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La presenza musulmana nel Monferrato

Dagli Aglabiti di Leptis Magna
ai Saraceni del Monferrato
Conferenza di Enrica Fiandra
Tripoli, Casa Italiana di Cultura, 10 Agosto 2008

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Gli Aghlabiti di origine mesopotamica sono i primi arabi che dall’Africa settentrionale sbarcarono in Spagna e in Sicilia. La loro storia ci porta ad esaminare temi di contaminazioni tra culture diverse in un clima di globalizzazione arcaica.

Chi erano gli Aghlabiti?

Gli Abbàsidi - dinastia di califfi con sede a Bagdad - riuscirono a imporre la loro diretta autorità sulla Ifrìqiya, dapprima con l’energico governatore Yazìd ibn Hatim e, alla sua morte nel 787 d. C. , con quell’Ibrahìm Ibn el-Aghlab at Tamimi che diede inizio ad un dominio ereditario e divenne poi capostipite dell’autonoma dinastia degli Aghlabiti e governò come califfo indipendente tra l’800 e l’810 d. C. I califfi o emiri che seguirono furono: il figlio di Ibrahìm, Abu Abbas Abdallah I fino all’817 d. C. , il fratello Abu Muhammad Ziyadat Allah I, colto, abile politico e stratega al quale si deve l’avvio della conquista della Sicilia nel momento in cui l’isola si trovava in una situazione di grande anarchia. Nel giugno dell’827 Ziyadat Allah I organizzò una spedizione di 10. 000 soldati con 100 navi; essa partì dal porto di Susa con a capo il cadì Asad ibn el Furat, di origine mesopotamica e sbarcò a Mazara il 16 giugno 827 d. C. Via via caddero nell’831 d. C. Palermo, nell’837 d. C. Enna, nell’838 d. C. Siracusa. Gli succedette il fratello Abu Iqal el Aghlab fino all’841 d. C. poi Abu Muhammad Zyadat Allah II, di grandi qualità umane e politiche, che governò soltanto per un anno.

A questi succedettero i nipoti, figli di Abu Ibrahim Ahmad: Abd Allah Muhammad II, detto el Gharaniq, che governò fino all’875 d. C. e Abu Ishaq Ibrahim II capace ed energico.

Quest'ultimo fu sconfitto nell’anno dell’Egira 265 (878-879 d. C. ), nei pressi di Lebdah (Leptis Magna), dalle forze inviate da Abbas ibn Tulun, proveniente dall’Egitto, ma poco dopo, con l’intervento dei berberi Nefusah, messo in fuga il Tulunide, rimase al potere fino al 902 d. C. ; gli succedette il figlio Abu Abbas Abdallah II (289-290) che governò per un solo anno, assassinato dal figlio Zyadat Allah III che fu l’ultimo degli Aghlabiti. Nel 909 d. C. la dinastia degli Aghlabiti fu esautorata dai Fatimiti. I Fatimiti erano una dinastia di Califfi che dominò in Africa Settentrionale, Siria, Palestina, Calabria, Sardegna e Sicilia; furono vinti da Salah ad-din Yussuf ibn Ayyub (Saladino). Contro questo nuovo califfato gli aghlabiti superstiti instaurarono, ma soltanto in Sicilia, una forte resistenza che durò fino alla alla caduta di Rometta nella provincia di Messina nel 965 d. C.

La dinastia semi-indipendente degli Aghlabiti ebbe, come si è visto, una breve durata, tuttavia è stata protagonista di avvenimenti eccezionali. Gli Aghlabiti furono anche i grandi costruttori del IX sec.; basti ricordare, non solo la moschea di Qairawan, ma quelle di Sus e di Sfax e il palazzo di Raqqada. Gli Aghlabiti seguirono fedelmente l’esempio del grande Oqba ibn Nafi, che, fondando Qairawan e costruendo la prima moschea nord-africana, si era ispirato all’arte orientale. Realizzarono anche lavori di utilità pubblica come cisterne, condotte d'acqua, ponti ecc. e vale la pena di ricordare qui che essi portarono nel nord Africa la carta, la cui manifattura era stata appresa da prigionieri cinesi, poi diffusa in Europa attraverso la Spagna. Le prime cartiere in Europa sono sorte nella Linguadoca alla fine del XII sec.

