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Fregio

Capo XVII.
Da Massauah in Europa.

Memorie Vol. 1° Cap. 17, Cap. 18. e Cap. 19.
Aprile - Ottobre 1850
Aden, Suez, il Cairo, Roma

1. Arrivo in Aden. — 2. Miglioramenti introdotti dal P. Sturla nella Missione. — 3. Funzione della Settimana Santa in Aden. — 4. Professione del P. Sturla; Missione alle isole Seychelles. — 5. Partenza per l’Egitto col gesuita P. Spasiani. — 6. Forte vento tropicale; naufragio di un marinajo. — 7. A Suez. — 8. Al Cairo; grandi cambiamenti in Egitto. — 9. Di nuovo in Alessandria. — 10. Compra di una casa in Alessandria. — 11. Partenza per l’Italia. — 12. Relazione del mio operato a Propaganda. — 13. Conoscenza del Cardinal Wiseman. — 14. Facoltà straordinarie concedutemi dal Papa. — 15. Proposta di unire alla Missione Galla quella dell’Africa Centrale. — 16. Il giovane Giorgio.

Capolettera U

Una volta che il Capitano della nave di Maurizio aveva già allestito il suo carico, e partiva per Aden, io non poteva lasciar passare quella bella occasione per recarmi colà. Messomi quindi d’accordo con Monsignor De Jacobis, presi commiato da lui e dagli altri amici; e lasciati D. Gabriele e Fra Pasquale a Massauah, 24.4.1850 A.Rosso m’imbarcai per Aden col P. Leone e col giovane Giorgio, che avea condotto meco dall’Abissinia. Dopo sei giorni di felice viaggio, si giunse in Aden, con indicibile consolazione del buon P. Sturla, il quale ci ricevette a braccia aperte. Non minore fu il contento e la gioja di tutta quella colonia cattolica, la quale da più tempo aspettava il nostro arrivo; e vedendoci giungere nei giorni prossimi alla Settimana Santa, ne furono tutti contenti, anche perchè così veniva soddisfatto il loro desiderio di celebrarla con maggiore solennità.

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2. Dopo quindici mesi di assenza, trovai quella Missione tanto migliorata, e sì bene avviata da quel sant’uomo, che il mio cuore ne fu /181/ grandemente consolato. In tutti i quartieri dei soldati aveva stabilito catechisti per istruire i pagani delle Indie, e tutti questi catechisti aveva posti sotto la direzione di un giovane pieno di fervore e di operosità, il quale la faceva anche da maestro di cappella, e mattina e sera conduceva i soldati a recitare le preghiere cristiane in un piccolo oratorio, eretto nello stesso quartiere. Alcuni soldati erano stati assegnati alla visita degli infermi nell’ospedale, e ad apparecchiarli a confessarsi; ed altri facevano da infermieri e da flebotomi, e potendo, accompagnavano il P. Sturla, quando recavasi a visitare e medicare i poveri. Vi erano gli addetti al servizio della chiesa nelle funzioni, ed alcuni a fare la Via Crucis nei Venerdì; e fra gl’Irlandesi, ricostituì la società di temperanza, fondata dal celebre Cappuccino loro connazionale P. Matteo. Per la costruzione della nuova chiesa aveva destinato collettori, che raccoglievano offerte in chiesa e a domicilio, e ne davano conto ad un cassiere; e con mia gran meraviglia trovai la cassa accresciuta di parecchie migliaja di lire. La somma lasciatagli da me per suo sostentamento, e che temeva gli fosse terminata, la trovai invece in aumento: poichè lo stesso Governo locale, vedendo il gran bene che il Missionario faceva, segnatamente fra i soldati, gli era largo di soccorsi ad ogni richiesta.

Casa e chiesa della Missione d’Aden
Casa e chiesa della Missione d’Aden.

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3. Si avvicinavano intanto i giorni della Settimana Santa, e volendosi celebrare, come ho detto, con maggior solennità, tutti quei buoni cattolici offrirono soccorsi e la loro opera, per quello che avrebbe potuto essere utile. Una ventina di Portoghesi di Goa, quasi tutti uffiziali nelle amministrazioni governative, e già bene istruiti, furono destinati pel canto, e così noi restammo liberi di occuparci nelle funzioni dell’altare. Al Giovedì Santo vi fu Messa pontificale, con benedizione degli Olj Santi, ed un buon numero di Comunioni. Al Venerdì Santo fece la funzione il P. Sturla, ed al Sabato il P. Leone; ed io amministrai il battesimo a dieci soldati, i quali si comunicarono nella Messa solenne. Nella Domenica di Pasqua si celebrò di nuovo Messa pontificale, con tutta quella maggior pompa che ci fu possibile, e si amministrarono anche quindici cresime. Il locandiere, un Portoghese che serviva gli uffiziali militari, volle incaricarsi esso del nostro pranzo e cena per i tre giorni di Pasqua. E così le feste pasquali del 1850 furono celebrate da me e da tutta quella colonia cattolica con santa gioja e gran devozione, e restarono memorabili in quella nascente cristianità.

