Manoscritto Sélestat 22

Traduzione

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Latino → [Traslazione delle reliquie]

Al tempo in cui Diocleziano e Massimiano reggevano l’Impero romano, questi due tiranni furono animati da tanto furore verso i cristiani, che per tutto il territorio del loro dominio, dal mare orientale a quello occidentale, per loro ordine il feroce Daciano attuò, città per città, una crudele persecuzione dei fedeli.

In quel tempo dunque questo governatore pagano passò in Occidente e entrò nella città di Agennum. Mentre conduceva questa crudele indagine a carico dei cristiani, una vergine, nobile di nascita, ma più illustre per santità, la serva di Dio Fede, abitante di quella città, fu la prima ad essere condotta nelle mani impure dello scellerato carnefice. Poiché non c’era modo di convincerla a sacrificare agli idoli pagani, fu sottoposta alla pena del fuoco sopra una graticola arroventata, quindi, insieme a Caprasio, Primo e Feliciano e moltissimi altri, consumò felicemente il martirio sotto la spada dell’aguzzino. L’ancora piccolo gregge di Cristo si occupò dei corpi dei martiri, e di nascosto, per paura dei crudeli pagani, raccolse quelle sacre membra, e con grandissima cura e le pose in una sepoltura non degna.

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Latino →[2].

Dopo lungo corso di anni, ormai scomparsa la rabbia dei pagani, un sant’uomo di nome Dulcidio fu elevato al pontificato, il quale, mettendo in second’ordine ogni altra occupazione, costruì una chiesa suburbana nella zona settentrionale della città al di fuori delle mura, e la consacrò allo sposo celeste per la venerazione di quella santa vergine. Ammonito in sogno da un segno celeste, trasferì con grande e onorevole celebrazione i corpi dei santi da un luogo abbandonato e poco degno ad un luogo consacrato a Dio, collocandoli in una posizione distinta. Con grande manifestazione di onore affidò la beatissima vergine Fede, che sopravanza gli altri nella gloria del martirio, ad un mausoleo scolpito in prezioso marmo costruito in quella basilica. Vi fu inciso un breve epitaffio coll’indicazione della passione, affinché la verità dei fatti sia fondata su una testimonianza scritta.

Il corpo di san Caprasio fu invece portato in una chiesa appositamente fondata entro la cerchia delle mura, e collocato con la massima cura in un sarcofago marmoreo di pari dignità.

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Latino →[3].

La sposa di Cristo e martire Fede cominciò a brillare per tanti segni di grazia: ridava la vista ai ciechi, l’udito ai sordi, liberava gli ossessi, e curava malati d’ogni genere da diverse infermità. La vergine Fede fu dal Signore incoronata da un tale splendore di virtù, che la sua fama risuonò non solo nelle città e nelle regioni vicine, ma per tutto il mondo, e la figlia del cielo e vergine santissima fu chiamata sommamente famosa e gloriosa da tutte le genti in ogni angolo del mondo.

Dopo un breve tempo, cominciò ad affluire alla sua tomba un devoto concorso di popolo, e vi veniva portata d’ogni dove una gran folla di persone afflitte da diverse malattie; da loro la grandissima martire di Dio veniva glorificata, e così tornavano di là lieti per la recuperata salute annunciando le grandi opere di Dio e della vergine.

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Latino →[4].

Questa città si trova nella Gallia inferiore1, attraversata dal fiume Garonna. Nella divisione della Gallia in tre parti, questa è detta la terza, chiamata Comata o Inferiore per distinguerla dalle altre due. In questa regione della Gallia si trova un monastero, chiamato Conques, collocato in una valle circondata da ogni parte da montagne impervie, col versante sud oscuro di boschi; il sito si estende per due stadi di lunghezza, e per la conformazione del luogo sembra una conca, da cui evidentemente deriva il nome.

Un tempo l’esercito saraceno avanzò in armi per devastare quasi tutta l’Europa, e il monastero fu completamente distrutto, tanto che i documenti regi relativi alla sua giurisdizione: ad diocesim ipsius relativi alla sua giurisdizione scomparvero totalmente. Passati alcuni anni, sotto il regno di Carlo imperatore supremo, il figlio Ludovico2, che ancora in vita del padre era stato incoronato re, con privilegi da lui ordinati fece ricostrire dalle fondamenta il monastero.