Sulla riva meridionale del Mediterraneo, nella città romana di Leptis Magna (Libia) - patria dell’imperatore africano Settimio Severo ­ le rovine di un tempio gemino romano di età flavia, che si ergeva imponente sulla banchina occidentale del porto, presentano oggi l’attestazione più tangibile e cronologicamente più certa di una tappa dell’espansione araba verso occidente. Gli scavi dell’area templare hanno dimostrato che, a Leptis Magna, ha avuto vita un insediamento di vasai arabi.

L'evidenza più concreta di questa presenza è rappresentata dalla ceramica di uso comune prodotta in loco, in forme che divengono caratteristiche della produzione islamica diffusa fino ai giorni nostri nell’Africa settentrionale. Il rinvenimento di forni per ceramica e di numerosi scarti di vasi tra i ruderi romani hanno gettato luce sulle testimonianze di storici e viaggiatori arabi che volevano Leptis Magna sede di un nucleo stanziale arabo. Le monete ritrovate ci hanno permesso di datare
il quartiere di ceramisti all’ultimo periodo della dominazione in Africa della dinastia aghlabita (X sec. D. C. ).

È così possibile, ora attraverso le sopravvivenze archeologiche, iniziare a delineare l’estensione della città araba, nata sulla sabbia, che obliterò la città di Leptis bizantina e già romana.

Il mezzo dirhem d'argento di Abdallah II, figlio di Ibrahim II, trovato sotto la volta, poi crollata, che reggeva il pronao della cella di Sud-Est del Tempio flavio, ha permesso la datazione dell’insediamento aghlabita di Leptis Magna.

Le due celle del tempio Flavio hanno ospitato i resti delle fornaci aghlabite.

Le case arabe si sono insediate tra le rovine di Leptis Magna utilizzando materiali romani e bizantini di recupero.

Il commercio e l’economia

Nonostante gli scontri tra gli arabi, che dall’Oriente e dall’Africa si proiettano verso il nord, e le popolazioni nordiche che si espandono verso Sud e Est, gli scambi si moltiplicano attraverso il commercio mediato intensamente dagli ebrei spagnoli che parlano arabo, persiano, greco, francese, spagnolo e slavo. Occorre anche sottolineare che gli ebrei, perseguitati dai Visigoti accolsero mussulmani, sin dal loro arrivo in Spagna, come dei liberatori. Per questa ragione hanno grande libertà di movimento. Dal Mediterraneo occidentale attraverso il Mar Rosso i mercanti raggiungono l’India e poi la Cina. Altre volte portano le merci dalle terre dei Franchi attraverso il Mediterraneo e scaricano ad Antiochia. Poi con i cammelli via terra incontrano l’Eufrate. Per via fluviale giungono a Bagdad e poi, lungo il Tigri e il Golfo Persico, vanno in Oman, nell’India e nella Cina. Con le carovane e le navi si spostano le merci, ma anche la cultura e l’arte. Così non ci deve stupire se le ciotole di ceramica araba decorano le facciate delle chiese cristiane. Il principale effetto permanente delle crociate, nel complesso riguarda il commercio. Nei porti del levante erano fiorite sotto il dominio dei crociati colonie di mercanti occidentali che sopravvissero sotto la riconquista musulmana e svilupparono un commercio considerevole sia d'esportazione che d'importazione. Saladino giustificava la propria decisione di incoraggiare questo commercio. I veneziani, i genovesi e i pisani, sosteneva, portavano prodotti scelti dell’Occidente, soprattutto armi e materiale bellico. Ciò costituiva un vantaggio per i musulmani e un danno per i cristiani. Il tuonare della Chiesa in Europa contro questo commercio e i decreti di scomunica contro chi vi partecipava non servirono a molto (Bernard Lewis³). La circolazione delle persone e delle cose nell’Alto e Basso Medioevo, infinitamente più lenta e difficile dal lato tecnico di quanto oggi non sia, è stata sempre al tempo stesso più libera di quanto non accada in età moderna. Viaggi e contatti di esplorazione, curiosità e pietà religiosa, di commercio, per terra e per mare, hanno avuto luogo anche in tempo di guerra e di pirateria, sfidandone i relativi rischi, nonostante ogni diversità di cultura, di razza e di fede. Ciò vale per le vie terrestri, come ci testimoniano le peregrinazioni dell’ebreo di Tortosa Ibrahim ibn Ya'qub che nel X secolo dall’Andalusia araba venne ad Aquisgrana alla corte dell’imperatore Ottone, e di lì passò in Germania e Boemia. Se ci è testimoniato da quella rete di vie commerciali per cui dall’Oriente mussulmano e slavo affluivano gli schiavi sul mercato internazionale.

