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Capo VIII.
Le prime difficoltà.
Memorie Vol. 1° Capp. 6
e 7.
Dicembre 1846 - fine estate 1847
Gualà e altre località del Tigrè
1. Un famoso intrigante. — 2. Morte del Vescovo abissino Cirillo, e ricerca di un successore. — 3. È scelto De Jacobis. — 4. Defezione della deputazione; amarezze del De Jacobis. — 5. Ingerenza dei protestanti nell’elezione del nuovo Vescovo. — 6. Primi scandali e prime dissensioni. — 7. Partenza del nuovo Vescovo; altri scandali e peggiori guai. — 8. Guerra tra Ubiè e Râs Aly; tutte le strade son chiuse. — 9. Esercizj spirituali. — 10. Proposte di Ordinazioni. — 11. Ragioni per tenere l’Ordinazione segretamente. — 12. Ordinazione dei giovani. — 13. Conversione di Bièra e Ordinazione del suo clero. — 14. De Jacobis in Alitièna. — 15. De Jacobis al monastero di Gondagondì. — 16. Compra e battesimo di due schiavi galla. — 17. Torbidi nel Tigrè; paure e precauzioni. — 18. Assalto della nostra casa; fuga nella grotta. — 19. Notizie di pace, ed altre notizie consolanti. — 20. De Jacobis in Anticcio. — 21. Incontro con D’Abbadie. — 22. Nuove difficoltà. — 23. Proposta a Roma su De Jacobis. — 24. Nostre occupazioni.
A questa divota commozione, ed alle affettuose accoglienze che trovammo in Gualà, dovevano succedere molte tristi avventure per noi. Ed a ben comprendere l’origine di queste, fa d’uopo di far prima conoscenza col personaggio, che ne fu l’istigatore principale. Fu questi il vescovo eretico di Aksum, divenuto tristamente celebre col nome di Abba Salàma (padre pacifico), nome che significa tutto l’opposto di quello ch’egli era. Figlio di un sensale di schiavi al Cairo, nel battesimo, ricevuto secondo il rito copto, fu chiamato Andrea. Ragazzo di piazza, venne raccolto dai protestanti inglesi, ed educato nelle loro scuole del Cairo e poi di Malta, ne abbracciò la fede. Ritornato al Cairo, i parenti, che mal soffrivano questo suo indirizzo, lo mandarono per castigo al gran Mo- /63/ nastero di S. Antonio della Tebaide, dove stette quattro anni, e ne vestì l’abito monacale, Dio sa con qual vocazione! Ma da quel luogo fu cacciato a diciotto anni, come autor principale di una congiura, in cui trattatasi di uccidere l’Abbate. Per le sue scapestrerie aveva perduto un occhio, e trovavasi al Cairo, protetto dai protestanti, quando giunse in quella città una deputazione abissina, per lo scopo che ora espongo.
Il Monastero di Sant’Antonio, costruito sulla tomba di Sant’Antonio Abate, è il più antico monastero del mondo.
Si trova ca circa 240 km a sudovest del Cairo, a una quarantina di km dal Mar Rosso.
A circa due km di distanza si trova la grotta in cui visse Sant’Antonio.
Più vole distrutto, conserva tracce di affreschi che datano fra il VII-VIII e il XIII secolo.
2. Nel 1834 era avvenuta la morte del vescovo eretico Cirillo, avvelenato da Degiace Sabagadis, re del Tigrè (1). Passarono cinque anni senza che si pensasse al successore; ed il popolo cominciava a lamentarsi, anche per la mancanza dei preti, necessarj per l’assistenza delle chiese. Allora i Principi di tutta l’Abissinia, fatto consiglio, convennero di domandarne uno al Patriarca copto del Cairo. Laonde, secondo l’uso antico, misero a contribuzione tutto il paese, per raccogliere il denaro necessario alle spese del viaggio, ed al tributo da pagarsi al Patriarca ed al Governo egiziano. Raccolto il denaro, fu consegnato a Degiace Ubiè, successore di Sabagadis nel regno del Tigrè, affinchè provvedesse egli alla spedizione di trenta deputati, che gli stessi Principi avrebbero scelti, e che doveano recarsi in Egitto. Ubiè intanto desiderava che la deputazione fosse accompagnata da una persona onesta, sagace ed autorevole; affinchè tenesse in armonia gli animi di quei deputati, li difendesse da ogni seduzione, che avrebbero potuto incontrare per via o giunti in Egitto, e nel tempo stesso valesse a custodire il denaro, ch’esso loro affidava, e conseguire poscia lo scopo della loro missione. E l’esperto Principe, quantunque africano, in cuor suo desiderava di trovare un Europeo per affidargli questa gelosa incombenza; poichè ricordavasi che l’ingordigia di denaro degli indigeni aveva altre volte mandate a monte simili spedizioni.
Il vescovo Cirillo
ኣቡነ
ቄረሎስ
abunä Qerəllos fu il 106° metropolita della chiesa copta d’Etiopia. Fu nominato nel 1816, ed arrivò nel Tigrè poco della presa del potere da parte di Sabagadis. C., che seguiva in modo rigido la scuola detta Karra, entrò in conflitto con parte del clero, che invece era orientato verso la dottrina detta Qəbat. Questi conflitti teologici si intrecciavano con le tensioni politiche, in quanto Sabagadis intendeva presentarsi come un campione della chiesa tradizionale.
Non si conoscono le circostanze della morte di C., avvenuta probabilmente intorno al 1828; la data riportata dal M. è errata, poichè nel 1834 anche Sabagadis era già morto.
Il termine abuna
አቡነ
abunä è un appellativo di rispetto, usato solitamente per indicare il metropolita della chiesa d’Etiopia, quindi equivalente a Pappas
ጳጳስ
P̣ap̣p̣as. Per quasi tutta la storia del cristianesimo etiope, vi fu un solo a. per volta, nominato dal patriarca di Alessandria d’Egitto; il primo fu San Frumenzio, l’evangelizzatore dell’Etiopia, nominato da Atanasio nella prima metà del 4° secolo.
La sede tradizionale dell’a. era Aksum, l’antica capitale imperiale; nel periodo di vacanza del potere imperiale che durò fino alla nomina di Teodoro l’a. spesso si trovava presso la corte di qualche signore locale.
Nel 1881 l’imperatore Giovanni riuscì a ottenere dall’Egitto quattro vescovi: l’a. Pietro, come metropolita, coadiuvato da Luca nel Goggiam, Marco nel Begemeder e nel Semien, e Matteo nello Scioa. Dopo la nomina i Menelick a imperatore, Marco divenne metropolita.
