irrigazione e per abbeverare tutta quella nuova colonia di quel deserto? Senza di questo lavoro colossale precedente sarebbero stati possibili tutti gli altri tentativi?

Caro Signor d’Abbadie, Le ripeto, che parlo di questo, perché mi interessa questa grand’opera, la quale è destinata dalla Providenza a dare un colpo di mano per la coltivazione dell’alto piano etiopico, al quale siamo entrambi consacrati; del resto lo confesso che non sarebbe alla portata di un vescovo e vecchio missionario l’occuparsi di questo. Trovandosi Ella in Parigi si troverà quasi ogni giorno nel bisogno di parlare di questo, come accadde a me, e credo troppo essenziale che ne abbia un’idea giusta, affinché non accada di dire ciò che non è, ingannato [f. 112r] da false relazioni, con grave danno dell’onore francese, e dell’interesse della politica cristiana ed europea in quelle parti. Secondo me, chiunque scrive o parla in modo da scoraggiare i cuori generosi in questa impresa, è un vero nemico dell’onore francese, e della stessa compagnia dell’Istmo, perché potrebbe causare un deficit di assistenza e di fondi vicino al suo compimento con grave danno dell’onore francese e degli azionarli della compagnia stessa.

Avrei ancora alcune altre osservazioni di altro genere fatte nel corso di questa visita dell’istmo, ma oggi non ho tempo, spero poterle fare in altra mia lettera. Parto per Gerusalemme, invitato dal Patriarca Valerga per la consacrazione di Monsignor Bracco in suo coadjutore. Io non resterò colà più di una settimana, e spero trovarmi di ritorno qui in Alessandria per spedire la posta che partirà di qui per l’Europa col vapore del 19., dopo la quale partirò per il Cairo, e quindi per Suez; per sua norma non m’imbarcherò sul mare rosso prima di aver spedito la posta [f. 112v] dell’ultimo vapore di questo mese, avendo ancora molti lavori da finire prima di allontanarmi dall’Egitto, e penetrare nei luoghi di difficile comunicazione. Dimodoché Ella potrà calcolare ancora tutto questo mese, qualora abbia bisogno di scrivermi; prima d’imbarcarmi le scriverò ancora.

Avrà letto le notizie dell’Abissinia publicate sui giornali inglesi; la messa in libertà del console inglese e degli altri prigionieri pare un fatto certo; ne sia lodato Iddio, ma non saprei come abbiano potuto dire e missionari francesi, perché la Francia attualmente non aveva colà ne missionarii cattolici, ne [ne] missionarii politici. Se è tutto vero, potrò sperare anche io una sorte migliore, motivo per cui ho premura di presto veder questo per chiamar subito missionarii, i quali sono impazienti di venire.

Tanti saluti a tutti gli amici, ma principalmente a Mad.me d’Abbadie, che vorrei chiamare mia madre se non temessi di offenderla, /367/ perché troppo vecchio, ma certamente madre dei miei Galla. L’abbracio nel S. crocifisso e benedicendola Le sono

Divot.mo Servo
Fr: G. Massaja V.o dei Galla