Massaja
Lettere

Vol. 3

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Al cavaliere Antonio Thomson d’Abbadie
esploratore dell’Etiopia – Parigi

F. 129rIll.mo Signor Cavaliere mio Amat.mo

Massawah 29. Ottobre 1866.

Ecco passati presto nove mesi dalla nostra separazione; lasciando la Francia aveva proposto di scriverLe ogni mese e farLe una specie di giornale; ma Ella sa troppo bene la condizione del viaggiatore e sopratutto del viaggiatore ecclesiastico, il quale è schiavo di tutti, e trova affari dapertutto, per compatirmi, se non ho fedelmente osservato il mio proponimento. Non solamente non ho potuto farLe un giornale, ma ciò che più mi rincresce, neanche ho potuto rispondere adeguatamente a tutte le Sue lettere.

Arrivato in Massawah sul fine di Giugno i due primi mesi di calore che Ella ben conosce mi hanno talmente indebolito, che ho creduto un momento vicina l’epoca di essere da Dio dispensato dal rispondere più a persone di questo mondo; fortunatamente ebbi l’ispirazione di stabilirmi in Umkullu, e qui ho potuto rimettermi [f. 129v] un tantino in forze per riprendere le mie occupazioni, ma sortirono bentosto mille impiccj da assorbire non solo tutto il mio tempo, ma ancora da restarne dissotto.

Dopo tre anni di separazione la corrispondenza coll’interno, come Ella può immaginarsi, sarebbe stato abbastanza per me; spedizioni di denari e di mezzi, dei quali i missionarii, privi da tre anni, si trovavano in necessità estrema; risposte a questioni fattemi, disposizioni da darsi, correzioni, esortazioni, e via dicendo, questo era quanto premeva di più; ora, grazie a Dio, ho come finito: ho spedito più di cinque corrieri, ho mandato circa mille cinquecento talleri per diverse vie, onde assicurare che arrivi loro al più presto qualche cosa; dimodoché per questa parte il mio cuore incomincia riposare.

Mentre stava sbrigando i suddetti affari mi sono occupato altresì a radunar giovani Galla, comprando schiavetti scielti [f. 130r] /401/ a misura che si potevano trovare; mi trovai quindi ben tosto circondato da una decina di giovinetti, epperciò nel bisogno di far loro da maestro e pedagogo; come io soglio sottomettere simili ragazzi selvaggj ad una cura straordinaria per fare nei medesimi una crisi e troncare tutte le abitudini antiche che si debbono supporre nei medesimi, questa operazione mi costò molta fatica, ma grazie a Dio, sono arrivato ora ad impadronirmi del loro cuore, fargli apprendere il catechismo, e potergli tutti battezzare con grande mia consolazione; rassicuro, caro Signor d’Abbadie, che ho trovato molto gusto nell’apostolato di questi angeletti; battezzandoli solennemente in Massawah mi sono ricordato di Lei, e ad uno nativo di Gengirò ho messo il nome di Antonio Virginio, perché ho fatto Lei Padrino e Madama madrina; Ella potrà conoscerlo poi in Marsilia.

Dopo tutto ciò, Ella sa ancora, come io qui sono come l’unico vecchio molto conosciuto non solo dai Cristiani abissinesi, ma dagli stessi mercanti e dai mussulmani medesimi; [f. 130v] la mia presenza perciò qui in Massawah mi tira una folla di persone e di affari estranei alla mia missione e qualche volta anche odiosi, motivo per cui sono impaziente di lasciare questa posizione.

Voglio sperare che il fin qui detto basterà per giustificare la mia negligenza nel rispondere, e che perciò Ella sarà abbastanza generosa per compatirmi.

In questo momento mi arriva colla Vittoria la Sua del 26. Agosto, epperciò mi affretto a rispondere per non moltiplicare all’infinito i miei debiti con Lei, con cui d’altronde già mi professo debitore di tanto, che mai potrò soddisfarLa in pieno.