Durante l’occupazione italiana vi fu un tentativo di creare una chiesa nazionale, staccata al patriarcato di Alessandria d’Egitto; ma dopo la liberazione l’abuna Giovanni, nominato dagli italiani, fu deposto, e le sue ordinazioni sacerdotali furono dichiarate quasi tutte nulle dall’abuna Cirillo VI, che nel 1929 aveva consacrato imperatore Ras Tafari, e che l’amministrazione italiana aveva emarginato. Alla sua morte Basilio I fu il primo abuna legittimato a nominare vescovi locali.
3. Quando facevansi questi apparecchi, il signor De Jacobis trovavasi già da due anni in Abissinia, senza nulla o quasi nulla poter fare di ciò che il suo zelo apostolico ardentemente desiderava. Egli avea preso il metodo di passare i giorni a pregare nelle chiese, come i monaci più venerati del paese, benchè con altro spirito ed anche con altre mire. Pago di parlare di religione a quelli, che gli si avvicinavano, a poco a poco si aveva guadagnato la stima e la venerazione degli indigeni; e lo stesso Degiace Ubiè era compreso di ammirazione per la sua modestia ed affabilità. Vedendo pertanto qualche cosa di meglio in lui, che in tutti i suoi preti e monaci, /64/ lo fece chiamare a sè, e gli propose di accompagnare la deputazione abissina al Cairo. De Jacobis comprese subito tutta la scabrosità di questo passo, anche solo in faccia ai cattolici, onde, senza ricusarsi assolutamente, appose una condizione, che fedelmente mantenuta, avrebbe procurata la felicità dell’Abissinia; la condizione era questa: di portare la spedizione a Roma, e domandare là il nuovo Vescovo. Ubiè, non osando e non potendo arbitrare da sè solo, interrogò in proposito tutti gli altri Principi; e quasi tutti avendo risposto affermativamente, De Jacobis si mise alla testa della spedizione.
4. È difficile descrivere le pene e i disagi di ogni maniera tollerati dal sant’uomo in quei tre mesi di viaggio fino al Cairo, per cattivarsi quella comitiva, tanto ignorante e viziosa, quanto orgogliosa e impertinente. Io li seppi in parte, non da lui, ma dagli stessi membri della spedizione, dei quali molti poscia ne conobbi. Tuttavia, giunto in Egitto, egli possedeva la stima e l’affetto di tre quarti di essi. Ma il diavolo, che da tanti secoli padroneggiava l’Abissinia, vedendosela sfuggire al passaggio del Delta nella persona di quei rappresentanti, suscitò loro tante opposizioni da parte degli eretici copti, e degli stessi mussulmani, che quella deputazione fu obbligata contro sua voglia di presentarsi al Patriarca eretico, invece di tenere la via di Roma, come avea promesso. Vedendosi il De Jacobis tradito in questa maniera, si ritirò nella casa della sua Congregazione, spiando da lungi l’esito di quelle diaboliche arti, e pregando Dio di volgerle a bene. E qualche bene pure si ottenne.
5. All’eretica perfidia copta e mussulmana in questo affare, se ne aggiunse un’altra ben peggiore. Lo scapestrato Andrea, poc’anzi accennato, e che ancora non toccava i venti anni, ebbe l’ambizione di divenir lui Vescovo d’Abissinia: e conoscendo i miracoli dell’oro tra gli eretici, e l’abbondanza di questo tra i protestanti, talmente si adoperò presso questi ultimi, promettendo loro di rendere protestante l’Abissinia, che essi, con una mancia di tremila scudi al Patriarca, ottennero che fosse eletto Vescovo dell’Abissinia. Conseguito l’intento, prese temerariamente il nome di Salàma II, perocchè Salàma I era stato S. Fremenzio, per rispetto del quale nessun Vescovo in Abissinia aveva mai più osato prendere un tal nome. E qui non gridino i protestanti alla calunnia ed all’esagerazione; ciò che dico lo so da quelli stessi che vi ebbero parte. Né mi si opponga il miracolo della trina uscita del nome di Andrea dall’urna; dappoichè posto esso solo triplicato nell’urna, sarebbe stato miracolo se fosse uscito un altro nome! Del resto i protestanti stessi non ebbero guari a gloriarsi del loro candidato, e potevano prevederlo....
Quello che il Massaja chiama Salama II (e noi continueremo ad usare questa numerazione) dovette essere in realtà il terzo di questo nome.
Come dice il Massaja, il nome Salama “Padre della Pace” fu attribuito per la prima volta a San Frumenzio, l’evangelizatore dell’Etiopia (IV sec.).
Secondo gli storici contemporanei, nel XIV secolo, nell’ambito della grande riforma promossa dai re dello Scioha, il nome fu attribuito al patriarca che riformò la religione etiopica e curò nuove traduzioni della Bibbia in lingua ge’ez (“Salama il Traduttore”). Per questo suo ruolo di rifondatore nelle età successive si finì con confonderlo con il primo Salama, Frumenzio.
Abuna Salama
(
አቡነ ሰላማ
)
III (per noi: II) nacque al Cairo verso il 1818, fu battezzato col nome di Indriyas e fu messo a capo della chiesa etiopica nel 1841. All’inizio appoggiò Ubiè, dal 1854 ebbe il sostegno di Kassa Hailu, che l’anno successi lui stesso incoronò Imperatore col nome di Teodoro II. Col tempo però i rapporti fra Salama e Teodoro peggiorarono; l’abuna fu imprigionato nel 1864, e morì nella fortezza di Magdala nel 1867.
/65/ 6. Eletto il nuovo Vescovo, la deputazione fu obbligata di visitarlo e riconoscerlo. Alcuni di essa, saputo ch’egli era un uomo senza fede e senza costumi, non volevano neppur vederlo: ma il Patriarca ve li costrinse minacciando la forza del Governo. E ciò valse a farlo meglio conoscere: poichè, presentatisi, domandò loro fra le altre cose, se in Abissinia si venerava la Madonna. — E chi non venera la Madonna? risposero. — Ed egli — Queste sono anticaglie, che poco per volta spariranno. — Tali parole, unite alle precedenti informazioni, che di lui avevano avute, talmente disgustarono gli Abissini, che, ad eccezione di quattro o cinque, tutti protestarono di non riconoscere questa elezione del giovine Vescovo. Si presentarono quindi (troppo tardi) al signor De Jacobis, rimettendosi a lui, e dichiarando di non volerne più sapere di Copti. Allora egli per metterli al riparo dalle violenze dei Copti e del Governo, li portò al Console francese, col quale si combinò di mandarli in Alessandria. Intanto ne nacque una questione, alla quale presero parte anche i Consoli di altre Potenze: ma tutto finì col consigliare a De Jacobis di condurre quella gente a Roma, secondo il primitivo accordo. Sul trionfo dell’iniquità però silenzio assoluto! Ma questo trionfo costò poscia assai caro all’Inghilterra, come vedremo. Le accoglienze poi che si ebbero a Napoli, e molto più a Roma i deputati abissini, e la professione cat- /66/ tolica che vi fecero quasi tutti, son così note in Europa, che io posso dispensarmi dal parlarne.