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4. Giunse alfine il giorno di appagare il desiderio del buon P. Sturla di aggregarsi alla famiglia francescana; poichè avendo terminato l’anno del noviziato, fece nelle mie mani la professione di Terziario; l’abito già l’indossava /182/ da oltre un anno, e poscia, finchè restò nella Missione, vestì sempre da Cappuccino. Ed appunto per questo l’abbiam chiamato e lo chiameremo P. Sturla.

Egli inoltre mi riferì che, essendo capitate in Aden due volte alcune navi provenienti dalle isole Seychelles, aveva sentito che in quei paesi e villaggi si trovavano un trecento famiglie cristiane, prive di preti da più di venticinque anni; e mi domandò se, ritornando qualche legno di là, avrebbe potuto, o egli od il P. Leone, farvi una gita, per vedere come stessero le cose. Ed io, che già lo avea stabilito mio Vicario, gli diedi facoltà di mandarvi il P. Leone, col permesso di trattenervisi qualche mese, per vedere quali bisogni vi fossero, ed amministrare intanto i Sacramenti, come a gente abbandonata e non soggetta ad altra giurisdizione; scrivesse intanto qualche cosa, e facesse poi ritorno in Aden alla prima occasione, per riferire, e prendere opportune e stabili risoluzioni.

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5. Dovendo recarmi in Roma, in Francia ed in Inghilterra, anche per chiedere soccorsi, necessari alla fabbrica della chiesa e della casa di quella Missione, non poteva trattenermi più a lungo in Aden: ed arrivato appunto in quei giorni un piroscafo inglese dalle Indie, 3.6.1850 A.Rosso m’imbarcai per Suez col giovane Giorgio. Più di cinquanta dei nostri buoni cattolici mi accompagnarono fino al mare: e data loro la mia benedizione, ci separammo. Si era unito meco un certo P. Spasiani, Missionario gesuita, il quale, vestito in abito borghese per non esser fatto segno ad insulti, ritornava da Singapore, dove i suoi Superiori lo avevano mandato, quando in Italia era scoppiata la rivoluzione. Rimesso poscia un po’ di ordine, era stato richiamato a rimpatriare, e giunto in Aden, non potendo proseguire il viaggio per mancanza di denaro, era venuto da noi a chiederci un imprestito. Lo accogliemmo nella casa della Missione con piacere, e con più piacere me lo associai nel viaggio, pagando io le spese, che in verità furono lievi; poichè invece dei posti di prima classe, per risparmiare, presi quelli di seconda. Si levò l’ancora al tramonto del sole, e la mattina seguente lo stretto di Bab-el-Mandeb ci era già dietro le spalle. Sul medesimo piroscafo viaggiavano anche alcuni Missionarj protestanti, di ritorno dalle Indie; essi avevano i primi posti, ed alcuni, meno avversi a noi, venivano a trovarci, per discorrere, e talvolta per muoverci qualcuna delle loro solite questioni, se non altro, per far vedere che anch’essi lavoravano nel loro ministero!