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Latino →[5].

Fino ad oggi quel cenobio è abitato da una venerabile comunità di monaci, i cui fondatori conducevano una vita di rigorosa religiosità; e come ognuno può constatare, i successori continuano ad accrescere giorno dopo giorno la pratica della buona virtù. Questi uomini così onorevoli spesso conversavano fra di loro a proposito dei prodigi della santa vergine, e spinti da una giusta ispirazione ad un certo punto cominciarono a interrogarsi in che modo potessero trasportare presso di loro il corpo della santissima martire, per la salvezza della loro patria.

Presa quella deliberazione, fecero venire un monaco Arinisclo il nome viene riportato in modo diverso nei diversi manoscritti: Aronidus, Ariviscus, Arinidus, Arinisdus ecc. di nome Arinisclo, che nell’ambito della parrocchia di quel monastero era stato incaricato della cura di una certa chiesa per il bene comune dei monaci; era un uomo assennato nelle decisioni, saldo nella prudenza e stimato da tutti per purezza dei costumi. Con lui vennero discusse tutte le cose necessarie per l’impresa, e come comportarsi in ogni circostanza si presentasse; stabilita ogni cosa, gli venne affidata una guida e fu inviato verso Agennum.

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Latino →[6].

L’incaricato di questa missione segreta, una volta arrivato a destinazione, si interrogava su quali decisioni prendere per giungere al risultato. Si sabilì là presentandosi come un pellegrino, mantenendo il segreto sulla sua identità e sullo scopo della sua venuta; e per quanto era possibile, si tenne modestamente celato; si stabilì lì fingendo un’ingenua devozione, e si sforzò di apparire gradito a tutti. E veramente dava un tale esempio di amabilità e castità di costumi, che divenne famigliare a tutti come se fosse sempre vissuto lì.

I chierici non solo gli mostrarono amicizia, ma lo accolsero nella loro comunità. Infatti dava tante prove di ogni genere di virtù, di pronto ingegno, e di grande rispetto per la legge divina, e non rimaneva inerte, ma si rendeva utile in ogni cosa, eccellendo sempre per pazienza, umiltà e obbedienza. E poiché aveva dato a tutti prova di costumi lodevoli, dopo alcuni giorni fu meritatamente incaricato col consenso di tutti della custodia del monastero.

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Latino →[7].

Egli svolgeva quest’incarico scrupolosamente e lodevolmente, e sempre più sopravanzava tutti gli altri sia nelle buone opere sia nel buon esempio; ma non dimenticava mai il segreto motivo per cui si trovava lì, e né i successi, né le avversità gli toglievano dal profondo del cuore il suo progetto. Ma poiché non gli era mai data occasione di raggiungere in breve tempo un tesoro così desiderabile, sospese l’esecuzione del voto, e rimase tra quei fratelli aspettando se mai se ne presentasse l’opportunità.

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Latino →[8].

E così si tormentava per l’ansia e nel profondo del cuore sentiva bruciare l’urgenza di trovare una via per la quale poter portare a termine un’impresa tanto ardua. Un giorno, in occasione della grande festa dell’Apparizione 3, mentre il sole volgeva al tramonto, terminata la celebrazione solenne della Messa, mentre tutti si riunivano per il pasto comune, con la scusa di custodire la chiesa, per evitare che, come spesso capita, un qualche sinistro incidente turbasse quella così grande letizia, chiese a tutti con insistenza il permesso di adempiere ai doveri canonici; cosa che tutti gli accordarono, giudicando questo un comportamento assai prudente.

Mentre quelli rimanevano a lungo nella mensa godendo il pasto festivo, lui, ponendo tutta la sua fiducia nel Signore e non in sé stesso, non esitò a recarsi alla tomba della santa vergine; ma poiché la pietra di copertura, ancorata con ganci di ferro alla pietra inferiore, non si poteva spostare, né si riusciva ad alzarla tutta intera, la spezzò dalla parte dei piedi, ed avendo parzialmente aperto il tumulo, raccolse con gran cura il santissimo corpo, e sollevandolo con grande reverenza, pregando e lodando Dio lo mise in un sacco pulitissimo. Fatto ciò, non si fermò a riposare, ma approfittando del silenzio della notte, chiamò il compagno di viaggio, e si affrettò lietamente sulla strada del ritorno in patria con quel dono divino.