La spedizione abissina, accompagnata dal De Jacobis, arrivò a Napoli il 12 agosto 1841, di lì si recò a Roma dove fu ricevuta da Gregorio XVI. Tornò a Napoli, dove fu ricevuta da Re Ferdinando, quindi si recò in Terra Santa.
Della spedizione faceva parte Abba Ghebra Michael
ገብረ
ሚካኤል
Gäbrä Mikaʾel (1791-1855), il quale, sulla via del ritorno, tentò di accordarsi con il patriarca di Alessandria per una professione di fede che rispettasse le diverse tendenze religiose presenti in Abissinia. Ma Salama, seguace del monofitismo radicale, non l’accettò.
Nel 1844 G.M. si convertì al cattolicesimo, e cominciò un intenso apostolato. Nel 1850 fu imprigionato per tre mesi da Ubiè, il quale poi lo liberò per le pressioni del De Jacobis. Il De Jacobis stesso lo consacrò sacerdote nel 1851. Nel 1854 fu arrestato dagli uomini di Teodoro; dopo mesi di percosse e torture, morì nel 1855. Nel 1926 fu proclamato santo da Pio XI.
7. Mentre i Consoli discutevano, il Patriarca copto, d’accordo col Governo fece subito partire per l’Abissinia il nuovo Vescovo coi pochi deputati suoi partigiani, e così si ebbe per finita la questione. Finita però per i politici, ma non per gli eretici; i quali dall’accaduto presero motivo di malignare contro le Missioni cattoliche, e far segno del loro odio De Jacobis e coloro, che lo avevano seguito. E di fatto, quando i deputati, che eransi recati a Roma, fecero ritorno in Abissinia, furono tosto presi di mira da Salàma e ferocemente perseguitati. Uno fra gli altri, per nome Abba Ghebra Michele, si può tenere per vero Martire; poichè morì sotto la sferza dei servi di Salàma, inflittagli per ordine del furibondo padrone. Questi intanto, arrivato in Abissinia parecchi mesi prima del ritorno di De Jacobis, andò di volo all’antica metropoli di Gondar, per prendere possesso della casa e del patrimonio vescovile. Giovane imprudente e sfrenato, ebbe quivi intrighi in Corte, e si rese causa di varie brutte cose, per le quali un giorno venne anche a diverbio con la madre di Râs Aly (1); ed in breve diede tali saggi di empietà e scostumatezza, che in capo ad un anno, o poco più: popoli e sacerdoti (tutt’altro che scrupolosi in materia di fede e di costumi) dall’alta Abissinia sino allo Scioa, si ribellarono contro di lui, gridandone l’espulsione. Di modo che Râs Aly, per ristabilire la pace nel paese, dovette con la forza farlo partire pel Tigrè. Ed egli, per vendicarsene, gli suscitò contro ripetute guerre da parte del Re Ubiè. Stette intanto nel Tigrè fino al regno di Teodoro, il quale per sue mire particolari lo fece ritornare in Gondar, tenendolo quasi sempre al suo campo; finchè nel 1863, stanco anch’egli delle sue ribalderie, lo confinò nella fortezza di Magdala, dove rimase quattro anni, e dove mori avvelenato nel 1867.
Gondar
ጎንደር
Gondär era la vecchia capitale imperiale dell’Etiopia e della provincia storica del Begemeder, attualmente parte della regione di Amhara.
Venne fondata dall’Imperatore Fasilidas attorno all’anno 1635.
Nel 1668, in seguito a un concilio della chiesa locale, l’Imperatore Giovanni I ordinò che gli abitanti di G. fossero divisi per religione, e che i Mussulmani si spostassero in un quartiere apposito, detto Eslam Bet.
La città mantenne il ruolo di capitale dell’Etiopia fino al regno di Teodoro II, che spostò la capitale imperiale a Magadala. (Wikipedia)
Râs Aly አሊ አሉላ Ali Alula 1818 - 1866 fu l’ultimo capo della stirpe Oromo degli Yäǧǧu Wärräsek che regnò durante l’era dei principi (zämänä mäsafənt). La base del suo potere era Devra Tabor nel Beghemeder. Cercò di governare con equilibrio, salvando il più possibile l’unità dell’Abissinia, ma non riuscì mai ad avere ragione delle ambizioni dei capi locali. Nel 1853 fu sconfitto da Râs Kassa, il futuro Teodoro, nella battaglia di Ayšal; R.A. fuggì presso la sua tribù natale, dove visse dimenticato fino al 1866.
Durante il regno di R.A., ebbe un ruolo di primo piano la madre, Ozoro Menèn,
መነን
ሊበን
አመዴ
Mänän Libän Amäde che aveva un’enorme influenza sugli affari di stato, e in un certo senso si comportava come una vera sovrana, insieme con i fratelli Bescìr Bäšir e Amäde. Mussulmana di formazione, si fece battezzare dopo la morte del padre e subito prima del matrimonio con Alula padre di R.A. Ebbe altri due divorzi, dopo di che sposò un certo Yohannes, discendente della dinastia salomonica, che riuscì a far riconoscere come legittimo imperatore col nome di Yohannes III; ma si trattava di un titolo puramente formale.
O.M. era profondamente convinta della necessità di fondare la monarchia etiopica sulla religione. Fece restaurare l’antica chiesa di Ḥamärä Noḫ a Gondar, e la dotò di due altari, dedicati alle due correnti principali del cristianesimo etiope. Quando l’abuna Salâma scomunicò l’eccecchè Maḫṣäntu, seguace della dottrina Ṣägga, e tutta la regione dello Scioa per averlo appoggiato, R.A. e O.M. su richiesa di Sala Sellase lo fecero espellere da Gondar.
O.M. cercò inutilmente di contenere le ambizioni di Ras Kassà, facendogli anche sposare una sua nipote.
Negli ultimi anni della sua vita O.M. ebbe contatti con diversi viaggiatori europei, che rimasero impressionati dalla sua personalità.
Magdala መቅደላ Mäqdäla città-fortezza nota anche come Amba Mariam አምባ ማርያም . Fondata dagli Oromo Wollo, nel 1855 fu conquistata da Teodoro II, che nel 1867 vi tenne prigionieri numerosi diplomatici britannici. Una spedizione inglese guidata da Sir Robert Napier attaccò Teodoro, che sconfitto si rinchiuse nella frotezza e si suicidò. Pochi giorni dopo gli inglesi saccheggiarono e distrussero la città comprese le chiese.
