logo

CIRAAS
Approfondimento sulle
cretulae

IL CIRAAS
Sezione romana
Sezione milanese
Sezione piemontese
Eventi
Pubblicazioni
Biblioteca di documentazione
Contributi
Discussioni

Studio sull’origine dell’amministrazione e degli archivi

Lo studio ebbe inizio nel 1955, con lo scavo del vano 25 del II Palazzo di Festòs. L'occasione fu fornita dal ritrovamento, sotto il pavimento del vano, mescolate a calce, di 6586 cretulae gettate con moltissime coppette, piccoli boccali e altra ceramica MM IIb in frammenti. Il prof. Doro Levi, allora Direttore della Scuola Archeologica Italiana di Atene, come di solito, avviava immediatamente lo studio dei motivi dei sigilli  impressi sul recto delle cretulae. In quei tempi, di esse, si studiava soltanto l’impronta del sigillo. Con la praticità dell’architetto, guardai subito il retro delle cretulae per capire dove fossero stati posti questi grumi di argilla cruda. Il prof. Levi, constatato il mio interesse per l’uso di questi oggetti, mi propose di studiarne l’uso per ritrovare, se possibile, la forma degli oggetti sigillati. Mi informò inoltre che le cretulae erano state poste su contenitori inviati al palazzo con i tributi dei claroti di terreni reali disseminati intorno alla Messarà, come sarebbe poi stato in uso nella Creta di età storica. I contenitori sarebbero stati i tipici boccaletti a due foglie trovati in gran numero insieme con le cretulae. Questa informazione fu deviante e mi portò a conclusioni paradossali, cfr. FIANDRA, E., Le cretulae di Festos: storia di un equivoco in Orient Express, Notes et Nouvelles d'Archéologie Orientale, 1999/2,  62-65.

Dopo i primi dubbi riesaminai da capo tutto il materiale, feci infiniti calchi e i miei dubbi aumentarono notevolmente. Scoprii così che una categoria di cretulae presentava l’impronta di piccoli fori causati dai tarli. Si trattava dunque di legno che non poteva certo essere riprodotto in forme identiche compresi i buchi fatti dai tarli. Di conseguenza potevo constatare che le cretulae erano state poste ripetutamente sugli stessi oggetti e non su tanti oggetti identici. In pratica ogni categoria aveva sigillato lo stesso oggetto tante volte quante erano le cretulae ad essa appartenenti. Cadde così definitivamente l’ipotesi che esse avessero sigillato tanti tappi identici su boccaletti provenienti dall’esterno del palazzo. Si trattava, in realtà di un controllo dei beni all’interno del Palazzo.

Gli oggetti sigillati erano prevalentemente dei pomelli di legno o cavicchi  sui quali era avvolta una corda in più spire. Si rendeva necessario scoprire a che cosa servivano questi pomelli e cavicchi lignei e, soprattutto, perchè le cretulae poste su di essi erano prima conservate tutte insieme e poi, sempre tutte insieme, gettate con l’intento di distruggerle. Pensai che l’unica soluzione per evitare altre interpretazioni di fantasia ci poteva venire dall’Egitto, luogo dove, in genere, gli oggetti archeologici sono ben conservati in virtù del clima secco.

Con i fondi del Premio Michael Ventris dell’Università di Londra andai al Museo del Cairo dove i pomelli erano profusi ovunque su cassette, cofani e altri contenitori, ma la sorpresa più grande la riservava il museo egizio di Torino dove per la prima volta, nonostante le mie frequenti visite fatte in precedenza, "vidi" un bellissimo pomello di legno, del tutto simile nella forma a quelli di Festos, su una intelaiatura di porta di una cappella di Deir el Medina. I pomelli servivano per assicurare i battenti delle porte o i coperchi dei contenitori. Come è noto, il seguito della ricerca permise di constatare che in moltissimi scavi orientali erano state ritrovate cretulae su pomelli di legno, di pietra e, proprio vicino alle porte, anche pomelli di ceramica, di marmo ecc. Si trattava poi di proseguire lo studio con la schedatura sistematica della maggior quantità di cretulae sia nei musei sia presso i nuovi scavi, cosa che fu fatta in collaborazione con Piera Ferioli che si occupò anche di trovare la conferma dell’uso amministrativo delle cretulae nei testi delle tavolette cuneiformi. Nuovi studi erano così avviati verso risultati che superarono di gran lunga il semplice riconoscimento dell’oggetto sigillato. L'archivio scartato di Arslantepe permise di ampliare lo studio nel campo della gestione dei beni e della loro ridistribuzione nei sistemi centralizzati.

L'accuratezza dello scavo condotto da Marcella Frangipane e la documentazione completa del materiale, appartenente ad un complesso palaziale e templare del 4° millennio B. C. che non ha eguali in Anatolia, hanno permesso una schedatura meticolosa durata anni di lavoro ad Arslantepe e in Italia. Attraverso lo studio approfondito di oltre 6000 cretulae  provenienti da questo scavo, si è constatato come i meccanismi funzionali della cretula, documento primario fin dall’origine, integrati, ma non sostituiti dalla scrittura, persistano in età più tarde, in una ampia diffusione geografica e in una cultura prevalentemente burocratica al servizio del potere. La stratigrafia, meticolosamente documentata, ha permesso di ricostruire le fasi del rendiconto finale precedente lo "scarto" e il sistema di archiviazione che, con una straordinaria resistenza all’innovazione, passerà inalterato negli archivi di epoca scrittoria.