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Latino →[9].

L’indomani, al levar del giorno, si vide che il custode era assente e il monumento era stato privato del corpo: il preziosissimo tesoro che custodiva era scomparso. Vi fu grande tumulto fra il popolo, tutti accorsero pieni di stupore, interrogandosi l’un l’altro sul fatto, chiedendosi con foga come fosse potuto accadere un simile affronto; e come succede solitamente di fronte ad un grave imprevisto, la notizia si diffuse fra tutto il popolo, non solo fra i presenti, ma anche nelle regioni vicine.

Tutta la città accorse al sepolcro della vergine; non trovandovi le reliquie, che sembravano ormai perdute per sempre, le persone d’ogni età furono prese da un’enorme afflizione nel cuore, che non lasciava posto ad alcuna consolazione. Ma pur essendo presi da un così grande dolore per quella disgrazia, tuttavia organizzarono subito un drappello di cavalieri che inseguissero con la massima celerità i ladri in fuga con il sacro bottino.

Gravi accuse caddero sui chierici del posto che avevano affidato un così alto incarico a quella persona, ed essi stessi si addossavano la colpa del fatto con asprezza pari a quella di chi li insultava, per aver scelto per quell’incarico uno straniero proveniente da una terra così lontana, preferendolo a tanti del luogo che erano idonei a quell’incarico. Dopo gran parlare, e infinite lamentele per il furto del loro tesoro, per volontà unanime del popolo si decise che se la sorte avesse messo nelle loro mani i fuggiaschi, subito sarebbero stati impiccati.

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Latino →[10].

Inviati quindi degli esploratori lungo la via che da Agennum conduce a Conques, per la misericordia di Dio che proteggeva i suoi servitori da un pericolo mortale, furono gli stessi inseguitori a deviare dalla via retta, ed attraversato il fiume Garonna su delle imbarcazioni, passarono di corsa in Guascogna. E qui per volontà divina fu tale la stoltezza della loro mente, che quanto più credevano di inseguire i fuggiaschi, tanto più si allontanavano nella direzione opposta. Poi, tornati in sé, si resero conto di aver faticato invano nella direzione sbagliata, e con animo afflitto tornarono ad Agennum, e spiegarono a tutti che cosa era loro capitato in quell’inseguimento.

Gli abitanti della città, turbati da questo fatto, li rispedirono per la stessa via a cercare i fuggiaschi, sperando che con un grande sforzo ed incitamento dei cavalli potessero recuperare il tempo che avevano perso quasi per un incantamento dell’animo.

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Latino →[11].

Quelli intanto avevano ripreso con grande energia il cammino. Per caso, un giorno, il sorgere del sole colse inseguiti e inseguitori in un luogo chiamato Lalbenque4. Lì il portatore del santo corpo era steso col suo compagno al riparo di un albero frondoso per riprendere fiato. Gli inseguitori, anche se lo fissavano attentamente nel viso, per miracolosa protezione divina non riconobbero quello che ogni giorno avevano visto in città come loro compatriota, anzi, concittadino e al servizio della comunità, con cui ogni giorno avevano conversato; quasi accecati, non ne riconobbero né la corporatura né il tono della voce. Alle pressanti domande se avesse visto un uomo fatto così e così, egli mentiva dicendo di non averlo mai visto. Terrorizzato da quelle insistenti domande, l’uomo di Dio fingendosi molto più stanco quello che era, per non farsi riconoscere stendeva il corpo per terra come per cercare riposo. Quindi, dopo essersi separato dal compagno, da solo riprese il cammino con le sacre reliquie verso la regione del Quercy5.

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Latino →[12].

Quando inseguitori: il lat. ha inspiegabilmente perfuge “fuggiaschi” gli inseguitori entrarono nella città di Cahors, si fermarono un giorno intero, cercando con la massima diligenza possibile ogni traccia che li indirizzasse verso l’oggetto del loro desiderio, e facesse capire quale strada dovessero prendere o in quale altra direzione cercare. Infine, frustrati nella loro ricerca, rendendosi conto che faticavano invano, senza sapere cosa dovevano o non dovevano fare per risolvere l’enigma, studiarono ogni possibile partito, e alla fine decisero che la cosa migliore fosse tornare ad Agennum, dicendo fra di loro: Torniamo dunque, forse lo incontreremo nel ritorno, o lo troveremo stanco per strada, poiché non può certo avvenire che uno sforzo così grande riesca a nostro danno, o, cosa più facile a credersi, non può accadere che ci sfugga, per i meriti della vergine che non permette certo di lasciarsi rubare e trasferire in altro luogo. Facendo questi ragionamenti, e sperando di raggiungere in altro modo il loro scopo, alla fine delusi in tutte le loro ricerche arrivarono in patria.