La ringrazio delle notizie datemi sull’Europa odierna, per la quale io veggo con Lei un’avvenire difficile a calcolarsi; se io non fossi Vescovo, e se non fossi missionario con proposito di morire per i miei Galla e coi miei Galla, L’assicuro che vorrei [f. 131r] essere in Europa un’altro Pietro Eremita per predicare la crociata contro i mascalzoni, i quali hanno regnato sopra di noi. È vero che la fede non si propaga colle armi, ma se il principio del vim vi repellere è giusto, è giusto anche per i cattolici; altro è propagare la fede colle armi, altro e difenderla ingiustamente ed iniquamente invasa colle più orribili frodi di chi si dice cristiano ed anche cattolico per mettersi nell’ovile a sbranare. I mascalzoni fingendo progresso e tolleranza si sono impadroniti di tutti i governi, e col mezzo dei medesimi sono arrivati a bolversare l’ordine sociale in tutta l’Europa; col nome di giustizia, di tolleranza, e di eguaglianza hanno fatto regnare dovunque l’usurpazione, l’intolleranza, e la prepotenza; non contenti di questo con una fellonia inaudita vogliono coronare l’ultimo loro tradimento contro la patria prostituendo il trono dei papi, e di tanti re ed imperatori cattolici al trono dell’ [f. 131v] empio Federico ? penso intenda il Regno di Prussia, i cui sovrani sono stati quasi tutti, a partire da Federico II, massoni. All'epoca era sovrano Guglielmo I, anch’egli massone. empio Federico, che pretendono far regnare sopra tutta l’Europa cattolica in odio della Chiesa... Sarebbe tempo di finirla, e per finirla l’unico rimedio sarebbe una crociata... Il cattolicismo è ancora abbastanza forte per diffendersi e per disfarsi di tutta questa marmaglia; ciò che manca è lo slancio; un genio non mancherebbe per guidare /402/ l’operazione; l’unico elemento che rimane all’Europa meridionale e cattolica, per non dire alla Francia, ed a Napoleone stesso, se vuole salvarsi dal naufragio, è un movimento di crociata contro il Nord invasore... intelligenti pauca... Tali sono le mie vedute politiche, dettati dall’amore alla patria ed al cattolicismo. Del resto, come Vescovo, e come Cristiano, quando fosse questione solo di essere vittima di questo ne ho dato saggio bastante colle prigionie precedenti sofferte per la fede, e colla ultima mia partenza dall’Europa, disposto a rinvenire le medesime, dopo aver [f. 132r] rinunziato a tutti gli interessi che io poteva avere in Europa, come Ella ben sa. Basti ciò riguardo alla politica dei nostri paesi, che io veggo vicini ad una gran catastrofe...

Veniamo ora alla politica dell’alto piano etiopico; tutto vero ciò che si dice dai giornali sopra la situazione dei prigionieri europei in Abissinia; l’umiliazione nostra in questi paesi è arrivata all’ultimo grado; la cosa è arrivata a segno tale, che io trovandomi qualche volta in conversazione cogli abissinesi, arrossisco di più esaltare la civilizzazione ed il potere delle nazioni cristiane d’Europa; per una parte le empietà ed i scandali non solo dei nostri governi, ma dei nostri fratelli europei sono tali, che un missionario non può più lodare senza pericolo di scandalo la condotta dei nostri paesi e dei nostri cristiani; per altra parte poi, tutti i gran spauracchj fatti dai nostri governi all’Abissinia, e tutte le grandi idee concepite da questa a nostro riguardo hanno [f. 132v] finito con prostrarsi ai piedi di Teodoro per redimere prigionieri diplomatici (non missionarj) indegnamente e barbaramente trattenuti; si può cadere più in basso in facia ad una nazione salvagia? Riguardo all’esito delle trattative con Teodoro, come io non ne conosco il filo non posso pronunziare; solamente dirò, che difficilmente l’Inghilterra potrà riuscire con [f. 133r] semplici regali e parole; quando Teodoro avrà guadagnato cento minaciando, crederà di aver trovata la chiave per guadagnar mille... questa, secondo me, è la soluzione del problema in proposito.