Anche le vie per mare poterono certo essere in determinati momenti più pericolose e disertate, ma mai del tutto chiuse. Sant'Elia il Giovane asceta siciliano, negli anni della conquista musulmana della sua isola viaggia su e giù per mare dalla Sicilia all’Africa, dall’Africa alla Palestina, di qui alla Calabria, a Roma, alla Grecia; e s'imbatte sì in saraceni e corsari, e li ammonisce e li evangelizza, ma non perciò vede impediti durevolmente i suoi movimenti².

Francesco Gabrieli

L'Europa latino-barbarica, superati i sussulti dell’ultima invasione, quella degli Ungheri, si trova ricca di rinnovate energie, riorganizza la sua vita politica che si accompagna ad una attiva vita economica che trova il supporto in una situazione internazionale favorevole alla ripresa dei commerci.

La commercializzazione di prodotti d'importanza strategica per l’Islam apporta un flusso di ricchezza in Italia e in Europa che eleva la qualità della vita e induce nuovi bisogni attivando una ricerca di prodotti di lusso sui mercati islamici. Il manufatto islamico veniva grandemente apprezzato nell’Europa medievale per l’eccellenza delle sue qualità tecniche ed estetiche, per il suo aspetto sontuoso, per essere spesso associato alla Terra Santa. Umberto Scerrato Il mito dell’arte mussulmana è un aspetto del mito dell’Oriente e delle cose orientali idealmente belle. E in questo modo, io credo che si può spiegare la presenza di queste influenze insolite che si ritrovano anche molto più tardi, per esempio nel celebre dipinto dei Re Magi di Gentile da Fabriano, dove sul nimbo della Vergine si può leggere chiaramente l’inizio del credo mussulmano: Non c'è Dio all’infuori di Dio.

André Grabar

Anche in Piemonte abbiamo degli esempi di scritture sulle aureole che pur essendo in lettere latine imitano la scrittura araba (Cappella di San Giovanni Battista nella Chiesa Conventuale di San Francesco a Cassine - AL).

In questo campo, il caso più spiccato è forse quello di Giotto che in moltissime sue pitture usa caratteri arabi cufici come principale ornamento nei bordi delle vesti; in particolare sono i personaggi più sacri alla religione cristiana che spesso indossano vesti abbellite da queste lettere, riprodotte solo per il loro effetto estetico e non nella loro esattezza. Quest'uso lo ritroviamo in molti altri rappresentanti della tradizione pittorica italiana, da Simone Martini al Beato Angelico, da Filippino Lippi a Gentile da Fabriano.

D'altra parte non sono gli elementi islamici rielaborati o reinventati da un occidentale, ma le stesse originali creazioni degli stessi musulmani a venire usati per gli scopi più sacri: questo a conferma del fatto che quello stile e quel gusto sono sentiti come propri. Così si spiega, fra le tante, la presenza nel tesoro di reliquie della Scala Santa a Roma, di manufatti islamici, e in particolare di un cofanetto che porta il nome di Dio, Allah, più volte ripetuto; presenza sorprendente perché le reliquie erano conservate nel Sancta Sanctorum sul cui architrave cosmatesco era scritto: "Non est in toto sanctior orbe locus" (Non c'è in tutto il mondo luogo più sacro), quindi il luogo più sacro della cristianità. Talvolta poi certi oggetti venivano erroneamente trasformati dalla pietà popolare in orientali reliquie cristiane: così un tessuto fatimida, conservato nella chiesa di Apt in Francia, che porta il nome del califfo al-Musta'li e persino la professione di fede islamica, diventava un venerabile "velo di Sant'Anna". Più spesso però, l’uso sacrale degli oggetti islamici dipendeva non tanto da un'errata identificazione quanto dalla loro intrinseca bellezza.