Quando i capi della città ricevettero una così odiosa notizia, e sentirono dai cavalieri che non avrebbero mai più recuperato il corpo della santa martire, decisero di non discutere ulteriormente una questione così dolorosa, e di passare sotto silenzio la loro disgrazia, per evitare che la notizia del loro disonore si divulgasse fra il popolo e ne fossero loro stessi ritenuti responsabili per imperizia e negligenza.

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Latino →[13].

Ma poiché non si poteva nascondere a lungo la notizia di un così felice – se così si può dire – sacrilegio, dopo poco tempo in ogni luogo della terra si seppe la cosa. Intanto l’uomo devoto, terrorizzato dall’idea che gli inseguitori potessero raggiungerlo, giudicò opportuno accelerare il più possibile la fuga, in modo da poter sfuggire, protetto dalla misericordia divina, dalle loro mani cruente.

Un giorno mentre attraversava con corsa affannosa un luogo chiamato Figeac6, un cieco, che da tempo aveva ricevuto in sogno la rivelazione divina che in occasione del passaggio della santa vergine avrebbe riacquistato la vista, appena seppe dell’arrivo del corpo come gli era sto annunciato da Dio, arditamente si accostò ad esso chiedendo la luce del giorno, e appena ebbe toccato il telo in cui era celato, subito ricevette la luce degli occhi. Ma non in questo solo, ma in tantissimi altri segni mirabili la grandissima vergine fu esaltata da Dio, fatti che evito di narrare per non allungare troppo la narrazione; e forse assai di più per sua grazia ne sarebbero accaduti, se non che il portatore, stretto dal terrore di cadere nelle mani dei suoi persecutori, se ne andava in fuga precipitosa senza fermarsi in alcun luogo.

E il portatore delle sacre reliquie, che temeva di rischiare un grave danno per il suo tesoro con grave sofferenza per sé, pregò con insistenza il cieco che era stato guarito di non tradirlo imprudentemente, e di non divulgare la notizia del fatto che gli era capitata fin quando non fosse tornato al proprio monastero, per non andare incontro a qualche offesa da parte di qualcuno. E costui, che aveva ricevuto con gioia il dono della vista, lodando e magnificando la vergine acconsentì senza difficoltà a quell’insistente preghiera.

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Latino →[14].

Terminato quel colloquio, il servo di Cristo mosse più in fretta che poteva verso quel luogo, cioè il monastero di Conques, che si trova a non grande distanza da quel villaggio, a circa venti delle usuali miglia.

Quando il portatore delle sante reliquie giunse nelle vicinanze, tutto il coro dei monaci di Conques, udita la notizia del suo arrivo, gli venne incontro per un lungo tratto, con una grande processione in onore della santissima martire, seguita da una gran folla, con la croce, i turiboli che spargevano profumi e tutti i mezzi per il servizio divino; così la santissima vergine fu accolta con grandissimo onore, cuore pieno di gioia e mente serena da tutto il popolo. Poi, celebrate solennemente le lodi di rito, con inni e il canto delle litanie, accompagnato da tutto il popolo dei credenti il corpo della vergine fu portato con grandissimo onore nel tempio dedicato al Santo e Sommo Salvatore Gesù Cristo, e con la massima cura fu collocato in luogo onorevolissimo sotto attentissima custodia.

Era il diciannovesimo giorno dalle calende di febbraio7. Il quel tempo il Re dei Franchi Carlo il Minore8, per una congiura ingiusta dei signori che gli dovevano obbedienza, fu deposto dal trono, e fu incoronato il duca d’Aquitania Ottone, che regnò al suo posto.

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Latino →[15].

Il devotissimo popolo cristiano decise di consacrare per il tempo a venire quel giorno della traslazione alla venerazione della vergine e di considerarlo giorno di festa e di gioia; da allora fino ad oggi l’innumerevole cristianità di quella terra con solennità annuale celebra quel giorno con lodi a Dio e tripudio al tutto spirituale, con tutto ciò che può adornale il culto con le delizie del cibo divino, ma anche con momenti di gioia secolare.