Riguardo alla politica attuale dell’Abissinia dirò prima di tutto che Teodoro non possiede più tutto il paese che possedeva il Ras nei tempi da Lei conosciuti, e l’interno medesimo dei paesi suoi è pieno di rivoltosi. Da due e più anni Menelik figlio di Ajlù Malacot e piccolo figlio di Sella Selassie, fu Re dello Choa da Lei conosciuto, stato allevato da Teodoro dopo la conquista di quel regno, e da lui amato più che suo figlio stesso; questo Menelik se ne fuggì e regna attualmente nel paese dei suoi padri, ma più potente dei medesimi, perché tutti i Galla del Sud si sono legati con lui onde assicurarsi contro Teodoro; coll’ajuto di Menelik hanno regnato di nuovo [f. 133v] tutti i principi Galla dei Vollo, Horrò hajmano, Worro-kallo, Borrena, e simili stati disfatti più volte da Teodoro con cinque anni di campagne le sue più gloriose. Non parlo del Gogiam, dove Tedla Gualu regna quasi pacificamente da quasi dieci anni. Il Semmien, Waggarà, Wolkaït, ed alcuni altri paesi circonvicini sono posseduti da un certo Govesié, persona di nessuna dinastia antica, ma sortita dalla plebe. Incominciando dall’Asta sc. dal Lasta dall’Asta, cioè dalle sorgenti del /403/ Takasié sino ad Adoa, tutto quel paese è nelle mani di Waxum Govesié figlio di Ghebra Medin stato impiccato da Teodoro... Ecco quanto avvi di più notabile nella rivoluzione attuale delle cose abissinesi; è inutile che Le dica, come tutti i suddetti principi non sono ancora abbastanza stabiliti, perché dovunque esistono residui o frazioni di paesi che riconoscono ancora Teodoro, cose però minime [f. 134r]. piuttosto bande sostenute da certe montagne che Teodoro ancora possiede di qua e di là. Da ciò Ella argomenterà chiaro, come l’Abissinia presenti nessuna sicurezza a nessun viaggiatore, e come ha dovuto cadere nell’estremo della miseria, coll’aggiunta della locuste, che da quattro anni la mangia in tutto il Nord, e minaccia di mangiarla ancora, perché non se ne va, ma si perde in terra per ricomparire, come Ella ben saprà dalla storia naturale. La locuste ha penetrato sino al Beghemeder, ove appena si sapeva essere arrivata qualche volta; non ha passato il Nilo, ma colà la locuste dei soldati fa le sue veci in modo che tutto il mondo cerca di emigrare.

Venendo ora a quanto Ella mi scrive relativamente a Deftera Assegai ed alle medaglie di Axum, tanto l’altra Sua lettera, che la presente è stata comunicata a Monsignor Bel, [f. 134v] sotto gli ordini di cui dimora Deftera Assegai; Monsignor Bel ha ricevuto con piacere l’incombenza e mi promise di scriverLe egli stesso, in proposito. In proposito di Monsignor Bel debbo dirLe, che nel principio del suo ministero ha avuto delle grandi contrarietà e disgusti, quali non oso dirLe, perché amerei meglio che Ella le sentisse da lui stesso; oltre alla debolezza degli uomini si aggiunse ancora la fame che li spaventò; in meno di sei mesi ha già speso più di quattro mille talleri, cioè più della quota dell’anno, e ciò senza poter contentare tutti; nel Tigré il tallero è come un franco fra noi; Ella sa il prezzo antico; presentemente vale un ghervav e con questo si compra appena un piccolo ladan di grano, cioè un quarto di madiga; argomenti da ciò l’impiccio di monsignor Bel, il quale si trova con parecchie famiglie da mantenere. Parte per la fame [f. 135r]. parte per la guerra, Monsignor Bel è sempre ancora in Massawah, e non è ancora montato di Abissinia per farsi conoscere.

