Massaja
Lettere

Vol. 4

/38/

486

Al cavaliere Antonio Thomson d’Abbadie
esploratore dell’Etiopia – Parigi

F. 147rIll.mor Signor Cavaliere Amat.mo

Roma 8. Maggio 1867.

Appena arrivato a questa capitale dell’Orbe Cattolico, e fatte le visite di prima necessità eccomi a Lei, caro Signor d’Abbadie, perché Ella è la prima persona che ha diritto ai miei caratteri, e perché ancora Ella fra tutti i Secolari tiene la prima posizione nel mio povero cuore, e gode presso di me la prima stima.

Del mio viaggio Le dirò in breve che partito l’8. Aprile da Aden sul Piroscafo Elimant delle messaggerie in cinque giorni e mezzo sono arrivato a Suez la mattina della Domenica delle palme a tempo per celebrare la S. Messa. L’indomani mattina ho lasciato Suez ed arrivai al Cairo verso le tre di sera. [F. 147v] Ho lasciato il Cairo la sera di Martedì ed a cena era già in compagnia del nuovo V.o Ap.o Monsignor Ciurcia in Alessandria; qui ho voluto passare la Settimana Santa e la Pasqua sia per il rispetto a tali feste, sia ancora perché aveva sommo bisogno di conferire col suddetto Prelato nuovamente venuto dietro la traslazione di Monsignor Wicicc alla Bosnia. Appena passate le feste pasquali ho voluto partire subito per arrivare in Roma prima degli altri vescovi, e poter fare qui i miei affari prima della confusione che vi sarà per le feste. Ho lasciato Alessandria d’Egitto la sera del 23. imbarcandomi sopra il Copernico, il quale mi portò in Messina per la mattina di Domenica in Albis a tempo per celebrare la S. Messa; qui per la prima volta ebbi il gran dispiacere di vedere [f. 148r] tutti i religiosi dispersi e qualcheduno anche nelle contrade a stendere la mano per domandare il soldo. Lunedì 29. alle quattro di sera sono montato sopra il Quirinale altro vapore che mi portò della notte a Napoli, dove siamo arrivati verso le dieci; qui ho voluto discendere per vedere i miei fratelli religiosi, ma di tre conventi che vi erano più nessuno era aperto, il principale era divenuto una prigione publica, sono perciò andato alla casa dei Lazzaristi detta i Vergini, dove ho trovato ancora due religiosi, i quali avevano il permesso di restarvi in un’angolo, ma tutte le officine chiuse e sigillate dal governo. Qui ho avuto la gran fortuna di conoscere due fratelli carnali del fu nostro venerabile apostolo Monsignore Dejacobis; il più giovane di questi è religioso dell’ordine di S. Francesco Carracioli e sembra una vera coppia del suddetto suo fratello: io non mi saziava di rimirarlo... Partito da Napoli della stessa sera, verso la mattina seguente del 1. Maggio eravamo a poca distanza del littorale pontificio verso Ostia Tiberina, ed io stava recitando [f. 148v] il mio breviario nella cabina attigua alla machina, quando uno strepito improvviso annunziò un gran guasto nella machina stessa, sono montato sul ponte ed ho trovato tutto il mondo attruppato: da quanto mi si disse, si ruppe il nodo che legava il pistone nel tamburro; sciolto questo dalla parte dissotto sfondò il /39/ tamburro e dalla parte dissopra sfracellò tutto lo schelletro esterno fuso della machina prima che siasi potuto arrestare il movimento della medesima. Il vapore dovette restare immobile sino alle tre pomeridiane, ne potè giovarsi delle vele perché queste sono quasi nulle in questi piroscafi, e nel supposto il poco vento era contrario, e la marea fortissima; i machinisti ancora non avevano potuto scoprire tutto il male occorso in tutto l’insieme del machinismo assai complicato. Passando per colà un vapore mercantile italiano in via per Napoli, il nostro comandante credette prudente farsi rimorc[hi]are sino a Gaeta, dove siamo arrivati verso le due dopo mezzanotte [f. 149r] del 2. Maggio. Pendente nel testo Pedente Pendente il viaggio fu messa in movimento di nuovo la machina per prova, e si vidde che con un sol pistone poteva ancora alla meglio camminare. Si passò la giornata in Gaeta per fare alcune riparazioni provisorie sino alle tre di sera; i viaggiatori erano agitatissimi, alcuni avrebbero desiderato che le poche forze del vapore servissero a riportarci in Napoli per essere in sicuro; altri poi bramavano discendere in Gaeta per prendere la via di terra, benché non vi sia colà la strada ferrata e le strade poco sicure dalle bande; molti presero quest’ultimo partito e vi mancò poco che [che] lo prendessi anche io, ma vedendo che la mia discesa avrebbe influito sull’immaginazione di molti viaggiatori timidi, sono disceso a vedere il movimento della machina e poi ho deciso di aquietarmi al partito preso dal comandante di partire per Civitavecchia, come si fece; si viaggio alla meglio tutta la sera e tutta la notte, [f. 149v] ed alle nove della mattina del 3 corrente era già in darsena di Civitavecchia a celebrare la S. Messa di ringraziamento assistito dai miei fratelli cappuccini, i quali erano in gran pena a mio riguardo per il ritardo di due giorni del vapore aspettato; la sera dello stesso giorno a cena era già qui in Roma nel collegio delle missioni dei Cappuccini, via delle Sette Sale vicino a S. Giovanni Laterano, do[ve] ho preso alloggio. Qui dovrò restare di necessità sino al principio di Luglio, perché giammai potrò ottenere il permesso di andarmene in Francia mentre tutto l’episcopato del mondo è in viaggio per Roma, chiamato dal S. Padre. Come ho dato parola di trovarmi in Aden al più tardi in Ottobre, Ella può comprendere come, o non potrò venire in Francia, oppure appena potrò fare una scorsa passeggiera; ecco le cose mie come sono.

