Massaja
Lettere

Vol. 4

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A sua maestà Vittorio Emanuele II
re d’Italia – Napoli

[F. 1r]Maestà

* Gilogov – Scioha 20. Giugno 1872.

Parlando di V. M. con questo Re Menilik, gli ho detto che io aveva avuto l’onore di conoscerLa personalmente in Moncalieri mentre Ella faceva colà la Sua educazione, dove ho avuto l’onore di farLe da cappellano per qualche anno; al sentire questo il buon Re mi pregò instantemente di metterlo in relazione con Lei, e fui come obligato ad acconsentirvi, perché è una brava persona, ed ha dei sentimenti elevati al dissópra degli altri principi di questi paesi; epperciò dopo essermi occupato della spedizione del corriere Abba Michele, il quale spero che Le arriverà, e dal quale potrà in detaglio informarsi delle cose di questi paesi, voglio cogliere l’occasione per scriverle anche io a titolo mio privato questa letterina, onde farLe conoscere che non l’ho dimenticato, e non lo dimentico, a fronte che tra Lei e me vi sia una distanza tale che il metro e calcolo umano non saprebbe misurarla; ella conta ventisei anni di regno in tempi molto difficili, ed è arrivata sino al campidoglio per una strada molto pericolosa, [f. 1v] laddove io conto ventisette anni di pesca in questo mare burrascoso, il quale mi ha inghiottito più volte, e sono ancora qui sospirando il gran momento di comparsa avanti il padrone della barca che mi spedì. In mezzo ai vortici di questo mare, o[h] quanto mi è dolce qualche volta il pensare a Testona, dove V. M. ancor giovanetto si divertiva con una quantità di anime grandi, le quali ora sono tutte al porto felice dell’eternità, e là ci aspettano! Maestà, quando io penso che Ella è arrivata all’apogeo di un regno che in quei tempi sembrava un sogno il mio cuore si perde oppresso da due sentimenti che io qui non posso esprimere, ma che Ella capisce certamente senza che io lo dica. Molte cose si dicono a destra ed a sinistra di V. M., di cotesto Suo governo, e dell’Italia intiera, ma pure io spero ancora sempre, che avendo Iddio eletta questa nazione a maestra del mondo e depositaria della fede, non l’abbandonerà certamente, e V. M. che senza saperlo, e forze senza volerlo ha servito sin qui la divina Providenza, la quale agisce sui popoli con dei calcoli che sorpassano la misura delle intelligenze anche le più trascendentali, e nascosti ai Santi medesimi, non dimentichi per carità! [f. 2r] la missione sublime che ha l’Italia, e Roma sopra tutti i popoli del mondo, missione che forma la sua vera gloria, e quella unica che consoliderà il regno italiano, quando l’Italia sarà fedele a Dio nella sua Fede, e nelle sue operazioni diplomatiche non sortirà dal sistema teocratico evangelico, altrimenti l’Italia sarà perduta, ed il regno italiano sarà un regno di pochi giorni. Parlare del Papa in questo momento è una questione troppo delicata, egli è Padre del mondo cristiano quando si trova con tutto il decoro dei /215/ suoi predecessori, ed è Padre egualmente ed ancor più venerabile anche in catene con Pietro; per il rispetto dovuto a Dio che ancor può qualche cosa in Italia, e per l’onore dell’Italia stessa, per carità, non dimentichino questa Sua divina qualità, e lo rispettino, sopratutto nelle Sue operazioni cosmopolitiche del Suo ministero apostolico, altrimenti per forza Iddio si farà sentire, e l’onore italiano, e l’interesse della nazione, ed il regno di V. M. ne soffrirebbe certamente.

Mi scusi Maestà se ho sollevata questa questione in questo momento, sono un vecchio vescovo fra i barbari, epperciò divenuto anche io un poco grossolano; del resto ritornando ora alla mia qualità di italiano invecchiato in Abissinia, anzi fra i barbari dell’Abissinia stessa vedrei molto volentieri che la mia Patria si mettesse in onorabile relazione con questi popoli, i quali in verità sono poveri ed infelici, perche mancanti della vera Fede e civilizzazione. [F. 2v] Sarebbe questo il vero Paradiso terrestre, se qui si trovasse una Società organizzata, ma senza la fede e senza i costumi guidati dalla medesima, la Società diventa nominale, e sotto il regno del più forte la scienza, l’industria, e l’agricoltura stessa scomparisce, ed anche la terra non da più il frutto suo, perché i poveri popoli non godono la tranquillità sufficiente per coltivare tutte queste partite. Il regno di Scioha è ancora il migliore di tutta l’Abissinia, perché qui avvi ancora un poco di tranquillità e di ordine; il Re Menilik ha delle buone qualità, ma il poveretto non può avere un’idea giusta della vera Società cristiana. Io in questi paesi mi sono affaticato molto, ma alla fine cosa può fare un’uomo; ho gettato dei semi, e se Iddio gli benedirà produrranno frutto a suo tempo. Se cotesto Suo governo italiano secondasse le intenzioni di questo Re Menilik e mandasse qualche persona di cuore e di calma, col tempo potrebbe forze ottenere delle relazioni più solide, ed organizzare anche qualche cosa per il bene dei due paesi.

Pongo fine a questa mia col pregarLa di non [di non] dimenticarmi, assicurandoLa che io non La dimenticherò; che Iddio La benedica, Le dia lunga vita, e lungo regno, e dia la Sua pace all’Italia ed al mondo, per cui prego Iddio.

† Fr. Guglielmo Massaja Vescovo
e V.o Ap.o dei Galla –

[Sulla busta] A S. S. R. Maestà / Vittorio Emmanuele Re d’Italia [In amarico] Al re d’Italia di Abba Messias //.