In quanto ai paesi Galla la fame ha penetrato, ma ha durato poco; colà la fame è stata portata dalla gran quantità di emigrati abissinesi, i quali hanno aumentato di molto la popolazione; del resto è raro che vi sia la fame colà. Ho ricevuto di là un corriere, dal quale ho avuto notizie abbastanza consolanti dalla missione. I poveri miei missionarii dopo la mia sortita hanno ricevuto più nulla e fecero della fame, mi consolò però nel sentire che persone grandi di Gudrù e di Lagamara diedero gran soccorsi nei loro bisogni, fra gli altri il figlio di Gama Moras in Gudrù e Nencio Semetter in Gemma-Tibbié. Da ciò argomento che l’affezione incomincia stabilirsi. I battesimi continuano colà lentamente secondo il carattere di quei popoli molto [? f. 135v] ma solidi. Sarà un gran trionfo colà quando la missione sarà stabilita in modo da nulla temere più; la totale conversione di quei popoli tarderà, ma non mancherà, argomentando umanamente. Io non farò più gran cosa colà, ma se posso voglio portarvi la /404/ mia carcassa e lasciarvi il mio cuore. Anche la missione di Kafa progredisce nel modo suddetto; il P. Hajlù Michele (suo abebaju) fra mille trambusti è vicino a portare una completa vittoria, se Dio proseguirà ad assisterlo; fa mirabilia. Uno dei Preti indigeni per nome Abba Joannes, di cui Le ho parlato, è già la terza volta che va dalle parti di Gabba e di Affilò, dove pare aprirsi un campo di speranze non mediocri. Dopo qualche tempo potrà arrivare colà un missionario europeo, e questi potrà dare all’accademia dei detagli interessanti, perché nessun europeo ha fatto colà le osservazioni ed ha trasmesso notizie [f. 136r] di sorta, essendo la situazione media tra Kafa e le ultime regioni del fiume bianco misurate e conosciute.

In Gudrù regna presentemente il figlio di Gama-Moras per nome Goxò, giovane, che nel 1853. è stato battezzato da noi, e possiam dire quasi educato, poiché stette in casa nostra un’anno e mezzo circa; presentemente questo giovane si è circondato di una decina di soldati fucilieri, come guardie del corpo, i quali sono tutti cristiani ferventi maritati legittimamente in Chiesa; questi non vanno alla guerra senza passare alla Chiesa e prendere la benedizione dal nostro prete. La Chiesa di Gudrù è sotto il nome di S. Michele, ed è già venerata anche da molti Gogiamesi, i quali mandano le loro oblazioni.

Le notizie di Ghera Le avrà dal Padre Leone, del quale avrà ricevuto lettere; il principe di Ghera benché mussulmano, lo ama molto, e debbo all’attaccamento di questo principe la stabilità [f. 136v]. permanenza di questo Padre in Ghera, altrimenti sarebbe già in viaggio per l’Europa, avendomi già fatto replicate istante, a fronte del gran bisogno che ho della sua persona colà, non solo per Ghera ma per Kafa; egli ha fatto qualche traduzione, la quale potrebbe essere in verità molto utile, ma ancora non possiede abbastanza la lingua per fare un lavoro completo; io stesso mi sono persuaso di questo dopo quindeci anni di seria meditazione sopra quelle lingue, in modo che nel publicare la grammatica mi sono trovato molte volte impicciato senza poter trovare una difficoltà sfuggitami coll’ajuto degli stessi ragazzi che aveva con me. Le dico ciò, affinchè Ella entri nelle mie viste e mi ajuti nelle Sue lettere.