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6. In quel tempo i piroscafi erano a ruota, e quindi camminavano più lentamente d’oggidi; onde nel quinto giorno del nostro viaggio stavamo ancora al tropico. In questi cinque giorni aveva fatto speciale conoscenza con un giovane marinajo scozzese, di nome Edoardo, che spesso veniva /183/ a trovarmi, e trattenevasi volentieri a parlare di religione. Ora avvenne che, trovandoci al passaggio del tropico, vedendo il Capitano che cominciava a spirare un vento non tanto rassicurante, ordinò che si levasse la tenda; ed in un attimo i marinai furono in opra per islegarla. In quel momento si levò improvviso un turbine così impetuoso, che, sbattendo fortemente quella tenda, già mezzo slegata, contro i marinai, ne gettò uno nel mare. Allora tutti si diedero a gridare, sicchè il Capitano, fermata la macchina, e conosciuta la disgrazia, fece calare tutte le barchette per salvare quello sventurato. Si cercò più di un quarto d’ora; ma non fu più visto, nè vivo, nè morto. Quella povera vittima era il mio Edoardo! Egli un momento prima era stato con me, e mi aveva detto: — Io sono un ignorante protestante: ma credo di essere nella buona fede. — In verità sentii molto la perdita di quel giovane, perchè m’accorsi che non era tanto lontano dalla vera fede; e ne restai anche addolorato, perchè mi parve che non si era fatto tutto il possibile per salvarlo. Dappoiché, secondo il mio inesperto giudizio in tali materie, per quanto repentina voglia supporsi la fermata del piroscafo, pure passò un po’ di tempo tra la disgrazia, il comando di fermata, e l’esecuzione di esso. E si sa che, anche fermata la macchina, il legno continua sempre, quantunque più lentamente, il cammino. Cosicchè la vittima non poteva esser lontana dal piroscafo che un centinajo di metri /184/ al più, e quindi là dovevano farsi le ricerche, non già attorno al legno, ed in quel solo tratto di mare.

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7. Vedendo dunque inutile ogni ulteriore ricerca, il Capitano ordinò ai marinai di risalire a bordo, e rimetterci in viaggio. Era circa mezzogiorno, e si navigò anche la notte, il giorno appresso e la notte seguente. Al mattino il piroscafo 11.6.1850 A.Rosso gettò l’ancora nel porto di Suez; e circa le dieci eravamo già in casa del nuovo Console francese, successore del signor Costa, di cui abbiamo parlato. Venne subito a trovarci il buon Maltese, ed egli ci diede la notizia della morte di quel Popò greco, e della elezione del suo successore, ossia del figlio del Costa, che i nostri lettori già conoscono. Fui fortunato di trovare in Suez il signor Ermes, quel cattolico inglese, che mi aveva ottenuto il posto sul Transito dal Cairo a Suez; e dovendo in quei giorni partire pel solito viaggio di ritorno, si offrì di ricondurmi al Cairo: e così con lieve spesa salimmo in vettura con lui; poichè la strada ferrata si andava allora lavorando, e niun tratto era ancora in esercizio.

Il nuovo parroco non aveva sposata la vedova del suo predecessore, il quale già era maritato con un’altra prima di essere ordinato Prete; ma avendo egli fatto baruffa colla sua vera moglie, se ne dimorava buonamente coll’antica sua amica, della quale già se ne parlò a suo luogo. Memorie Vol 1° Cap. 18 nota a p. 157

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8. 19.6.1850 A.Rosso Giunti al Cairo, fummo ospitati nel convento grande di Terra Santa: ma non trovammo Mons. Guasco, perchè, pochi giorni prima era partito per Alessandria. Il P. Filippo, confessore delle religiose del Buon Pastore, volle portarmi a vedere quelle buone Suore, le quali abitavano una casa rivenduta loro da Monsignor Delegato, che l’avea comprata per uso della Missione Galla. Sarebbe stata comoda per noi, ma per le Suore era troppo ristretta: laonde con soccorsi ricevuti, e con le loro industrie, alcuni anni dopo riuscirono a fabbricarsene una, capace di contener un numeroso collegio.

Nel tempo della mia assenza erano avvenuti grandi cambiamenti in Egitto. Mohammed-Aly era già morto; morto pure Ibraim Pascià; e pure morto il nostro grande amico Basilius Bey. Regnava allora in Egitto Abbas Pascià, mussulmano dei più fanatici, del quale la colonia europea era molto malcontenta; perchè mostravasi assolutamente contrario ai principj di suo padre, ed alle grandi riforme, che aveva incominciate ad introdurre nel regno. Lo stesso nostro gran benefattore Clot Bey era stato tolto da Ministro della Pubblica Istruzione; e, giubilato, erasi ritirato a Marsiglia.