Francesco Gabrieli.

In Europa nel IX sec. d. C. l’Impero di Carlo Magno è esposto alla minaccia dei Musulmani d'Africa da quando l’Emiro di Qairawan (nell’attuale Tunisia) si era reso indipendente dal Califfo di Bagdad. La prima meta fu la Sicilia, rimasta fino ad allora in possesso dell’Impero Bizantino d'Oriente. L'occasione alla conquista fu offerta da Eufemio turmarca, ammiraglio bizantino, di stanza a Messina. Ribellatosi al proprio imperatore d'oriente per essere stato accusato di corruzione, si rivolse per aiuto ai Musulmani d'Africa, che nell’827 sbarcarono a Mazara, iniziando una lenta, ma continua avanzata. Quarant'anni dopo, nell’867 essi erano padroni di quasi tutta l’isola non restando ai greci-bizantini che le due fortezze di Taormina e di Siracusa. Esse caddero in mano dei Musulmani rispettivamente nell’892 e nel 902. Alle minacce dei musulmani d'Africa e di Sicilia si aggiunsero quelle dei Mori di Spagna. Le coste della Provenza, della Linguadoca e della Liguria diventarono la loro meta preferita, resa assai più accessibile con la fondazione di Frassineto, efficiente base posta fra Tolone e Nizza, dove essi stabilirono una loro forte colonia da dove potevano partire per incursioni e, probabilmente, anche per commerci, in Piemonte e in particolare nel Monferrato. Uno dei tanti segni della loro presenza è rappresentato dall’influenza artistica islamica sulla decorazione di stile arabo delle ciotole di ceramica smaltata inserite nella facciata della chiesa di Santa Maria del Vezzolano ad Albugnano

La caduta di Frassineto

Anche i greci, esperti uomini di mare, frequentano le coste della Provenza e, come i saraceni, talvolta, da commercianti si trasformano in corsari. Nell’848 depredano Marsiglia. Il re d'Italia Ugo di Arles più volte tenta di impadronirsi della strategica base saracena di Frassineto e, non riuscendo nell’intento, progettò di allearsi ai saraceni per ottenere vantaggi politici e commerciali. Soltanto Guglielmo conte di Provenza riuscirà ad impadronirsi della base di Frassineto. Questo fatto fu di grande importanza per un più sicuro commercio occidentale tra il Mediterraneo e l’Oriente, anche se i saraceni continuarono a frequentare il litorale provenzale. In ogni caso i contrasti o le alleanze tra fazioni opposte non avvenivano mai per ragioni religiose, ma per contrapposizioni commerciali, come attestano gli accordi tra la repubblica di Napoli e i musulmani di Palermo. Napoli, con disinvoltura, si allea poi con Gaeta, Amalfi e Sorrento nel 846 per contrastare l’iniziativa dei saraceni che tentavano di impadronirsi di Ponza.

Il complicato gioco di interessi stava alla base di effimere alleanze. I saraceni fermati sotto le mura di Roma volsero allora i loro attacchi allo stato di Benevento, sempre alla ricerca di fruttuose basi per i loro intensi commerci. I saraceni provenienti da Frassineto e dall’Andalusia tentarono nuovamente la presa di Roma dopo tre anni dal primo tentativo, ma furono nuovamente fermati a Ostia. Questa volta, su invito di Leone IV, intervenne la stessa Napoli, che fino ad allora non aveva osteggiato i musulmani per tutelare i propri prevalenti interessi commerciali.