Riguardo al giovane Raffaele ho scritto di condurlo qui; questo giovane stato ordinato nel 1855. Suddiacono ad istanza del P. Ajlù Michele; dopo qualche tempo fuggì dalla Missione, e restò [f. 137r] quattro o cinque anni fuori; poco prima della mia partenza si presentò pentito, temendo di lui non ho voluto introdurlo nella missione prima di provarlo, motivo per cui presi il partito di prenderlo con me, attesoché è un chierico in sacris per far l’ultimo tentativo: Da ciò potrà argomentare che la sua instabilità è una malattia antica; come essendo io in Francia dava segnali di stabilità ho voluto nascondere tutta questa storia per il suo onore; presentemente la manifesto a Lei benché ancora nascosta al M. R. P. Taurino medesimo. Venendo qui vedrò cosa potrò cavarne; i suoi costumi non sono cattivi; è superbo e di difficile convivenza, del resto ha mai tradito la fede cattolica, anche nel tempo della sua fuga.

/405/ Rapporto al giovane Stefano mi fa stupire come minacci di etisia; ciò che fa Iddio è tutto per il bene, del resto mi rincresce perché ciò potrebbe [f. 137v] in qualche modo contrariare il calcolo del nostro collegio di Marsilia; comunque sia, sarebbe una puerilità per parte nostra spaventarci da tali piccole contrarietà; le opere di Dio più grandi sono, maggiori sono le contrarietà che trovano nel loro sviluppo, suscitate dal demonio; l’uomo fermo non si arresta tanto facilmente all’approssimarsi di uno spettro nemico; spero che con tutto ciò Ella non si lascierà abbattere nell’opera incominciata. Rimango come il P. Taurino nulla mi dice relativamente al giovane Steffano; ciò non ostante scriverò di mandarlo, se i medici diranno di farlo.

Se V. S. Ill.ma e Carissima fosse qui e vedesse coi proprii occhj le difficoltà che provano queste due missioni etiopiche son certo che si spaventerebbe, ma pure io argomento tutto all’opposto, dalle contrarietà soglio argomentare la grandezza dell’opera di Dio ed una probabilità maggiore di riuscita; un bisogno quindi di adoperarsi [f. 138r] con maggior energia, e spingere con maggior forza l’opera incominciata, dal momento che questa ha avuto il menomo segnale di approvazione per parte della divina providenza, non potendo questa ingannarsi nei suoi calcoli.

Colla Vittoria, vapore inglese destinato per le relazioni tra Aden e Massawa, è arrivato qui il Signor Flat dalla sua missione in Inghilterra; quali siano le trattative che porta a Teodoro, e quali i regali, tutto si tiene nascosto; il vapore suddetto il giorno medesimo del suo arrivo ripartì per Aden promettendo di esser qui dopo dieci giorni; resterà qui tre giorni, e di qui partirà per Suez, (come si dice o si suppone) per prendere colà il governatore di Aden e riportarlo alla sua sede per la via di Massawah. Con questo vapore penso mandare i miei giovani in Suez e Cairo al collegio dei Fratelli, dove verrà da Marsilia il P. Taurino o altri a prendergli; sarà allora che il giovane Raffaele verrà.

F. 138v Vorrei ancora estendermi e dirLe molte cose, ma mi manca il tempo, epperciò mi riservo per altra volta; d’altronde potrà sentire alcuni detagli dal latore della presente M. D. Rivoire, persona che ha passato alcuni anni qui.

È inutile che La ringrazii per la fatica che fa nella correzione della grammatica, perché so che Ella non si pascola di parole, ma fa tutto ciò per la gloria di Dio, da cui solo ne aspetta la retribuzione, quella stessa che aspetto io; le parole son fatte per quelli che si contentano della fodera esteriore del Vangelo, non per quelli che professano di introdurvisi un poco più dentro.

Tanti saluti a Madama d’Abbadie madre dei miei figli, quale ho continuamente presente nella celebrazione della S. Messa colla pianeta cucita dalle Sue mani; la mia benedizione ad entrambi, mentre mi dichiaro

Divot.mo Servo
Fr: G. Massaja V.o