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9. Monsignor Delegato, saputo il mio arrivo in Cairo, mi scrisse ch’era impaziente di rivedermi; ond’io, fermatomi pochi giorni in quella città, partii per Alessandria col P. Spasiani e col mio Giorgio su di un piccolo piroscafo. E poichè il Nilo era molto basso, il legno a quando a quando si arenava, e faceva d’uopo fermare la macchina, e tirarlo con corde. Così, laddove si sarebbe arrivato ad Alessandria in mezza giornata, ce ne volle una e mezzo. Appena sbarcati, trovammo pronta la carrozza di Monsi- /185/ gnore, e ci recammo direttamente a casa sua; dove ci accolse con la sua solita affabilità e generosa benevolenza. Egli era afflitto, perchè, avendo inalzato di pianta una nuova chiesa, mentre attendevasi al compimento di essa, Crollo 11.7.1846, ricostruzione 25.11.1850 A.Rosso si era mosso uno dei quattro grandi pilastri, che sostenevano la cupola, ed era apparsa una grande screpolatura, onde fu giuocoforza sospendere i lavori. Ma di un’altra rovina era assai più addolorato il povero Monsignore, dell’apostasia, cioè, di un sacerdote, ch’era stato suo Segretario. — Dopo questa disgrazia, dicevami, non ho più potuto godere giorni di buona salute, e la sento sì viva, che finirà per condurmi al sepolcro. — Compresi il suo dolore, e per lenirlo un poco: — Si faccia coraggio, gli dissi, egli era un putridume puzzolente, che Iddio gettò fuori dal suo tabernacolo, per farne un ornamento del santuario protestante. —

Egli stava fabricando una nuova Chiesa, la quale era già arrivata quasi a perfezione, quando per difetto di un pilastro frà i quattro che sostenevano la cuppola, una spaventevole crepatura aveva sospeso tutti i lavori, motivo per cui il povero Prelato si trovava molto afflitto. Nel mio ritorno dall’Europa ho trovato che questa Chiesa era caduta, ed esaminata nei fundamenti si trovò che il pilastro fu mal fondato; era stato fondato sopra una specie di catacomba sotterranea dell’antica Alessandria per incuria dell’architetto. Con altro dissegno fu poi Costrutta l’attuale [chiesa]. Memorie Vol 1° Cap. 18 p. 158

Il nome dell’apostata è P. Bernardo. Memorie Vol 1° Cap. 18 p. 159

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10. Prima di partire la prima volta per i Galla, aveva lasciato un po’ di denaro della Missione nelle mani di Monsignore, ed in quei giorni non finiva di parlarmene, insistendo, perchè si rivedessero i conti. Mi domandò pure se avessi voluto darlo a prestito, con l’interesse del nove per cento, come là si usava in quel tempo di lucroso commercio; ovvero se volessi impiegarlo nella compra di una casa, non lontana dalla sua, già in vendita, e che rendeva ai possessori circa duemila lire annue. Io, nemico sempre di tali prestiti, senza badare ad altro prescelsi la compra della casa. Andati quindi a vederla, e trovatala conveniente, se ne conchiuse tosto il contratto, e se ne fece legale atto al Consolato francese.

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11. Sbrigati i miei affari con Monsignor Delegato, ripresi il viaggio per Roma sulla Messaggeria francese, con intenzione di fermarmi qualche giorno a Malta. Ma per alcuni casi di colèra accaduti in quell’isola nei giorni precedenti, non 22.7.1850 A.Rosso ci fu permesso di scendere, senza assoggettarci prima ad una lunga quarantena; e prevedendo che la stessa accoglienza avremmo trovato a Napoli ed a Civitavecchia, risolvemmo tirar dritto per Marsiglia. Ma i nostri conti furon fatti senza l’oste, poichè anche là fummo costretti andare a passare cinque giorni in Lazzaretto; i quali però ci furono poscia ridotti a tre, per le insistenze, fatte per telegrafo a Parigi, da alcuni negozianti di grandi ed importantissimi affari. Sbarcato e passato un giorno a Marsiglia, ripresi un altro piroscafo per Livorno, e di là partii per Firenze, servendomi per la prima volta della strada ferrata. In Firenze abbracciai il R.mo P. Andrea da Arezzo, il quale, dopo aver compito l’ufficio di Vicario Generale dell’Ordine, erasi ritirato nella sua Provincia monastica. Seguitando il viaggio, mi fermai quattro giorni in Assisi, per visitare i Santuarj del mio Patriarca; ed in questa città venne a trovarmi da Perugia, dove insegnava eloquenza sacra, /186/ il mio compagno di studio P. Francesco da Villafranca, e passò con me due giorni. Finalmente 14-15.8.1850 A.Rosso dopo due altri giorni di cammino giunsi a Roma.