I Saraceni nel Basso Piemonte

Rozone prima di essere vescovo di Asti, era stato accolito della Chiesa di Pavia. Infatti nel 945 Liutfredo, vescovo di Pavia, concedeva a Rozone due abbazie in quella città. l’imperatore Oddone I dava facoltà al vescovo Rozone di edificare fortificazioni e difese per contrastare scorrerie saracene, ma soprattutto per tenere sotto controllo i movimenti commerciali e di curare il mercato nel territorio di Quargnento come dimostra l’atteggiamento messo in atto per contrastare le velleità offensive dei signori laici che miravano allo stesso tipo di dominio economico. Anche in questo caso i saraceni si presentano come concorrenti commerciali più che come avversari religiosi. Durante l’episcopato di Rozone ebbe luogo l’unione della diocesi di Alba con quella di Asti decretata da un sinodo di Roma del 26 maggio 969, approvata da Ottone I il 9 novembre dello stesso anno e poco dopo da un altro sinodo tenutosi a Milano. Tuttavia l’unione non si realizzò se non dopo 13 anni. Quest'unione era concepita sempre con l’intento di arginare le incursioni saracene più intense nell’albese e meno importanti nell’astigiano. Tuttavia il vescovo di Alba Fulcardo dilazionava nel tempo l’attuazione dell’unione che, infatti, fu realizzata alla sua morte. È evidente che questa unione aveva interessi economici rilevanti, infatti alla morte del potente vescovo Rozone Alba riprese la sua autonomia.

I Saraceni in Asti

Vi era in Asti l’Ospizio (Albergo?) del Saraceno, collocato in una piazza di Asti non ancora identificata, nel quale, nel maggio del 1387, furono redatti documenti ufficiali importanti relativi alle Fidelitates Astenses.

Occorre inoltre sottolineare che vi furono insediamenti agricoli condotti probabilmente da saraceni divenuti stanziali essendo dovuta a loro l’introduzione della cultura del gelso nelle terre subalpine e in particolare nell’agro alessandrino.

Tra i frequentatori delle fiere nelle varie località della Champagne vi erano numerose famiglie astigiane e tra di esse i Macaluffo di indubbia origine saracena.

I Saraceni nel Basso Piemonte

L'esistenza di rapporti amichevoli fra re Adalberto, figlio di Berengario II, ed i Saraceni del Frassineto non è trascurabile e si inserisce nel quadro di più vasti avvenimenti storici di quel periodo.

Esistevano accordi tra i Saraceni e determinate forze politiche cristiane la quali, in cambio di vantaggiosi servizi, li dichiaravano padroni dei valichi alpini col diritto di riscuotere tributi sui passanti.

Re Corrado riuscì a scagliare Saraceni contro Ungheri dopo essersi protestato alleato degli uni e degli altri. Il capitolo I del V libro parla di due Saraceni che, fatti prigionieri da Antonio Gabrione conte di Torino dal 943 al 975 riuscirono a fuggire e a metter fuoco nel monastero di sant'Andrea cagionando tra l’altro la distruzione della maggior parte dei libri ivi trasportati dalla Novalesa. I due mori furono presi e crocifissi.

Di rado i Saraceni aggredivano i centri urbani dell’interno ancora cinti di mura e provvisti di un'organizzazione militare sotto la guida dei vescovi; le devastazioni e le rapine subite dalla città furono il frutto, come è il caso documentato di Torino, dell’alleanza tra i Saraceni e i perfidi cristiani

Ubaldo Formentini

Molti dei saccheggi avvenuti in Liguria, Provenza e Piemonte, ed attribuiti ai Saraceni, sembra siano invece stati compiuti a scopi di rapina o per ragioni politiche o religiose da elementi non forestieri.

Molti Saraceni dopo la loro sconfitta rimasero in Europa come schiavi.

Il Concilio di Tarragona del 1239 e nel 1368 in un'ordinanza da Vescovo si disponeva che i Saraceni dell’uno e dell’altro sesso portassero un abbigliamento distinto nel colore e nella forma. Si deduce che erano tanti.

A Bagnasco di Ceva è il castrum Saracinorum

Presso Pesio sopra il colle del borgo, esiste una torre saracena, chiamata il Pilone del Moro; un'altra Torre dei Saraceni è conservata a Barchi, frazione di Garessio


Formula ripetuta sul bordo della ciotola inserita nella facciata di Santa Maria del Vezzolano

Si tratta di un'iscrizione in una forma piuttosto semplice, non particolarmente elaborata, di caratteri cufici. Sull’orlo è ripetuta la formula 'Allah Mohammad'. L'alef di Allah fa anche da scansione per gli spazi occupati dalla formula. La ciotola è stata chiaramente fatta in un ambiente sunnita, perché gli sciiti aggiungono alla formula almeno il nome di Ali. La ciotola potrebbe essere selgiuchide, ed anche il cubico sembra la forma semplificata usata dai turchi

Testo di Haydeh Eghbal Biscione

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