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Misteriosi saraceni del Monferrato

Articolo pubblicato sul quotidiano La Stampa del 18 agosto 2008 Edizione Asti e Provincia p. 59

La scoperta della «scodella» istoriata che cita Maometto discussa in un incontro in Libia
Armando Brignolo
Albugnano

I saraceni del Monferrato sono tornati in Libia, da dove forse erano partiti, con Enrica Fiandra, architetto, archeologo e studiosa delle civiltà arcaiche africane e mediorientali, autrice di numerose pubblicazioni. L'esperta vive a Bagnasco di Montafia d'Asti, dove ha sede il Ciraas (Centro internazionale ricerche archeologiche antropologiche sociologiche). Su invito di Pietro Roselli, direttore dell’istituto italiano di cultura a Tripoli, a metà agosto ha tenuto una conferenza nella capitale libica sul tema «Dagli Aglabiti di Leptis Magna ai saraceni del Monferrato». L'iniziativa ha destato curiosità e interesse in un paese che si sta lentamente aprendo al turismo, soprattutto a quello culturale.

La conferenza è stata stimolata a seguito di un articolo sulle pagine astigiane de «La Stampa» pubblicato il 9 settembre 2007 che ha fatto il giro delle università italiane dove si insegnano lingue arabe. Nell’intervista Enrica Fiandra aveva rivelato la traduzione della scritta che circonda la ciotola araba, incastonata nella facciata dell’Abbazia di Vezzolano. Il motto, decifrato da Haydeh Heghbal, archeologa iraniana, con la quale ormai concordano tutti i docenti di madre lingua araba e moliti insegnanti italiani, ripete più volte le parole «Allah Mohammad» in caratteri cufici, una antica scrittura di Kufa, usata nei manoscritti, sulle monete e nelle iscrizioni lapidee. In questo caso le parole, al di là della funzione decorativa del manufatto, hanno il significato di un'invocazione propiziatoria o di un'istanza di protezione.

Ad avallare la tesi di Heghbal, ci sono anche Junes Tawfik, scrittore, insignito qualche anno fa del premio Grinzane Cavour, e David Hallaq, antropologo libico, che recentemente ha scoperto una "cretula" (un sigillo di terracotta che serviva a garantire le chiusure di magazzini, granai, oltre alle arnie per evitare furti di miele, preziosissimo anche a quei tempi antichi) sulla quale è riportata la stessa scritta (Allah Muhammad) che spunta sulla facciata della storica chiesa di Vezzolano.

Come e quando la ciotola sia arrivata ad Albugnano non è facile stabilirlo, ma è plausibile, come spiega Enrica Fiandra, che «facesse parte della mercanzia di un commerciante arabo che aveva scelto di vivere ed abitare nella nuova patria di adozione: il Monferrato, appunto». «Altro che "mamma li turchi!" - aggiunge la studiosa - Nell’Astigiano e nell’Alessandrino, intorno all’anno Mille, vi erano insediamenti agricoli condotti da saraceni divenuti stanziali. Ad essi è dovuta l’introduzione del gelso (tradotto in piemontese "mur", moro) e tra i frequentatori delle fiere vi erano numerose famiglie astigiane, tra cui i Macaluffo di indubbia origine saracena.

Continua la Fiandra: «Nel medioevo molti dei saccheggi attribuiti agli arabi in Liguria, Piemonte e Provenza in realtà furono compiuti a scopo di rapina, per ragioni politiche o religiose da elementi locali. Addirittura esistevano accordi che permettevano ad arabi naturalizzati (molti erano prigionieri di guerra fatti schiavi ed in seguito affrancatisi) di riscuotere in proprio dai viandanti il pedaggio su certi valichi». E prosegue: «Non va dimenticato che i «mori» erano avanti nella civiltà e conoscevano la tecnica per la fabbricazione della carta, imparata dai cinesi».

A distanza di secoli, la ciotola che orna la facciata della celebre abbazia monferrina ricorda quanto sia antica la cosiddetta globalizzazione dei mercati.

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Contatti: enricafi@tin.it