Il povero R.mo Venanzio mio Lettore, il quale si trovava oppresso dai dispiaceri, provò un gran piacere nel vedermi. Il P. Venanzio conosciuto da tutto l’ordine come un uomo piuttosto severo ed amico della riforma, in tutte le province più disorganizzate i buoni, per lo più oppressi dai cattivi, si fecero coraggio, e caddero ai piedi del nuovo Generale domandando che si provedesse a certi disordini; è incredibile il numero delle lettere che il povero Generale riceveva ogni giorno, segnatamente dalle provincie di Napoli. Sgraziatamente si trovava in quel tempo Procuratore Generale il R.mo P. Felice da Lipari napoletano piuttosto inclinato a difendere il partito opposto; per colmo di disgrazia poi era Protettore dell’Ordine l’Em.mo Orioli con due Segretarii, i quali s’intendevano molto bene col partito dei religiosi più guasti; i buoni si dirigevano al Venanzio, e gli altri si attaccavano al Procuratore Generale, il quale era assistito dal Cardinale protettore. Il menomo passo che facesse il Generale, tutto veniva impedito, con disdoro dell’autorità e con trionfo dell’iniquità; il Cardinale protettore finì poi con far sortire un decreto, col quale dichiarava tutte le provincie del regno di Napoli sciolte dall’ubbidienza del P. Generale. Già il regno di Napoli con quella così detta Monarchia in materia di disciplina era [già] quasi scismatica, motivo per cui quasi tutti i religiosi di quel regno erano arrivati all’ultimo decadimento in materia di osservanza, non essendo più il P. Generale per loro che un fantocio fatto per aggiungere una formalità alle decisioni quasi scismatiche dei Provinciali divenuti più dipendenti dal governo che da Roma.

Il P. Venanzio vedendo così, scoragiato affatto aveva risolto di dare le sue dimissioni, e già si era raccomandato a parecchie persone per ottenerle. Venuto io mi prego di parlarne al Papa, e ne ho parlato, non perché approvassi le sue dimissioni, perché avrei anzi creduto di fare un peccato allontanando un’uomo forze l’unico capace a riparare le rovine dell’ordine, ma unicamente per aver un motivo di far conoscere il vero stato delle cose al S. Padre. Diffatti quando gli ho parlato il Papa, come uomo che temeva Iddio, dimostrò di essere persuaso in certo modo, e mi rispose evitando la questione, e finì per dirmi, voi, come mi dite dovete andare in Francia ed in Inghilterra andate, io studierò meglio la questione e quando ritornerete tratteremo più direttamente questo affare. Io non sono più venuto, e così il povero Venanzio rimase in questo stato di violenza sino alla fine del suo generalato. Memorie Vol 1° Cap. 18 p. 160

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12. Uno dei motivi del mio ritorno in Europa, era quello di dar conto alla Sacra Congregazione di Propaganda, e perciò al Papa, del mandato ricevuto rispetto all’Abissinia del Nord, soggetta alla Missione Lazzarista; mandato che io credeva finito con la consacrazione di Monsignor De Jacobis. Riferii perciò quello che aveva io fatto, come e quante Ordinazioni aveva conferite, ed amministrati gli altri Sacramenti, per assicurarmi di avere agito in regola, ed anche per provvedermi, sotto questo rispetto, delle opportune facoltà per ogni caso avvenire. Essendomi state fatte da qualche Prelato alcune interrogazioni sul rito, risposi che, non conoscendo ancora abbastanza la lingua del paese, ch’è la lingua sacra o gheez, aveva dovuto rimettermi al giudizio di Monsignor De Jacobis, persona molto intelligente, e di una virtù e prudenza non ordinaria; e quindi non poteva ancor dare un giudizio esatto e coscienzioso. — Tuttavia, soggiunsi, credo che su Monsignor De Jacobis si possa riposare sicuri, non solo per la sua perspicacia e santità; ma anche per la conoscenza profonda che ha del paese, e principalmente di ciò che si riferisce a culto e religione. A mio avviso, nessuno meglio del De Jacobis ha sinora compreso quel misterioso paese, e forse nessuno meglio di lui il potrà comprendere, e ridurre nella via della salute. — Queste lodi date da me a Monsignor De Jacobis erano poche a confronto del suo merito: poichè debbo confessare che allora non conosceva pienamente la grandezza di quell’uomo, come non la conoscevano molti altri. Che se dovessi parlare oggi di lui, non mi restringerei a così poco. L’opera di Dio in Abissinia è rimasta indietro per la morte di quel zelantissimo e santo Pastore!