8. Quando noi arrivammo a Gualà, posta nella provincia dell’Agamièn, sul principio di Dicembre, ferveva già da un mese una delle suddette guerre, suscitate da Abba Salàma. Degiace Ubiè, Re del Tigrè e del Semièn, sulla fine di Ottobre passò con tutto l’esercito, che teneva in campo, il fiume Takkazè, e montò il Semièn dove l’attendeva l’altro suo esercito reclutato nel Semièn e nel Volkaìt. Râs Aly intanto, vero capo di tutta l’Abissinia dopo la caduta dell’impero, venuto da Devra-Tàbor con tutto il suo esercito del centro, lo stava aspettando in Waggarà. E lì si accese un’accanita guerra, che durò con varia fortuna dal mese di Novembre fin dopo Pasqua.
Il Takkazè
ተከዜ
Täkkäze è uno dei principali fiumi dell’Etiopia. Nasce nei pressi di Lalibäla, scorre verso nord, a una cinquantina di km da Aksum volta verso ovest. Per un centinaio di km segna il confine con l’Eritrea, entrato nel Sudan confluisce nell’Atbara.
Per gran parte del suo corso il T. scorre in un profondissimo canyon scavato nella roccia; per questo, è sempre stato un importante confine anche dal punto di vista politico. Il T. era il limite meridionale del regno di Aksum; in seguito, fu il limite settentrionale dell’espansione Amhara.
Semièn
ስሜን
Səmen regione storica dell’Etiopia, delimitata a nord e a est dal fiume Takkazè; ora inclusa nella regione Amhara. Verso sud e verso ovest i confini della regione sono stati storicamente piuttosto variabili, a volte comprendendo la città di Gondar.
Il S. caratterizzata da alte montagne, e dal 1959 vi è istituito un Parco Nazionale.
Anticamente il S. era il centro del gruppo etnico-religioso
ቤተ
እስራኤል
Betä Ǝsraʾel o
ፈላሻ
Fälaša. Il gruppo, originariamente maggioritario, poco per volta ha subito l’erosione da parte delle comunità ortodosse e mussulmane, fino a ridursi ad una piccola minoranza, e dalla metà degli anni ’80 del secolo scorso una gran parte di loro sono emigrati in Israele.
Volkaìt ወልቃይት Wälqayt, a sud del fiume Takkazè, tra il Semièn e il Sudan. A Qafta vi era un mercato sulla via del Sudan.
Waggarà ወገራ Wägära distretto a nord del lago Tana e a sud-ovest del Semièn; è ancora oggi difficilmente raggiungibile per mancanza di adeguate vie di comunicazione.
/67/ Noi avevamo stabilito che, dopo un breve riposo in Gualà, la maggior parte dei Missionari partisse per la loro destinazione, ed io rimanessi in Tigrè con un compagno per eseguire gli ordini di Propaganda. Ma a cagione della guerra essendo chiuse tutte le strade dal Nord al Sud dell’Abissinia, la nostra Missione non poteva avanzarsi verso i paesi galla, dove eravamo diretti, e quindi ci fu forza di rimanere lì.
9. Laonde dissi ai miei compagni che, non potendo continuare il viaggio, era tempo di pensare alla nostra proposta fatta in Massauah, cioè, a fare i spirituali e santi Esercizj. Ci presentammo perciò tutti uniti al signor De Jacobis, e lo pregammo di predicarci almeno due volte al giorno, e fissarci il metodo da tenere e la lettura da fare. Egli, benchè occupatissimo, tuttavia, dopo alcune difficoltà opposte dalla sua umiltà, accondiscese: e, presi due giorni di riposo, si diede subito principio.
esercizi spirituali dettati da Dejacobis 21.12.1846-1.1.1847 A.Rosso Dopo trentacinque anni d’intervallo potrei riferire in gran parte i sermoni allora uditi, tanto fu l’impressione che fece in me, ed anche negli altri la sua parola. Ma già l’impressione incominciò sin dal primo giorno che il conoscemmo in Massauah. Vedere quell’uomo sempre grave e piacevole ad un tempo, nel vitto parco e semplicissimo , nel vestito modesto e disadorno, nelle maniere cortese e caritatevole, nel discorso sempre sollecito a dire qualche parola di salute; inseparabile dai suoi allievi, con cui trattava talora come un padre, e talora colla familiarità di un fratello, sempre con essi nelle faccende, nel lavoro, nelle refezioni e nelle preghiere: vederlo celebrare la Messa come un estatico, assistere alle comuni orazioni con un raccoglimento ed una pietà angelica, menare insomma una vita che sposava la ritiratezza dell’anacoreta, con lo zelo apostolico del Missionario, lascio considerare se un tal uomo non dovesse per noi essere una predica vivente. Quando poi cominciò quella predicazione, benchè volesse parlare familiarmente, sin dal principio si elevò tanto, che sembrava come uomo che cammini senza toccare la terra; e mentre pareva alieno di ogni uso dell’arte, rapiva ad ogni parola i nostri cuori, e li guidava come api di fiore in fiore a caricarci di miele. Bastò il primo discorso per impadronirsi di noi; e sentitone uno, sospiravamo il momento di sentire l’altro. L’ammirabile poi era che, partito da noi, passava la giornata fra le più svariate occupazioni, ora in mezzo alla sua famiglia, che poteva chiamarsi un popolo, ora con gl’indigeni, ora coi poveri, ora coi ragazzi; un po’ a far la scuola, un po’ il catechismo, un po’ a dare le istruzioni agli Ordinandi, un po’ ad attendere all’amministrazione della casa; e mettendo da parte tutte queste cure, veniva da noi tranquillo e /68/ raccolto, come se avesse passato l’intiera giornata a studiare quello che doveva dirci.
10. Terminati i dieci giorni dei santi Esercizj, che a noi sembrarono un giorno solo, si parlò dell’Ordinazione da dare ad alcuni giovani. Io da Roma aveva ricevuto tutte le facoltà di esercitare il pastorale ministero anche in Abissinia; ma erami stato ingiunto di dare le Ordinazioni in rito latino con la condizione però che gli Ordinati restassero nel rito etiopico. Rispetto poi al merito delle persone, non conoscendo ancora la lingua indigena, né l’abilità di ciascun giovane, necessariamente doveva rimettermi al giudizio del signor De Jacobis; ed egli era tale da poter rendere la mia coscienza più che sicura. Si stabilì pertanto che prima si sarebbero conferiti gli Ordini agli alunni della casa, e dopo a quei di fuori. Me ne presentò quindici, e mi descrisse presso a poco il merito e l’abilità di ciascuno: dieci di essi erano destinati al sacerdozio, e i rimanenti agli Ordini inferiori.