Da quel giorno dunque fino ad oggi una grandissima moltitudine di popolo accorre al tempio per visitare le reliquie della santa Martire, tanto che è difficile da credere, se non lo si è visto di persona, quanta gente e così fitta entra ed esce, tanto che la struttura del monastero9, per quanto magnificamente grande, riesce a contenerli a stento; vi si svolgono abitualmente anche celebrazioni notturne, alla luce delle lanterne, e dopo le preghiere e la celebrazione dei sacri misteri tutti tornano a casa con gioia.

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Latino →[16].

Il pio e mite gregge dei monaci vedeva crescere sempre più un simile afflusso di persone, che disturbava il servizio divino e l’osservanza della tradizione di san Benedetto, e considerava una grave molestia e motivo di inquietudine una così grande partecipazione popolare.

In quei tempi era vescovo d’Alvernia il venerabile Stefano10, uomo massimamente solerte, e per suo progetto e iniziativa fu aggiunta al monastero una basilica di grandissima bellezza, costruita in brevissimo tempo dalle fondamenta, e si stabilì di collocarvi la tomba per il corpo della santa Vergine, in modo che fosse più facile per tutti l’accesso e la venerazione.

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Latino →[17].

Questa casa di preghiera fu portata a termine con grande impegno dell’architetto11 e benedetta e consacrata archimandrita: con questo titolo l’autore indica Stefano nella sua doppia funzione di vescovo e di abate dall’archimandrita col rituale canonico; quindi alla presenza degli alti ecclesiastici e dei sapienti convenuti lì da tutto quel paese, fra tutti i religiosi appartenenti agli ordini regolari e al restante clero si scelsero gli uomini più puri e più degni, che fossero i più adatti a togliere la santa martire di Cristo dal luogo in cui si trovava, e a trasportarla con somma umiltà e sincerità d’animo alla nuova chiesa.

Uomini del più alto merito si accostarono quindi con sollecitudine al corpo miracoloso, e con grande e devoto sforzo cercarono di alzarlo; ma per intervento straordinario del supremo creatore Cristo questo rimase fermo come se fosse pesante come una montagna. Temendo di non essere degni per una simile impresa sacra, si dedicarono a preghiere, penitenze e digiuni, e tentarono una seconda volta ma non riuscirono a compiere l’impresa voluta. Alla fine, attribuendo alla loro fragilità il fatto che non ce la facessero, si dedicarono nuovamente per diversi giorni a preghiere e macerazioni, e per una terza volta tentarono, ma i loro sforzi restavano vani.

Per evitare che uomini così famosi e di nome così illustre del detto monastero fossero considerati inetti, e che la loro scienza fosse disprezzata da chicchessia, e perché non li si accusasse di protervia qualora insistessero oltre il terzo tentativo, desistettero dall’intento di portare il corpo santo al luogo che era stato stabilito.

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Latino →[18].

Riconoscendo infine che il loro intento era illecito, e che era fallito per volontà divina, vollero costruire una teca di meravigliosa fattura in oro splendente con ornamenti di gemme sfolgoranti da collocarsi dietro l’altare dedicato al Signore nostro Salvatore; in essa è custodita e riposa in Cristo l’onoratissima Vergine, visitata da un popolo innumerevole, come abbiamo già detto12. Per i suoi meriti essa è esaltata dal Signore attraverso un così gran numero di eventi prodigiosi, che la sua azione salutare si manifesta in tutti coloro che soffrono dei più diversi mali, ed è glorificata in tal modo dal cielo da salire ogni giorno di virtù in virtù.

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Latino →[19].

Non abbiamo ora l’intenzione di descrivere a fondo le illustre gesta e i prodigi della prudentissima vergine, cosa che non si può in alcun modo riunire in una narrazione; e dal momento che sono state messe per scritto, qui le possiamo tralasciare del tutto. Ma l’avido scrutatore di volumi, se vuole averne nozione, legga il Libro dei miracoli.

Ma quale lingua, lettore amabilissimo, quale studio di eleganza sarebbe adeguato ad una così famosa martire di Cristo? E quale capace filosofo riuscirebbe a comporre i mille carmi di lode dei suoi meriti? Dunque lo studio accademico ceda di fronte alla sua virtù. Infatti nessuna arte sofistica è adeguata a esprimere il vertice della sua gloria.

