Libro dei Miracoli
di Santa Fede
Trad. Maurizio Pistone

Libro I

Latino →

30.

Uno che fu salvato dalla forca per l’intervento di Santa Fede

Fra le tante cose a proposito di Santa Fede che mi venivano raccontate da diversi relatori per rispondere alle mie insistenti richieste, quest’evento di cui sto per parlare, noto a tutto il popolo, risuonava di grandi e pubblici elogi. Poiché l’ho verificato per testimonianza certa da coloro che erano presenti, lo voglio tramandare alla memoria futura.

Un uomo nobilissimo, di nome Adimaro di Avallena1 – così viene chiamata una regione montuosa del Limosino – aveva fra i suoi numerosi dipendenti un vassallo2, che dopo avergli rubato alcuni cavalli era fuggito. Quando in seguito ebbe l’occasione di incontrarlo per caso, subito gli strappò gli occhi, ma poi lo lasciò andare libero.

Vi era però un altro che era legato da vincolo di amicizia al primo, e per quando non avesse partecipato al furto, il signore lo fece legare, come se fosse parimenti responsabile. Non gli giovò a nulla dichiararsi innocente e negare una qualunque partecipazione al furto; anzi, poiché chiedeva a gran voce la protezione di Santa Fede, il suo persecutore gli disse: Tutti i farabutti, una volta presi, non fanno altro che chiamare la protezione di Santa Fede. Ma non c’è niente da fare, questo tuo blaterare sarà punito. Lo portò quindi a casa sua legato sul cavallo, e lo affidò ai suoi aguzzini in un tenebroso carcere sotterraneo, per appenderlo il giorno dopo alle forche.

Che potea fare quel poveretto? Passò la notte angosciato in quel terrore di tenebre, senza dormire, pregando continuamente con tutte le parole che sapeva Dio e la sua Santa. Verso mezzanotte, gli sembrò di veder entrare dalla porta una fanciulla di ineffabile bellezza. All’inizio pensò che fosse una serva, se non per la luce da cui era circondata, anche se non portava né una candela, né altro tipo di lucerna. Quella figura gli si avvicinò e gli chiese per quale motivo fosse tenuto prigioniero, come se fosse ignara del fatto. Lui le raccontò tutto, poi le chiese chi fosse, e lei disse di essere Santa Fede. E tu non aver paura, aggiunse, e non cessare le tue preghiere, ma continua a ripetere il nome di Santa Fede. Domani subirai l’impiccagione che ti è stata minacciata. Ma come è vero che l’Onnipotente vive, così ti strapperà dalle fauci spalancate della morte. Dopo aver detto quelle e altre cose simili, quella potenza celeste svanì. Lui passò il resto della notte tremante per quella insolita visione ultraterrena, ma poiché aveva ricevuto la visita di una benefattrice, la sua mente non ne fu sconvolta.

Al mattino, fu tirato fuori e portato di fronte al tribunale3. Ma quanto più lui pronunciava il nome di Santa Fede, tanto più la mente malvagia lo spingeva verso il patibolo. Andarono dunque al luogo del supplizio. Il signore non si accontentò di ordinare ai suoi servi di eseguire il crimine, ma venne lui stesso, con gran seguito di cavalieri. Il condannato, mentre veniva portato lì legato, non cessava mai di ripetere il nome di Santa Fede, come gli era stato ordinato, anche se una mordacchia di legno gli soffocava le parole nella gola. Quindi lo lasciarono lì appeso.

Il signore e il suo seguito avevano già fatto un certo tratto di strada, quando si voltarono, e videro la forca vuota. Tornarono con gran fracasso, e appesero di nuovo su il condannato, dopo aver stretto ben bene il cappio. E di nuovo, mentre tornavano indietro, si girarono a guardare, e per la seconda volta videro che l’impiccato era scivolato per terra. Già alcuni cominciavano a dire che era un segno della potenza di Santa Fede, ma quella belva feroce con urla e minacce li fece tacere. E ancora una volta con lacci e nodi più stretti strozzò la gola del condannato, e rimase lì a guardare, finché gli sembrò strangolato senz’ombra di dubbio. Ma di nuovo, mentre scendevano la china del monte per andarsene, il signore non poté fare a meno di volgere indietro lo sguardo torvo. Ancora una volta vide il condannato miracolosamente slegato e incolume; tornò indietro, senza saper bene cosa fare. Gli altri ormai dicevano tutti a gran voce che si trattava di un miracolo di Santa Fede, accusarono il signore d’essere colpevole di un crimine orrendo, dicevano di non voler più oltre tollerare una cosa simile.

Il signore ormai doveva ammettere che si tratta di un evento miracoloso, e fu spinto alla penitenza. Chiese quindi al condannato di volerlo perdonare. Ma quello non era per nulla acquiescente, e disse che si doveva andare da Santa Fede a denunciare l’offesa. Allora Adimaro, vedendo l’altro così ostinato, accompagnato da quindici suoi paggi se ne andò a piedi nudi e disarmato dalla santa vergine.

Avresti allora potuto vedere i due Adimari – infatti anche quell’altro si chiamava così – discutere davanti alla sacra immagine come di fronte ad un tribunale4: uno accusava, l’altro confessava il suo peccato e si impegnava alla riparazione. Per l’intervento dei chierici fu stabilita la pena fissata dalla legge per i casi di omicidio; e così i due fecero la pace.

Questo miracolo, che avevo sentito raccontare dalla voce popolare, poi mi fu confermato dalla testimonianza comune dei monaci. Per darmene conferma più certa fecero venire a testimoniare un certo giovane cugino di quell’Adimaro che era stato strappato dalla forca e che l’aveva poi accompagnato a Conques; ed avrei anche potuto incontrare quello stesso Adimaro, se avessi avuto tempo di andare da lui o mandargli qualcuno di mia fiducia. Egli era ancora vivo, poiché il fatto si era verificato non più di cinque anni prima.

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1. Non risulta dai documenti nessun personaggio di questo nome; anche la località di Avallena non è identificabile nel Limosino. Torna al testo ↑

2. vassallo: nel testo c’è clientem, e l’insieme dei dipendenti è detto familiam.
Tutta la nomenclatura della gerarchia feudale è assente dal Liber; la parola vassus compare una sola volta in I, 12 per indicare i componenti della guardia del corpo di un signore. Nel testo si usano termini di dipendenza molto generici, oppure vocaboli tratti dalla tradizione classica.
Bouillet dice des serviteurs et des vassaux; P. Sheinghorn traduce household e retainer.
Il secondo personaggio della vicenda (verso la fine apprendiamo che si chiamava anche lui Ademarus) è indicato come jure sodalitatis huic adherentem; anche in questo caso, il termine sembra sottintendere un legame di una qualche formalità.
Io ho scelto nella mia traduzione il termine “vassallo”, forse più comprensibile al lettore, anche se ho il timore di un certo anacronismo. Torna al testo ↑

3. tribunale, tribunal. Non viene detto quale giurisdizione legittima potesse vantare il signore, che esercitava il suo potere puramente e semplicemente per un rancore personale. Il termine ricompare significativamente al fondo della narrazione, riferito al giudizio di fronte alla statua della Santa. Torna al testo ↑

4. quindici suoi paggi: cum quindecim suę domus ephebis. Di nuovo un termine di tradizione classica. A. Bouillet: quinze pages de sa maison; P. Sheinghorn fifteen young men of his own household; L. Robertini: quindici valletti del suo palazzo. Torna al testo ↑