ordinazioni segrete: 13.1.1847 - 21.3.1847 A.Rosso 11. Intanto fummo costretti tener segretamente queste Ordinazioni, e per tre ragioni. Primo, perché una parte di quei giovani essendo stati ordinati nell’eresia dal Vescovo copto Abba Salàma, Ordinazione, s’intende invalida, come invalida era stata la sua consacrazione: conveniva tener segreta l’Ordinazione data da noi, per non urtare l’amor proprio del Vescovo eretico e dei suoi partigiani, allora potenti, e per non suscitare sin dal principio pericolose questioni. Secondo, perché io non era Vescovo chiamato dal Governo, e neanche da lui approvato; e secondo le leggi del paese, un Vescovo forestiero, venuto senza permesso, e che esercitava funzioni vescovili, poteva essere condannato a pene gravi, ed anche alla morte. Terzo, per non conturbare la buona fede del popolo di Gualà, il quale, dichiaratosi tutto cattolico insieme col suo clero; addetto alla chiesa di S. Giovanni, continuava ad assistere alle funzioni dei loro preti, credendoli validamente ordinati. E noi per mancanza di sacerdoti, eravamo costretti a tollerare provvisoriamente quest’abuso, e lasciarli nella loro buona fede ancora altro tempo, per non perdere il bene che si era fatto, e la speranza di farne più in avvenire. La chiesa di S. Giovanni era ufficiata da un certo D. Gabriele, alunno di Propaganda, e questi, celebrando la Messa in rito etiopico, aveva bisogno di essere sempre assistito da quattro ministri, cioè da due sacerdoti e da due diaconi, richiedendo così la liturgia di quel rito. Or non trovandosi in Gualà altri ministri validamente ordinati, era costretto a servirsi di quel clero convertito sino a tanto che la Provvidenza non avesse provveduto a quel /69/ bisogno. Noi comprendevamo l’irregolarità di questa pratica: ma nell’apostolato fra gli eretici ed infedeli la necessità e la prudenza talora impongono cose che non si dovrebbero fare, segnatamente quando non toccano punti essenziali di fede o di disciplina: e ciò per non perdere il frutto delle apostoliche fatiche, e per evitare ingiuste persecuzioni. Degiace Ubiè amava bensì la Missione cattolica: ma fa d’uopo considerare che colà, più che altrove, la forza del Re viene dal popolo, e quando questo si ribella, principalmente per fanatismo religioso, costringe talvolta il Re a fare ciò che non vorrebbe.
L’affezione dei Re Ubiè era sincera, ed appunto per questo Monsignore Dejacobis si lasciò vincere, per fare un passo troppo avanzato. Certo che, se io allora avessi conosciuto ciò che conosco attualmente, avrei preso altre misure, e precauzioni. Lo stesso Dejacobis, in quei momento non poteva ancora avere tutte le istruzioni, che ha poi aquistato in seguito; in certe sue lettere [inviatemi] posteriormente, egli stesso me lo confessò. Memorie Vol. 1° Cap. 7 nota 3a a p. 55
12. Ma dove fare la funzione di quelle Ordinazioni? La chiesa di S. Giovanni se ci faceva comodo per tenere il segreto, non si prestava per nulla alla cerimonia della sacra Ordinazione; poichè, consistendo in un quadrato con dentro un recinto rotondo pel Sancta Sanctorum, e l’altare inalzandosi in mezzo di questo recinto, non potevano innanzi ad esso porsi tutti gli Ordinandi senza confusione. Il signor De Jacobis aveva eretta nell’interno di sua casa una cappella privata, ma sì grande, da contenere la sua numerosa famiglia di cinquanta e più persone. In essa celebravano i sacerdoti latini segretamente, perché ad alcuni indigeni il rito latino pareva una cosa strana, ed avrebbe potuto esser motivo di /70/ ammirazione ed anche di scandalo (1). In questa cappella adunque si tennero le nostre Ordinazioni. Nella prima conferii gl’Ordini minori a tutti i quindici, che mi furono presentati. Dieci giorni dopo tenni nuova Ordinazione solenne con pontificale, ed ordinai dieci suddiaconi. Nella terza, parimente solenne, dieci diaconi e due altri minoristi. Nella quarta finalmente dieci sacerdoti. Ma per tener questa Ordinazione bisognò prender tempo: poichè dovendo i nuovi Ordinati celebrare col Vescovo, fu necessario molto esercizio per avvezzarli a pronunziare le parole latine col Vescovo ordinante. Indi soprassedemmo e ci demmo a prepararne altri.
Giunti in Gualà piccolo paese vicino Adgrad Prov.[inci]a dell’Agamien, luoguo si può dire centrale della Missione, quivi trovammo una famiglia di circa cinquanta persone, delle quali una metà sono giovani per l’educazione e studio – L’altra metà persone di servizio, o preti e Monaci convertiti, e rifuggiatosi presso il Signor De-Jacobis che fa la figura di un padre di famiglia il più amato, e venerato – quindi abbiamo trovato una casa simile ad un picolo convento d’Europa, bensì fabricata poveramente secondo l’arte del paese, ma sufficientemente commoda per la famiglia; e quello che più mi piaque, trovai due, o tre stanze in piena libertà per me, e per i miei compagni, unitamente ad una picola Cappella di rito latino sufficientemente grande, che attualmente ci serve per Cattedrale – I Giovani hanno la scuola di canto, di lingua Ghez, ed Amara, di Teologia elementare, di Morale, ed anche di lingua Italiana quando vi si trovano ad insegnarla i Padri Missionarj Europei, i quali sono obligati trovarsi bensoventi in giro a visitare i fedeli sparsi di qua, e di là, oppure per incominciare qualche cosa di nuovo in alcuni luoghi particolari... Lettere vol. I n. 60, Al Cardinale Giacomo Filippo Fransoni, Gualà 10 febbraio 1847
Qui vi è un movimento fortissimo per il Cattolicismo: paesi intieri si dichiarano cattolici spontaneamente – in un mese ne ho veduto tre – e moltissimi sono in via – Ho già ordinato undeci Sacerdoti parte già preti invalidamente ordinati dal Vescovo eretico, e parte allievi di questo collegio dei Lazzaristi – molti sono in via di Ordini inferiori, e molti in via d’istruzione, per l’istesso oggetto – [...] La funzione presenta tutta la semplicità, ed il fervore dei primi tempi della Chiesa, unitamente a tutta la gravita e maestà dei nostri – Gli ordinandi si presentano alla funzione coi piedi nudi, e vestiti di semplice camicia, e vengono storditi e fuori di se nel vedere una Cappella con tappeti all’Europea cosa affatto nuova per loro, quindi la maestà della funzione pontificale che si suol fare con tutto il decoro possibile onde imporre alla fantasia dei poveri neofiti... Lettere vol. I n. 59, Al Barone Antonio de Jessé, Gualà 8 febbraio 1847
gennaio - marzo 1847 A.Rosso 13. A qualche ora di distanza al Sud di Gualà si trovava il paese di Bièra, la cui popolazione era disposta ad entrare nella Chiesa cattolica con tutto il suo clero: ma il Prefetto non aveva potuto appagare i loro desiderj, perché quei preti, abbracciata la fede cattolica, non avrebbero potuto celebrare più la S. Messa, ed egli non aveva sacerdoti cattolici da mandarvi. Giunti noi, il signor De Jacobis si portò colà con due preti novellamente ordinati, e dopo quindici giorni di apostolato fra quei neofiti, lasciati lì i due sacerdoti, portò in Gualà tutto quel clero per essere da me ordinato in regola. Così si fecero altre quattro funzioni, ed in un mese tutto fu finito.