O vergine sempre beata, cittadina del paradiso, compagna degli angeli, che collocata nella carne con cuore ardente tendesti a Cristo! che combattendo fortemente e trionfando eroicamente vincesti il nemico, e riportasti un nobile trionfo sopra gli astri, e avesti come sposo colui che avevi ardentemente desiderato. O felice merito di questa perla splendente, o grande e inestimabile miracolo di colei la cui anima meritò di abbracciare in cielo il figlio di Dio, lasciando in terra le reliquie, che furono condotte da altro luogo alla dimora consacrata al suo nome e desiderata su questa terra, affiché non fosse privata di questo dono mistico, poiché come la sposa è unita in cielo allo sposo celeste, così gli è unita nella dimora su questa terra, affinché l’amata non lascia mai l’amato, e nessun luogo di amore sia privo della loro presenza.

Salve, nobile figlia di Sion, Fede santa, figlia della Gerusalemme celeste, tu splendi nel coro delle vergini come rosa e giglio. O giorno da venerare, giorno giorno da adorare, giorno da annunciare, che ha portato alla luce di questo mondo un tale fiore. O troppo felice terra di Conques, adorna del pegno di una tale gemma, splendente del fulgore di una tale lucerna! festeggia, godi, adornati di un così bel lume, che splende al di sopra dei cieli, come il sole fra le stelle. O ornamento sublime dell’universo, corona dei martiri, lampada delle vergini, bella dal volto splendente, come stella luminosissima, ornamento del talamo regale, come aurora fiammeggiante. Godi fanciulla nobilissima, la tua bellezza ha meritato l’amore di Cristo, vero sole, il cui splendore e la cui bellezza supera il fulgore del cielo, nella luce della serenità celeste. Ed al figlio non generato, unigenito, con lo Spirito Santo, onore e gloria per gli infiniti secoli dei secoli. Amen.

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1. Nel 121 a.C. la Gallia meridionale divenne provincia romana col nome di Gallia Narbonensis. Il territorio a nord, che in seguito venne chiamato Gallia Comata, per sottolineare la diversità dei costumi celtici rispetto a quelli romani, era da Cesare suddiviso in Aquitania, Gallia Celtica e Gallia Belgica. Qui viene attribuito erroneamente alla sola Aquitania il termine Comata. Torna al testo ↑

2. Nel 781 Ludovico, che aveva solo tre anni, fu incoronato da papa Adriano I re d’Aquitania, e conservò tale carica fino alla morte di Carlo, di cui ormai era l’ultimo erede, dopo la morte dei fratello Pipino, re d’Italia, e Carlo il Giovane, re dei Franchi. Dopo l’incoronazione imperiale nell’816, Ludovico mise sul trono d’Aquitania il figlio Pipino. Torna al testo ↑

3. La “traslazione furtiva” della reliquia di Santa Fede avvenne dunque il giorno dell’Epifania; l’anno però non è certo, e viene collocato da gran parte degli studiosi fra l’878 e l’883. Torna al testo ↑

4. Lalbenque, lat. Albenca: comune della regione Occitanie, dipart. del Lot, a metà strada fra Agen e Conques. Torna al testo ↑

5. L’aggettivo Caturcensis si riferisce sia alla regione storica del Quercy (attualmente divisa fra i dipart. del Lot e di Tarn-et-Garonne), sia al capoluogo Cahors. Torna al testo ↑

6. Figeac è un paese del dipartimento del Lot, a una quarantina di km da Conques. Qui nell’838 re Pipino d’Aquitania donò al monastero di Conques un terreno per costruirvi un monastero dipendente. Ma al tempo degli abati Stefano e Begone, che erano anche vescovi di Clermont, e quindi non risiedevano a Conques, fra i due monasteri vi fu un’accesissima conflittualità, con Figeac che tentava di rendersi indipendente o addirittura di acquisire la supremazia. Solo nel 1096 la questione fu risolta con la definitiva separazione dei due monasteri.
L’episodio del cieco ricalca alcuni dei miracoli più famosi di Santa Fede, non solo per il tipo di infermità guarita, ma anche per il sogno premonitore e per il rapporto diretto fra il miracolato e il corpo santo. Dev’essere stato quindi inserito per richiamare nel nome di Sant Fede un rapporto stretto di dipendenza fra i due monasteri; poiché in quel momento il corpo viene trasportato arditamente e miracolosamente verso Conques, si vuole anche sottolineare la preminenza di quest’ultimo sul monastero rivale. Torna al testo ↑