Le operazioni di distribuzione, secondo la nostra interpretazione avvenivano seguendo questa modalità: La persona responsabile del magazzino, in occasione della consegna del quantitativo di merce spettante al destinatario, che ritirava per se e per i suoi sottoposti, toglieva la cretula che in quel momento sigillava il contenitore dal quale si doveva estrarre il prodotto: sacco, pithos, cassetta, cofano, ecc. Effettuato il prelievo si richiudeva il contenitore e chi aveva ritirato la merce lo risigillava apponendovi il suo sigillo. Ad ogni prelievo le cretulae tolte dai contenitori venivano raccolte e conservate in appositi  recipienti posti, in seguito, in archivio. Le cretulae asportate perdevano il loro significato di garanzia mantenuto durante tutto il tempo in cui sigillavano le merci e assumevano un nuovo significato di documento comprovante il prelievo e cioè di ricevuta. Ogni cretula, attraverso il sigillo, rappresentava il ricevente e aveva anche un valore di quantità in quanto il titolare del sigillo in genere ritirava sempre la stessa quantità di merce. Le cretulae erano conservate in archivio per la durata di una sola annata amministrativa in quanto la cretula non forniva informazioni relative alla data e, se mescolata a quelle della successiva annata, creava disguidi amministrativi e confusione contabile. Queste nostre interpretazioni sono state confermate dalla prassi seguita nella gestione dei magazzini di distribuzione in epoca scrittoria riportata nelle tavolette relative alla gestione di magazzini analoghi. Tra gli altri sono stati fondamentali gli studi sulle tavolette di Lagash di Umma e sugli archivi di Ebla, con particolare riferimento alla pubblicazione di Lucio Milano dell’archivio L 2712.

<< Torna alla pagina sull’Origine dell’amministrazione    Torna su ^

<<Torna alla pagina sulla Sezione Romana

La cretula

Tra le varie denominazioni antiche del nucleo con impressione di sigillo: in egizio, sin; in greco (Erodoto) gê semantrís, shipassu etc. abbiamo scelto la parola latina cretula seguendo la tradizione italiana iniziata con Gianfranco Maddoli e Doro Levi che l’avevano adottata perché usata da Cicerone per indicare un'argilla bianca atta a ricevere l’impronta del sigillo. La denominazione cretula riguarda dunque un nucleo di materiale malleabile: argilla, gesso, sterco impastato con cenere, cera, ceralacca, ecc. recante l’impressione del sigillo con significato  amministrativo. Nell’antichità era utilizzata a questo scopo, geograficamente ovunque e, in ogni tempo, fino ai giorni nostri.

Il nostro gruppo di lavoro si è occupato prevalentemente delle cretulae usate nell’amministrazione dei magazzini di distribuzione nei complessi centralizzati. Le operazioni di distribuzione, secondo la nostra interpretazione avvenivano seguendo questa modalità: La persona responsabile del magazzino, in occasione della consegna del quantitativo di merce spettante al destinatario, che ritirava per se e per i suoi sottoposti, toglieva la cretula che in quel momento sigillava il contenitore dal quale si doveva estrarre il prodotto: sacco, pithos, cassetta, cofano, ecc. Effettuato il prelievo si richiudeva il contenitore e chi aveva ritirato la merce lo risigillava apponendovi il suo sigillo. Ad ogni prelievo le cretulae tolte dai contenitori venivano raccolte e conservate in appositi  recipienti posti, in seguito, in archivio. Le cretulae asportate perdevano il loro significato di garanzia mantenuto durante tutto il tempo in cui sigillavano le merci e assumevano un nuovo significato di documento comprovante il prelievo e cioè di ricevuta. Ogni cretula, attraverso il sigillo, rappresentava il ricevente e aveva anche un valore di quantità in quanto il titolare del sigillo in genere ritirava sempre la stessa quantità di merce. Le cretulae erano conservate in archivio per la durata di una sola annata amministrativa in quanto la cretula non forniva informazioni relative alla data e, se mescolata a quelle della successiva annata, creava disguidi amministrativi e confusione contabile. Queste nostre interpretazioni sono state confermate dalla prassi seguita nella gestione dei magazzini di distribuzione in epoca scrittoria riportata nelle tavolette relative alla gestione di magazzini analoghi. Tra gli altri sono stati fondamentali gli studi sulle tavolette di Lagash di Umma e sugli archivi di Ebla, con particolare riferimento alla pubblicazione di Lucio Milano dell’archivio L 2712.

Enrica Fiandra

Vai alla bibliografia sul’origine dell’amministrazione e le cretulae >

<< Torna alla pagina sull’Origine dell’amministrazione    Torna su ^

<<Torna alla pagina sulla Sezione Romana