Bièra: località non identificata; compare solo nella mappa del Cozzani (v. cap. 7), che qui non sembra molto precisa
14. Si avvicinava la Pasqua, e vi erano due altre chiese, che bisognava provvedere di sacerdoti. Una era quella di Alitièna, due giorni al Nord di Gualà, e da poco convertita dal paganesimo. In questo paese non vi erano preti, e quindi neppur chiesa: ma quel buon popolo, sulla speranza di averne per l’avvenire, ne avea fabbricato una con casa annessa. Il De Jacobis adunque vi andò con quattro sacerdoti dei nuovi ordinati, per celebrarvi solennemente la Pasqua secondo il rito abissino: che prima più volte egli vi aveva celebrato in rito latino. Il De Jacobis amava con particolarità Alitièna; perché, come paese pagano, era meno infestato dei vizj degli eretici, e non sì facile a lasciarsi sedurre dalle loro mene; e perché, posto quasi totalmente fuori dei confini dell’Abissinia, in caso di persecuzione sarebbe stato un luogo di rifugio per sè e pel suo clero (2).
Alitièna ዓሊቴና ʿAlitena città dell’Agamien, a nord di Aldegràd. Abitata prevalentemente da Irobo, è stata a lungo un centro di diffusione del cattolicesimo.
/71/ 15. L’altra chiesa da provvedere era quella del monastero di Gonda-gondi, uno dei più antichi dell’Abissinia, e nel quale mantenevasi ancora un po’ di regolarità e forma di ritiro monacale. Esso era distante da Gualà circa un giorno. L’Abbate era già cattolico segretamente, come cattolici erano eziandio alcuni altri monaci. All’occasione del nostro arrivo si era manifestata una certa propensione verso la fede cattolica tanto nel monastero quanto nella popolazione, che da esso dipendeva. Perciò fu pregato il De Jacobis di andarvi per vedere se si potesse ottenere qualche cosa di bene. Ed egli, appena ritornato da Alitièna, vi si portò con alcuni preti indigeni, vi si fermò dieci giorni, e poscia, lasciatovi qualche nostro prete, se ne ritornò in Gualà per occuparsi particolarmente della Chiesa di S. Giovanni.
Gonda-Gondi
ጉንደ
ጉንዴ
Gundä Gunde, noto anche come
ደብራ
ጋርዜን
Däbrä Garzen, nel Tigrè, ca 30 km ad est di Adigrat.
Fu la sede originaria dei cosiddetti Stefaniti, che predicavano un ascetismo rigoroso e la separazione dal potere politico. Per questo subì persecuzioni tra il XV e il XVI secolo. In seguito decadde, anche a causa della pressione degli Oromo e dei Musulmani. Nel XIX secolo la protezione dei governanti del Tigrè non riuscì a farlo rifiorire, ed oggi è quasi abbandonato.
16. Vista pertanto l’impossibilità di poterci inoltrare verso il Sud, a causa della guerra che vi si combatteva, ci venne in pensiero di procurarci qualche giovane galla per istruirlo, e nel tempo stesso per esercitar noi stessi nella lingua di quella regione. Accadde appunto al principio della Quaresima che passasse per Aldegràd, capoluogo dell’Agamièn, e non molto distante da noi, una carovana di mercanti di schiavi, provenienti dai paesi del Sud. febbraio 1847 A.Rosso Spedimmo tosto una persona per avvisarli che volevamo parlar loro, e subito venne uno con alcuni giovanetti galla: e con l’assistenza del De Jacobis e di D. Gabriele, i quali meglio di noi conoscevano questa specie di negozio, ne comprammo due, l’uno di circa dodici anni, e l’altro tra gli otto ed i nove. Istruitili nel corso della Quaresima, a Pasqua furono battezzati con pompa e solennità, il più grande col nome di Pietro, ed il più piccolo con quello di Paolo. Il primo più tardi andò al servizio di un Europeo, mantenendosi sempre costante nella fede; l’altro, portato in Aden nel tempo della persecuzione, si conservò sempre buono, e poi, venuto con noi nell’interno, fu ordinato prete in Kaffa nel 1860 A.Rosso 1861, ed oggi è uno zelante Missionario dello Scioa.
Aldegràd አዲግራት Addigrat città dell’Agamièn tigr. ዓጋመ ʿAgamä. Ebbe particolare importanza durante il governo di degiasmac Sabagadis (1822-30), che la scelse come sua capitale. In seguito fu uno dei principali centri missionari lazzaristi. Oggi è la capitale della regione eritrea dell’Est Tigray.
Questo prete Paolo ጳውሎስ P̣awlos nel 1883 in Ghera aiutò Augusto Franzoj a identificare e recuperare la salma di Giovanni Chiarini (1849-1879). Vedi cap. 8 n. 1a
17. Prolungandosi la guerra, e tardando il Re Ubiè a ritornare, insorsero nel regno torbidi gravissimi. Alcuni figli di Degiace Sabagadìs, che era stato Re del Tigrè prima di Ubiè, scorazzavano il paese con qualche centinajo di soldati per ciascuno, rubando e saccheggiando senza ritegno. Aragaui, il più giovane di essi, girava la provincia dell’Agamien, dove ci trovavamo noi; ed avvicinandosi ad Aldegràd, città natale di suo padre, anche Gualà stava in grande trepidazione. Temendo pertanto una sorpresa, il signor De Jacobis pensò di mettere in salvo il nostro bagaglio, e le cose più interessanti di sua casa, trafugando tutto in una grotta di montagna, /72/ appartenente ai parenti dei nostri preti. Era questo un luogo abbastanza sicuro, perché molto scosceso e difficile a salirvi, e facile poi ad esser guardato da poche persone. Ivi pure fece portare alcune provviste da bocca pel caso che avesse dovuto servire di rifugio anche a noi.
Aragaui
አረጋዊ
Arägawi figlio di Sabagadis tentò di riconquistare il Tigrè, ma riuscì solo a raggiungere una posizione di preminenza nell’Agamien.
Ostile inizialmente ai missionari cattolici, in seguito ebbe relazioni amichevoli con loro e con il console francese a Massauah.