Nelle Memorie chiude così questo capoverso:

L’Abissinia è figlia dell’oriente, e questo ancora è un gran mistero. Memorie Vol 1° Cap. 18 p. 161

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13. Un altro motivo del mio viaggio in Europa, era di trattare più efficacemente a Lione ed a Londra i bisogni delle due Missioni a me affidate, cioè quella de’ Galla, e quella di Aden. Per quest’ultima, dovendo portarmi necessariamente in Inghilterra, il Signore mi volle aprire la strada con una favorevole occasione. Pochi giorni dopo il mio arrivo, venne a Roma 3.10.1850 A.Rosso il Cardinal Wiseman, Arcivescovo di Westminster, per ricevere il cappello cardinalizio. Ne parlai quindi al Papa, e questi mi promise di presentarmi egli stesso al nuovo Cardinale. E di fatto, andata Sua Eminenza dal Santo Padre per la visita di commiato, 8.10.1850 A.Rosso fui fatto chiamare, e il Papa stesso mi presentò a lui, raccomandandogli di ajutarmi, allorché mi fossi recato a Londra, per trattare gl’interessi di quella, mia Missione.

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14. Il Santo Padre diede poi ordine alle Sacre Congregazioni di con- /187/ cedermi le varie facoltà straordinarie, che aveva domandato per i bisogni della Missione Galla; dove, secondo quello che aveva già potuto prevedere, mi sarei trovato sequestrato da ogni comunicazione con Roma. Il buon Pio IX 20.10.1850 A.Rosso a viva voce mi accordò pro foro conscientiæ tutte le facoltà che poteva darmi. In quanto a quelle pro foro externo, tra le altre mi promise che avrebbe mandato il Breve di potermi, in caso di bisogno, consacrare un Missionario qualunque di mia scelta, col titolo di Vescovo di Marocco; Breve, che ricevei alcuni anni dopo, e che tenni sempre segreto sino al 1859, quando fu da me consacrato il P. Felicissimo Cocino.

Il Papa allora per il foro di conscienza vivæ vocis oraculo mi diede tutte le facoltà che poteva darmi quasi senza limiti; in foro externo poi mi fece spedire il breve di potermi consacrare un missionario qualunque a mia scielta col titolo di Vescovo di Marocco, facoltà che stette sempre secreta presso di me sino al 1859. in cui fu consacrato Monsignore Cocino. Memorie Vol 1° Cap. 18 p. 162

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15. Un terzo motivo della mia andata a Roma, era il dover chiarire la Sacra Congregazione di Propaganda su di 10.1.1850 A.Rosso una proposta, che mi era stata fatta, mentre trovavami in Aden. E la proposta era la seguente: Monsignor Casolani, Vescovo di Maurocastro, e Vicario Apostolico dell’Africa Centrale, avea rinunziato alla sua Missione; e quindi quei Missionari si trovavano senza Vescovo. Roma, che non può sempre avere una precisa e particolareggiata conoscenza delle posizioni di quei lontani paesi, che sono il campo delle fatiche dei Missionari, credette possibile l’unione di quel Vicariato col mio; e per questo mi aveva scritto, se non erro, due lettere in Aden. Io allora non aveva potuto dare una risposta adequata: tuttavia passando per l’Egitto, per fare atto di ossequio alle intenzioni ed ai desideri, che mi erano stati manifestati in quelle lettere, avea lasciato detto a Monsignor Delegato di soccorrere quei Missionari a conto mio, qualora ne avessero fatto qualche domanda. Giunto poi in Roma, e richiesto del mio voto, 17.8.1850; 8.9.1850 A.Rosso risposi che, essendo in viaggio per Roma il Missionario Knobleker (come scrivevaci Monsignor Guasco dall’Egitto), era conveniente aspettare il suo arrivo, e sentirne il parere. Da parte mia nondimeno, non credendo di non poter dare lì per lì una risposta definitiva, mi riservava di darla posatamente, quando cioè, ritornato alla mia Missione, sarei passato pel Sennàar, ed avrei esaminato personalmente le cose sul luogo stesso.

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15. Nel venire dall’Abissinia aveva condotto meco un giovane, già riscattato dalla schiavitù, e che tenevamo come un figlio. Lo aveva poi portato con me in Roma per avviarlo negli studj ecclesiastici, e farne col tempo un Missionario, che, come indigeno, ci avrebbe potuto prestare grandi ajuti. A tale effetto, e perchè gli venisse data un’educazione conveniente e completa, 22.10.1850 A.Rosso lo consegnai al Rettore del Collegio di Propaganda per essere ammesso fra quegli Alunni, come di fatto avvenne, con grande gioja del giovane Giorgio e di tutto l’Istituto; imperocchè egli era dotato di belle qualità di mente e di cuore.