Le cose dell’Abissinia sono sempre come erano; ancora il governo inglese non ha deciso le operazioni che farà; è probabile che si debba venire alle armi, [f. 150r] ma quest’operazione non si potrà fare che dopo le pioggie. Io aveva consigliato al P. Taurino di aspettare a partire, ma impaziente volle venire, e mi arrivò nel momento della mia partenza di Aden; l’ho mandato a Massawah, dove dovrà passare l’estate con suo grande incommodo per aspettare me ed il risultato di tutti i tentativi da me fatti per l’apertura della strada; io avrei voluto risparmiargli la stazione di Massawah molto calda, ma non mi fu possibile, pazienza!

Venendo a Lei, non potrebbe Ella condurre Madama d’Abbadie qui a vedere le feste? Io non conosco tutte le di Lei circostanze par- /40/ ticolari, ma l’occasione sarebbe la più bella. Nel caso che prenda l’affermativa, non manchi di portare qualche coppia della grammatica, perché colla medesima spero poter far conoscere qui il di Lei merito, benché le circostanze di confusione siano ben poco favorevoli a trattare affari, ed a far cortesie agli amici, come Ella ben può [f. 150v] immaginarsi; pensi dunque seriamente a questa mia proposizione, e nel caso affermativo mi scriva.

Voglio sperare che a quest’ora avrà ricevuto il manoscritto in lingua Sidama, perché so che Monsignor Delegato d’Egitto lo spedì a Marsilia, ma siccome non ho ancora riscontro di ricevuta ne da Marsilia ne da Lei, sempre ancora ne sono in pena; se viene in Roma non manchi di portarlo, perché in due o tre giorni potrei esercitarla a leggerlo, a pronunciarlo, e combinare insieme sul valore di alcune lettere di quell’alfabeto molto interessante.

Nell’ultima mia forze ho dimenticato di risponderLe relativamente al Barone Du Havelt, per cui, come la grammatica deve essere già finita, penseremo a farne menzione in qualcheduno dei seguenti stampati.

Mi saluti Madama d’Abbadie, e speranzoso di vederli o qui o in Francia, Le sono al solito

Divot.mo Servo
Fr: G. Massaja V.o