13.5.1847; altre incursioni: 27.6.1847; 13.7.1847 A.Rosso 18. Di fatto la vigilia dell’Ascensione, verso sera, fummo avvisati che Aragaui si avanzava per assalirci. Celebrammo la Messa di bonissima ora, e, preso un po’ di caffè, prima di spuntare il sole, ci avviammo alla grotta. Il difficile era di potervi salire. Gl’indigeni, avvezzi, vi si arrampicavano con la massima speditezza: ma per giungervi noi, fu necessario tirarci con corde. Giunti là, ci credemmo sicuri. Il signor De Jacobis non volle seguirci, ma con alcuni indigeni restò in Gualà per custodire la casa. Ed ecco che circa le otto del mattino essa era già circondata dai soldati. E poichè quasi tutti gli abitanti del paese erano parenti ed amici di Araguai e della gente del suo seguito, fu facile trattenerli e venire ad un accomodamento. Aragaui protestava di non voler toccare il Prefetto, né la sua casa, cercava solo i forestieri. Il che fece sospettare, ed alcuni già lo dicevano apertamente, che fosse stato mandato dal Vescovo eretico Abba Salàma. Comunque fosse, due giorni dopo se ne partì, e non so se il De Jacobis gli avesse regalato qualche cosa. Questo Aragaui si converti poscia al catolicismo, fu carcerato per la fede, e morì da fervente cattolico nel 1860.
19. Passato questo pericolo, il nostro bagaglio fu lasciato sempre nella grotta, guardato da persone fide: noi però potemmo discendere, e starcene a casa tranquilli come prima. Frattanto cominciavano a farsi sentire notizie di tregua fra i belligeranti, e si annunziava prossima la loro pace. Queste voci andavano rimettendo un po’ di calma nel paese; ed a mano a mano ch’essi si facevano più certe, i figli di Sabagadis si ritiravano, e licenziavano i loro soldati. Verso la fine di Giugno ricevemmo la notizia che Antonio D’Abbadie era in viaggio per Adua; il che molto ci consolò, poichè speravamo avere da lui più esatte informazioni rispetto alla Missione, che ci era stata affidata, ed anche qualche raccomandazione a nostro favore. Nel medesimo tempo l’Agente Consolare Degoutin, ritornato dall’Egitto, ci scrisse e ci mandò molte lettere spedite a noi dall’Europa, le quali ci recavano notizie un po’ tristi ed un po’ allegre principalmente rispetto a Pio IX, che, levato a cielo in sul principio dai così detti liberali veniva poscia fatto segno con nera ingratitudine ai loro biechi raggiri ed alle loro minacce.
Adua ዓድዋ ʿAduwa città storica del Tigrè, in origine probabilmente un centro carovaniero. Nel 1561 i gesuiti stabilirono la loro base nella vicina località di ፍሬሞና Fəremona. Nel corso del XVII e XVIII secolo l’importanza, anche politica, della città, crebbe. A. fu per alcuni anni sede della corte di Giovanni IV. Nel marzo del 1896 si svolse la Battaglia di A., con esito disastroso per gli Italiani; dopo l’occupazione italiana la città fu, quasi come reazione, del tutto trascurata dall’amministrazione coloniale. La città ha riacquistato importanza sotto la nuova amministrazione eritrea.
20. Profittando di quei giorni di tregua, e della calma che era ritornata /73/ nel paese, il signor De Jacobis, sempre sollecito nel suo ministero, volle visitare la sua chiesa di Anticció, dove prosperava una piccola comunità di cristiani sotto la cura di un altro allievo di Propaganda, chiamato Abba Ualde Kiros. Quei buoni fedeli dimoravano tranquilli nel principato del signor Scimper, celebre naturalista del Baden, persona assai nota in Europa per i suoi viaggi ed esplorazioni fatti in Africa, e morto, se non erro, nel 1875 in Adua, nella terribile epidemia che distrusse mezzo Tigrè dopo la disfatta degli Egiziani.
Anticció እንቲጮ Ǝntič̣č̣o villaggio e provincia storica del Tigrè, ca. 40 km a NE di Adua.
Georg Heinrich Wilhelm Schimper (1804 Reichenschwand Baviera - Adua 1878), botanico e naturalista. Fece numerosi viaggi in Africa; per incarico di Ubiè fu governatore di Anticciò
እንቲጮ
Ǝntič̣č̣o.
Vedi → Gribaudi, Pionieri
pace tra Ras Aly e degiace Ubiè: luglio 1847 A.Rosso 21. Alla fine di Giugno fu conchiusa la pace fra Ubiè e Râs Aly, e, rese libere le vie, il signor d’Abbadie giunse in Adua sul principio di Luglio; riposatosi qualche giorno, mosse per Gualà, dove l’aspettavamo. Era già un anno che noi, usciti dai chiostri in conseguenza di una sua lettera, eravamo in viaggio, per la nostra destinazione, ed anche per ritrovare ed abbracciare colui, che era stato il promotore della nostra Missione. Finalmente questo momento, con tanto ardore sospirato, arrivò: e fu per noi il più bel giorno di nostra vita quello, in cui ci fu dato di stringere fra le nostre braccia quell’illustre e pio cattolico. Anche dopo trentacinque anni il mio cuore se ne commuove al solo ricordarlo. Restò otto giorni con noi, mettendoci a parte della sua dottrina e del suo zelo: e più sarebbe rimasto, se i suoi lavori scientifici non lo avessero chiamato in Adua (1).
È probabilmente in seguito a questi colloqui con il D’Abbadie, oltre alla lunga frequentazione con il De Jacobis, che il Massaja ha una più chiara informazione sulla distribuzione territoriale delle popolazioni galla, e sulla necessità di una difersa distinzione di competenza territoriale tra la missione abissina e quella galla.
L’Abissinia è una nazione che comprende in un certo senso quasi tutti i Galla cogniti, e visitati dai viaggiatori, come a vicenda il nome Galla è nome di nazione che si estende quasi a toccare il centro dell’Abissinia. Il solo regno di Soa, vero regno Abissinese, possiede i due terzi dei Galla conosciuti. Sotto nome di Galla indipendenti affatto dall’Abissinia, o dai regni di Abissinia cogniti dagli Europei, e visitati dal Sig.e d’Abbadie, verrebbero i soli paesi di Liban, Enerea, Caffa, e Goudrou, tutti insieme una piccola cosa. Abissinia qui vuol dire paese Cristiano, come Galla è sinonimo di paese infedele, o Mussulmano. Secondo il mio debole parere, questa pare che possa essere la divisione più conveniente alle due Missioni, o Vicariati. Chi lavora nel paese Cristiano, come paese eretico, e di diverso rito, deve fare uno studio tutto a parte, dovendo imparare questa lingua sacra, ed impadronirsi un tantino dei libri del paese per scoprire gli errori, e le piaghe da curare [...] Al contrario tra gli infedeli non vi è altro a fare che istruire i popoli nella Fede, e poi cercare di fare l’impianto di clero indigeno Latino, per cui sappiamo che le scuole sono affatto diverse. Una sola Missione che voglia abbracciare tutti due i riti è una complicazione troppo difficile. [...] Mi pare pertanto che sarebbe conveniente che le due Missioni fossero divise in questo senso. Missione Abissinese dalla parte dei Galla, cioè a Levante, e a Mezzogiorno, s’intende Missione Cristiano Etiopica; Missione Galla, s’intende tra gli infedeli non batezzati. [...] Seguitando questo piano io posso prendere gli Azzobou Galla, come vero paese Galla infedele, benché si estenda verso il centro dell’Abissinia, come questa Missione d’Abissinia può prendere tutta la Cristianità di Soa, e del Gogiam, che vanno quasi a toccare gli ultimi confini dei Galla conosciuti. [...] Lettere vol. I n. 74, Al cardinale Giacomo Filippo Fransoni, Gualà 19 settembre 1847
Azaboo tribù galla del ramo Baaretuu. Durante la grande migrazione del XVI si spostarono verso nord-est, collocandosi in una vasta area a nord dello Shoa e a est del Nilo Azzurro, infiltrandosi anche nel Tigré. Gli A. rifiutarono sempre di riconoscere l'autorità dei signori abissini, dai quali furono considerati come corpi estranei. Sotto Giovanni IV, Menelik, Zauditù, Hailé Sellassié e il Derg subirono dure repressioni.