7. XVIIII kalendarum februariarum, il 14 gennaio. La traslazione “furtiva” era quindi durata otto giorni. Torna al testo ↑

8. Col termine inusuale di Karolus Minor si intende evidentemente Carlo detto il Grosso: re d’Alemannia dall’876, re d’Italia dall’880, re dei Franchi Orientali poi Imperatore dall’881, re dei Franchi occidentali, d’Aquitania e di Provenza dall’884; fu l’ultimo imperatore della dinastia carolingia e l’ultimo a riunire sotto di sé tutte le terre dell’antico Impero. Ebbe un grave colpo al suo prestigio quando, recatosi a difendere Parigi assediata dai Vichingi, invece di combatterli fece con loro un accordo umiliante. Nell’887 fu deposto nella dieta di Trebur. Come re dei Franchi Occidentali fu scelto Oddone (Eudes) conte di Parigi, della dinastia robertingia; il regno dei Franchi Orientali passò ad Arnolfo di Carinzia, che nell’896 fu incoronato imperatore; il regno d’Italia passò a Berengario del Friuli, che però fu a lungo contrastato da Guido II di Spoleto.
La data dell’887 per la traslazione delle reliquie non viene ritenuta credibile da molti studiosi, poiché un documento indica la Santa come già presente a Conques nell’883. La documentazione è incerta; in ogni caso l’evento deve essersi verificato durante il regno di Carlo il Grosso, se non proprio nell’anno della sua deposizione.
Non è chiaro se qui l’autore abbia confuso Carlo il Grosso con Carlo III, detto “il Bambino” (puer, fr. “l’Enfant”) 847/8-866, re d’Aquitania dall’855; oppure, seguendo la Cronica di Ademaro di Chabannes (989-1034), con Carlo III “il Semplice” (simplex, fr. “le Simple”, 879-929), re di Francia dall’898. Torna al testo ↑

9. L’edificio qui descrito non è quello originario del IX secolo, ma quello di cui si narra la costruzione al paragrafo 17. Qui l’autore anticipa la narrazione ai suoi tempi. Torna al testo ↑

10. Stefano I viene indicato come abate di Conques dal 942 al 984; dal 962 (→ Cathopedia) è anche vescovo di Clermont (in questa carica è indicato come Stefano II). A partire dal 980 circa appare come vescovo anche Begone II (forse prima come vescovo coadiutore poi come titolare), che condivide anche la carica di abate. Per un certo tempo la chiesa di Conques appare governata da tre personaggi, Stefano, Begone e un certo Ugo, indicato come abbas secundum regulam. Stefano e Ugo scompaiono dai documenti inttorno al 984; rimane quindi solo Begone, che governa fino al 1010 con la collaborazione, successivamente, di Arlardo II, Gerberto e Arlardo III.
La cronologia di questo periodo appare abbastanza confusa, segno di grandi tensioni e di una grande confusione di ruoli, aggravate dal persistere della contesa fra Conques e Figeac.
Bernardo parla di Begone come di un “tiranno”, e di tre suoi nipoti: Ugo, Pietro e Stefano, come complici di tremende nefandezze.
Vedi → Liber Miraculorum II, 5 e Desjardins, Essai... p. 279 Torna al testo ↑

11. Non ci è noto il nome dell’architetto, e quel poco che sappiamo della struttura di questa chiesa ci arriva in gran parte dalle descrizione di Bernardo. Essa fu presto sostituita dall’edificio attuale, i cui lavori, iniziati alla metà dell’XI secolo dall’abate Odolrico (1031-1065), si prolungarono forse all’inizio del secolo successivo. Torna al testo ↑

12. Questo passo sembra in contraddizione con quanto detto immediatamente sopra. In ogni caso, la theca di cui si parla non è ancora la Maiestas, realizzata probabilmente già ai tempi di Stefano, e che doveva trovarsi in una cappella laterale, protetta da cancelli di ferro (Liber Miraculorum I, 1, I, 16 e I, 31). Torna al testo ↑