incontro e colloqui con Antoine d’Abbadie: 1.8.1847 - 30.9.1847 A.Rosso 22. Avute da lui le informazioni necessarie, ed anche le raccomandazioni che desideravamo, i miei compagni volevano partire subito: ma altre difficoltà, più gravi ancora della guerra, mise loro dinanzi il signor D’Abbadie. Quelle, cioè, delle piogge equatoriali, le quali, imperversando da Luglio a tutto Settembre, ingrossano i torrenti, chiudono i passi dei fiumi, e rendono impossibile il viaggiare. In quel tempo, i poveri paesani appena possono recarsi ai vicini mercati per i loro più gravi bisogni ed /74/ urgenti affari. Io, come ho detto, doveva rimanere ancora nel Tigrè: ma i miei compagni, nulla avendo ivi da fare, erano impazienti di partire, e queste difficoltà li angustiavano.
23. Per isvincolarmi intanto dai lacci, che mi tenevano legato alla Missione Abissina, non vi era altro mezzo che quello di nominar Vescovo il signor De Jacobis. Appena lo conobbi, potei si dubitare della sua arrendevolezza ad accettare una tal dignità, principalmente per la sua grande modestia ed umiltà, ma non mai del suo merito e della sua abilità a sostenerla. Ne scrissi perciò più volte a Roma, mostrandone la necessità e la convenienza, e sollecitandola a prendere una pronta risoluzione. Ma sgraziatamente le comunicazioni fra quei paesi e l’Europa, essendo assai difficili e tarde, e Roma non usando mai precipitare in simili affari, ci toccò aspettare un po’ di tempo per avere una decisione.
24. In quei tre mesi d’inverno (inverno per l’Abissinia, poichè per l’Europa è piena estate) noi restammo fermi in Gualà, ma non oziosi. Il Prefetto andava apparecchiando giovani da ordinare, ed io, oltre ad ajutarlo, per quanto da me si poteva, amministrava Cresime ed Ordinazioni. Tutti poi ci occupavamo nello studio delle lingue abissina e galla, ambedue necessarie pel nostro apostolato, ma ambedue difficilissime; sì per la loro differenza dalle nostre, in quanto a pronunzia e struttura, sì ancora per la mancanza di ajuti grammaticali. Passati così quei tre lunghi mesi, e cessate le piogge, la popolazione cominciò a ripigliare le sue solite faccende, e noi a disporre le cose nostre per la partenza. Ma difficoltà più gravi vennero a sconcertare i nostri disegni.
[Nota a pag. 63]
(1) Degiace è storpiatura di Degiasmace, e significa etimologicamente custode della porta. Nell’uso ora equivale a Principe o Re. Si avverta che l’i e l’e dopo g e c non vanno pronunziati: ma sono posti (in difetto di altri segni nel nostro alfabeto) per rendere schiacciato il suono di queste due consonanti.
Degiace, degiasmace ደጅ አዝማች, ደጃዝማች däǧǧ azmač, däǧǧazmač, altra interpretazione “comandante della retroguardia”.
[Nota a pag. 66]
(1) Râs vuol dire capo, e si usa anche colà, come fra noi, tanto nel senso proprio quanto nel figurato.
Ras ራስ indica la carica più importante immediatamente dopo quella di negus.
[Note a pag. 70]
(1) Le funzioni del rito etiopico si fanno nel Sancta Sanctorum, il quale è un recinto chiuso, e con un altare di mezzo. Il popolo perciò non vede nulla, e nulla sa dì ciò che dentro si opera; vi si assiste solo di fuori col pensiero. [Torna al testo ↑]
(2) Di fatto il signor De Jacobis non si sbagliò nei suoi timori: poichè più tardi, suscitatasi la persecuzione, Gualà e Bièra ritornarono allo scisma; la chiesa di S. Giovanni fu ripresa dagli scismatici, cui aderì anche una parte del clero convertito: e quelli che si mantennero fedeli dovettero costruirsi una cappella secreta per celebrarvi la Messa. Bièra passò allo scisma interamente, cioè popolo, clero e chiese. Solite fasi delle conversioni generali, fatte più per fanatismo che per vero spirito religioso. Alitièna però si mantenne sempre costante e fedele. [Torna al testo ↑]
[Nota a pag. 73]
(1) I lavori del signor Antonio D’Abbadie versavano su due campi diversi. Il primo la geografia; e fornito com’era di vasta erudizione e degli stumenti opportuni, andava delineando carte geografiche esattissime di quei luoghi. Il secondo era la filologia e la storia etiopica; ed a questo scopo raccoglieva libri e manoscritti indigeni, pagandoli anche a gran prezzo. In Abissinia il signor Antonio avea seco un fratello chiamato Arnoldo, che lo ajutava nei suoi studj. Essi amavansi teneramente, e formavano un cuore ed un’anima sola: erano però di un’indole tutta diversa. Antonio di carattere severo e di più severa morale e d’illibati costumi, non viveva che per i suoi studj, e nient’altro l’allettava. Arnoldo per lo contrario era un uomo del bel mondo, gajo, socievole, e ben facilmente si adattava al modo di vivere del paese. Legato in amicizia con tutti i Grandi di quelle regioni, ottenne il titolo di Râs, e lo si chiamava Râs Michele; onde potè meglio con le sue aderenze ajutare il fratello nei suoi studj e nelle sue ricerche. Il signor Antonio ritornava in Adua per ordinare tutti i lavori, che aveva compiti, e spedirli poscia a Massauah, dove un altro suo fratello, di nome Carlo, venuto d’Europa, li attendeva per portarli in Francia. [Torna al testo ↑]